Gran Via
2007
9788890235252
La New Economy doveva cambiare il mondo. Le aziende investirono molti capitali. In macchine vuote come le dot-com, nate per essere vendute, punto. “Come se non bastasse, arrivò il 2000 e non vi furono blackout, nessuno corse per la strada impazzito perché era in rovina, non ci fu la fine del mondo e rimasero in piedi persino i negozi che Paco Rabanne aveva svenduto per timore della fine del mondo. Le applicazioni incominciarono a funzionare in euro e i programmatori fatti venire dall’Est o dall’India per adattare programmi passati di moda (programmi che, peraltro, erano molto più affidabili di un’applicazione in Java) non avevano più nulla da fare. Vedendo passare e ripassare l’immagine delle Torri Gemelle sullo schermo televisivo, sui giornali e in animazioni digitali, ci frullarono per la testa un sacco di cose: la guerra mondiale, lo sterminio di una razza, la fine dell’era del libero commercio.
In realtà non successe nulla del genere. E sì che il governatore del pianeta ha già raso al suolo due Paesi. E con quella storia, più una scusa che una realtà palpabile, iniziarono i cambiamenti. Sono già passati tre anni. Nella mia azienda i cambiamenti iniziarono con le chiamate per altoparlante (…)” (p. 115)
Sostiene Miranda che un consulente informatico sia un magnifico esempio di alienazione. È uno che entra nell’azienda presentando un ridiculum vitae umanistico, dopo un colloquio in un’agenzia interinale; viene spacciato per esperto senza averne nessun titolo; passa anni a lasciare strani messaggi nelle fotocopiatrici dell’ufficio; quando vede passare la Signora delle Risorse Umane capisce che qualcuno sta per andarsene, ed evita di incrociare il suo sguardo (p. 155). Parla tendenzialmente di software, hardware, soldi e cellulari; esteticamente è riconoscibile per via dell’alopecia galoppante e del sovrappeso, socialmente per via d’un umorismo indecifrabile e di qualche chiara difficoltà nelle interazioni con l’altro sesso. Sempre in difficoltà di fronte al superiore, evita di contraddirlo. Capita che il consulente si accorga che la sua vita sta andando a pezzi. Che gli straordinari, in ufficio, non finiscono mai; e che quando non si viene assegnati ad un progetto ci si ritrova a oziare per settimane, e a volte per mesi, navigando in rete a oltranza, chattando e facendo solitari (p. 61); che il capo ha sempre più assurde pretese, e sbraita per correzioni soltanto cromatiche. A volte.
Quando il superiore è uno come Antón Goliardo, supremo venditore galiziano taglia XXL, aria da bulldog (con tanto di labbro inferiore più sporgente del superiore: adattamento lamarckiano?, p. 47) e atteggiamento tirannico, dopo qualche anno c’è il rischio di smarrirsi e di diventare come lui. Di finirne infestati. Al principio della storia, Bruno, protagonista e io narrante dell’esordio di Jaime Miranda, promettente narratore castigliano classe 1972, sta guidando una Bmw. È la prima volta che guida quella Bmw. È la Bmw del suo capo. Il capo è al suo fianco. È morto. Bruno ha paura di essere fermato dalle guardie, è mangiato vivo dalla tensione e sta cominciando a sentire strane voci. Intanto, il telefonino di Goliardo squilla in continuazione. La Marcia Turca. Polifonica. Leggendo riesci ad ascoltarla, senza troppe difficoltà. Curioso.
