Non leggete i libri, fateveli raccontare

Non leggete i libri, fateveli raccontare Book Cover Non leggete i libri, fateveli raccontare
Luciano Bianciardi
Stampa Alternativa
2009
9788862220545

Originariamente apparso sul settimanale “ABC” in sei puntate, nel 1967, “Non leggete i libri, fateveli raccontare” è un'opera minore dell'artista padre della “Vita agra”, un divertissement caustico sulla nuova generazione di italioti arrampicatori sociali nel mondo della cultura – dell'editoria e del giornalismo – e sulle opportunità che si presenteranno loro di sopravvivere senza sporcarsi le mani, e senza conoscere se non superficialmente la materia del loro lavoro.

È una sorta di romanzo breve di (de)formazione: della smania di prestigio e di popolarità senza sacrificio e senza disciplina d'una generazione nuova, e aggressiva: ed eccezionalmente prolifica, come stiamo testimoniando.

È il romanzo che si prende gioco del precipizio della mediocrità, e della sua odiosa normalità, della sua inevitabilità tutta italiana.

Intellettuale”, secondo Bianciardi, non è un concetto definibile; non è intellettuale solo chi non eserciti un mestiere manuale, né chi vive nel mondo degli studi e dell'intelligenza; né la persona colta. Non è più il figlio del popolo, al servizio della classe operaia, né il figlio di intellettuale che, impastato di certo lessico, certe frequentazioni e certe conoscenze, conquista popolarità mediatica; è qualcosa di fumoso, nel 1967, esattamente come fumoso è il concetto di “cultura”. I giovanotti mediocri e privi di talento che vogliano intraprendere il lavoro culturale, il mestiere dell'uomo di cultura, dovrebbero – spiegava Bianciardi – evitare di iscriversi a Lettere e Filosofia, preferendo Biologia o Chimica, ma frequentando un solo corso delle lezioni di Lettere; quindi, cambiare facoltà e vivacchiare per qualche anno (la laurea, provoca, “è una specializzazione: quindi, un limite”). Vivere un'esperienza esotica come un viaggio formativo in Svezia e al ritorno scrivere un articolo di costume tutto ovvietà e sfatati luoghi comuni; evitare di sacrificarsi e studiare come i colleghi di Lettere, buttare giù qualche cauta recensione per oscure testate provinciali e non cadere nella grave colpa di “scrivere troppo”: l'ambiente letterario è nemico di chi scrive troppo, ribadisce Bianciardi. “È un grafomane, un poligrafo!”, ghignano i colleghi malevoli.

Bianciardi dice al giovane italiota che basteranno due articoli in una manciata di anni per ritrovarsi magari a fare il curatore di libri altrui; attività che dà lustro e non impegna, e soprattutto non implica responsabilità in caso di fallimento dell'edizione. Quanto alle letture... considerando che allora (1967) uscivano 12mila libri all'anno (un terzo in meno di oggi...), e che non si poteva proprio stare appresso a tutto né dedicarsi seriamente a una selezione, allora sarebbe bastato servirsi di una certa gestualità e di qualche ammennicolo (la pipa), di una opportuna gradazione di sorrisi (stupenda la digressione sulla kinesi facciale, p. 42), di un abbigliamento sobrio e di una buona capacità d'ascolto per informarsi su libri e film appena usciti per ritrovarsi à la page. L'italiota non deve formarsi: deve informarsi.

Sesso e matrimonio contano solo nella misura in cui giovano alla carriera.

La chiave di volta è essere neutri, sia sul posto di lavoro che nelle dichiarazioni; mascherarsi da spettatori obbiettivi e non schierarsi mai; apparire, non essere, e scrivere il meno possibile, oppure le cose più ovvie e annacquate possibili. Da veri italiani. Esperti di calcio, e capaci di applicare certe tattiche al proprio posto di lavoro, come leggiamo nell'ultimo capitolo, ideale viatico a riscoprire “Il fuorigioco mi sta antipatico”, raccolta della rubrica della posta di Bianciardi nel Guerino, Stampa Alternativa, 2006.

Pamphlet livoroso e caustico, intrattiene con intelligenza e insegna a detestare opportunisti e qualunquisti, improvvisati e arrampicatori; deriderli non attenua il disprezzo, né mitiga il desiderio di disarcionarli dalle scrivanie. Quarantacinque anni dopo l'Italia culturale descritta da Bianciardi non è cambiata molto; è peggiorata soltanto. L'industria del libro ha addomesticato e deviato l'intelligenza; la ricerca è patrimonio, nella stragrande maggioranza dei casi, della piccola e media editoria di progetto. La sperimentazione va ricercata, con la forza della disperazione, tra marchi non di rado poco più che amatoriali e a volte praticamente clandestini.

Leggere questi vecchi articoli senza avvertire formicolio alle mani e desiderio di battersi e di combattere è uno spreco insensato. La verità va scritta e pronunciata più volte, nel tempo, sin quando non viene interiorizzata da chi ha perduto la capacità di ascoltare.

Va rivendicata, infine, quando viene sporcata dall'industria e dalla prepotenza della società dell'immagine. Non è una questione pubblicitaria, è una questione fondante per l'esistenza. Per l'esistenza della letteratura nuova, e per la possibilità d'una rivoluzione culturale. La fiamma non si spegne.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Luciano Bianciardi (Grosseto, 1922 – Milano, 1971), giornalista e scrittore italiano. Si laureò in Filosofia presso l’Università di Pisa. Esordì pubblicando il romanzo “Il lavoro culturale” e il libro-inchiesta “I minatori della Maremma” (in collaborazione con Carlo Cassola) nel 1956.

Luciano Bianciardi, “Non leggete i libri, fateveli raccontare”, Stampa Alternativa, Viterbo 2008. Collana Eretica. Postfazione di Ettore Bianciardi.

Prima edizione: 1967.

Gianfranco Franchi, febbraio 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.

 

Leggere questi vecchi articoli senza avvertire formicolio alle mani e desiderio di battersi e di combattere è uno spreco insensato…