Castelvecchi
2005
9788876150920
Scritto tra 1973 e 1976, mentre Leary era in carcere per possesso di marijuana e per irrisolti contrasti politici con l'amministrazione Nixon, nel pieno di meditazioni sul significato d'essere dentro o fuori il sistema, e sul senso autentico della ricerca dell'evoluzione come fosse un atto di ribellione, “Neuropolitica” venne rimaneggiato nel 1988. È il frammentato lascito intellettuale e spirituale di un filosofo discusso, ex Harvard, famoso come sperimentatore e divulgatore di droghe: con intenti terapeutici e conoscitivi, sosteneva Leary. Che si sentiva l'avvocato della comprensione razionale, scientifica e filosofica delle droghe. Era, invece, una grande intelligenza bruciata dagli acidi: si riconosce, questa intelligenza, per intervalli, per fulminanti flash; mentre si riconoscono, le nefaste conseguenze delle droghe, nei deliri, nelle sconnessioni, nelle allucinate visioni di un'umanità robotica. Viene voglia di scomporre e ricomporre questo libro come fosse un bellissimo puzzle fatto a pezzi da un cane. Non escludo che il cane sia stato la droga; e allora il desiderio, in qualche misura, scema. Ma non si spegne.
La narrazione principia negli anni Sessanta, quando Leary sognava di curare i mali della psiche degli esseri umani, ritenendo che l'Lsd potesse “aprire il cervello a una riprogrammazione”; Leary racconta delle sperimentazioni avvenute nell'Università, e della sua convinzione che i “sistemi operativi mentali” potessero essere spenti o accesi a comando, dei buoni risultati iniziali e dell'opposizione dei suoi superiori alle sue ricerche sulla droga. Quindi, punta il dito contro la dipendenza dalla televisione: le sette ore al giorno (!) dell'americano medio convincono Leary che la tv crei, gestisca e pianifichi la nostra realtà, e produca immagini e illusioni politiche; la successiva nascita d'una sorta di “etica addomesticata” è avallata e difesa dalla stampa di sistema (“frode selettiva”, la definisce il filosofo, borbottando sulla scarsa credibilità dei giornalisti americani). C'è qualche argomentazione discutibile e non sempre persuasiva su un'industria fondata sulle parole d'ordine “fuorilegge & peccato”, soprattutto quando Leary si ritrova a meditare sui “crimini simbolici” perpetuati quotidianamente dalla televisione, ma è forse inevitabile quando una visione apocalittica della realtà s'accompagna a toni profetici o messianici. È nelle cose, e Leary aveva abbastanza carisma per potersi permettere di apparire un fanatico. Un fanatico delle droghe, e dell'intelligenza.
Più avanti, Leary medita sulla fase di transizione tra Era Industriale ed Era dell'Informazione, sull'interventismo militare degli States, sulla libertà sessuale, sull'evoluzione della mente e dei processi cognitivi (spesso è oscuro o farneticante: “farneticante” è un aggettivo eufemistico), sui punti di riferimento culturali condivisi in tutto il mondo e sulle loro plausibili influenze, sugli sciagurati anni dell'amministrazione Nixon, sulla ricerca americana d'un capo che sappia essere un eroe senza macchia. E in più di un frangente lascia il segno. Così: “Un Paese guidato dalla legge è un Paese rovinato dagli avvocati. Per un avvocato o un militare è neurologicamente impossibile pensare in modo creativo o agire in armonia con la natura. Sono offuscamento e opposizione basati su precedenti paralizzati. Per il Governo degli Stati Uniti ci sono più di 200mila avvocati al lavoro” (p. 64).
Oppure, quando ribadisce il messaggio cardine dell'Era Cibernetica: “Tutta l'informazione è libera. Tutta l'informazione è utile. Da una comunicazione accurata non c'è niente da temere” (p. 68).
Punti deboli dell'opera, sconnessione a parte: senza dubbio gli eccessivi riferimenti a personaggi protagonisti della vita politica, sociale e culturale statunitense, spesso – fortunatamente – decisamente marginali, se non assenti, nell'informazione della nostra nazione vassalla. Quando hanno avuto momenti di incomprensibile centralità (Manson), rimanevano di dubbio interesse. Punto forte, la sua natura conclusiva, sintetica e terminale d'un'esistenza discutibile e discussa, atipica e scriteriata, coraggiosa e folle.
In ogni caso, è un documento da leggere. Gli scienziati prenderanno certe pagine con le pinze e le porteranno dritte in laboratorio. Non è un'idea sbagliata.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Timothy Francis Leary (Springfield, 1920 – Beverly Hills, 1996), psicologo, scrittore e filosofo americano, di estrazione cattolica irlandese.
Timothy Leary, “Neuropolitica. Il potere, la controcultura e l'America conforme”, Castelvecchi, Roma 2005. Traduzione e postfazione di Fabio Rossi.
Prima edizione: “Neuropolitique”, 1988.
Gianfranco Franchi, Febbraio 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.
“Turn On, Tune In, Drop Out”.