Bruno interrompe la storia di quello strano e lugubre viaggio e racconta la sua storia, dall’ingresso in azienda sino al drammatico – tragicomico – epilogo. Ne deriva uno spaccato impressionante della vita da impiegato della new economy: fraternizzerete con chi ha dovuto imparare a vendere servizi invisibili e spesso del tutto inutili, e a caro prezzo; scoprirete il mistero degli operatori “fantasma” o “virtuali” (p. 42), ritroverete importanti riflessioni sull’onnipresenza dei loghi aziendali (pp. 62-63), vedrete confermata la teoria che vuole che l’addio di un collega calchi una mail standard (pp. 92-93) con poche e fascinose variazioni, e molto spesso riconoscerete la famigliare consapevolezza dell’impiegato alienato: come qui, p. 127:
“Passarono centinaia di giorni tutti uguali. Centinaia di giorni nei quali i nomi dei biglietti da visita diventarono tutti un unico nome, centinaia di giorni di ritardi accumulati, di pianti, di lamentele, di nuovi arrivi e di fughe, ma in sostanza tutti uguali” – quando Miranda scrive che si sale sulla barca di un progetto come quelli che salgono su una baleniera, restando i alto mare, lontani da tutto, per un periodo di tempo indefinito.
La storia di Bruno non è stravagante, è grottesca. Come grottesco è il neo-linguaggio aziendale di certi ambienti, ridicola eredità della cultura originaria americana; come grottesche sono le letture che circolano in certi ambienti (inevitabile la citazione de “Chi ha spostato il mio formaggio?”); grotteschi i nuovi contratti, e grottesche le condizioni dei cittadini lavoratori. Spesso l’impatto della narrazione è solare e rigenerante, perché la satira è caustica, velenosa al punto giusto. Ma altrove è doloroso, perché “Non sono qui per farmi degli amici” ha un retrogusto funebre, disperato. Un collega di Bruno tenta il suicidio, entra in coma. Non che fossero amici – era un inetto, già. Ma è l’evento in sé che sciocca Bruno. Il fatto che quell’uomo si sia sparato cinque colpi, in azienda, dopo aver guardato a ripetizione un filmato delle vacanze con la moglie e la figlia. S’era separato perché stava sempre in ufficio, a casa la sua donna non ne poteva più. Lui curava un progetto, d’altra parte. Di fronte a questa tragedia, Bruno giura vendetta. Ovviamente, il contrappasso è in agguato. Ma dovrete scoprirlo da soli.
Le disavventure di questo consulente i.t. sono destinate a venire incontro a diverse fasce di pubblico. Naturalmente la previsione facile è che potranno diventare oggetto di culto, con opportuno tamtam, in parecchie aziende italiote; questo è un libro che consulenti e programmatori dovrebbero tenere sul comodino per trangugiarlo come un vino da meditazione. Come antidoto a certi libercoli aziendali sulla vendita, o sulla flessibilità. L’autoironia è una medicina infallibile. Non guarisce, ma regala il giusto distacco da tutto. Assieme, piacerà a chi vuole decifrare quale sia la compatibilità tra il galiziano e il castigliano, da un punto di vista culturale e linguistico. Infine, diletterà quei lettori forti che s’attendono una narrazione capace di fondere crudo realismo e allucinazione pura. Perché tutto a un tratto, favolosamente, questo romanzo vira nel delirio. Allegoria migliore non poteva essere scelta.
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L’opera è stata pubblicata nella collana m30 – collana di narrativa dalla Spagna plurale – delle nuovissime edizioni Gran Via di Milano. Impariamo a conoscerla:
“m30 è la tangenziale di Madrid, una strada che gira intorno al cuore della Spagna e da cui si dipartono le grandi arterie che conducono ai quattro angoli del Paese. M30 parla tutte le lingue della Spagna plurale – basco, catalano, castigliano, gallego – e propone autori strettamente contemporanei, narratori che rifuggono la contemplazione del proprio ombelico, punti di vista curiosi e spesso mordaci su una società in rapidissima trasformazione”.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Jaime Miranda (Tarragona, Spagna 1972), laureato in Psicologia, consulente informatico. Scrittore. Questa è la sua opera prima.
Jaime Miranda, “Non sono qui per farmi degli amici”, Gran Via, Milano 2007. Traduzione dal castigliano di Cecilia Bianchetti.
Prima edizione: “No he venido aqui a hacer amigos”, Madrid 2005.
Gianfranco Franchi, dicembre 2007.
Prima pubblicazione: Lankelot.