Nessun dolore

Nessun dolore Book Cover Nessun dolore
Domenico Di Tullio
Rizzoli
2010
9788817035187

Domenico Di Tullio, avvocato e scrittore romano-sannita classe 1969, ha esordito qualche anno fa pubblicando il saggio “Centri sociali di destra. Occupazioni e culture non conformi” per la Castelvecchi diretta, allora, da Alberto Castelvecchi. Era il 2006. Non tutti i lettori italiani ricordano che la pubblicazione di quel libro scatenò le proteste della sinistra antagonista, comprensive di una simbolica (e conforme) occupazione della casa editrice. L'accaduto fu un discreto volano pubblicitario per l'opera prima di DDT. Posso confermare che la redazione superstite, qualche anno più tardi, ricordava l'episodio con una certa allucinata angoscia. E un pizzico di incredulità.

Autunno 2010. “Nessun dolore”, il primo romanzo di Domenico Di Tullio, è stato pubblicato poche settimane fa da Rizzoli. E parla, una volta ancora, di centri sociali di destra, di culture non conformi e di vecchia e nuova generazione di atipici militanti di “destra radicale”. Stavolta però la Rizzoli, a differenza della Castelvecchi, non è stata (ancora) occupata per protesta. Cos'è cambiato nell'arco di questi quattro anni? Che parecchie persone hanno scoperto che gli atipici militanti di destra radicale che Di Tullio racconta non corrispondono all'inquietante clichè del teppista nazionalista d'accatto, xenofobo, omofobo e razzista, ma incarnano gli aspetti più solari e libertari del futurismo, e la sensibilità sociale dei sansepolcristi. E questi “destri atipici” del Blocco e di CasaPound Roma sembrano o possono sembrare, a uno sguardo estraneo, veramente “sinistri” per la loro dedizione alle fasce più deboli della popolazione: a partire almeno dalla lotta per il diritto alla casa, per il mutuo sociale, o dal loro saggio rifiuto della privatizzazione dell'acqua, o dalla strenua difesa del confronto democratico tra visioni del mondo, ideologie o idee estremamente diverse tra loro. Insomma, stanno dalla parte dei più deboli. E anzi, spesso sono proprio loro i figli del popolo che andrebbero, invece, sostenuti dai borghesi, sono loro i proletari che si battono per difendere i loro diritti e quelli dei loro concittadini. Morale della favola, sin qua Rizzoli non è stata occupata dai centri sociali storici, dai ragazzi della sinistra antagonista.

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“Mai potute sopportare le regimental: magari uno si mette una cravatta dello squadrone di bombardieri che ha massacrato San Lorenzo, il 19 luglio del 1943, oppure di qualche plotone di Gurkha che ha tagliato i testicoli ai paracadutisti della Nembo dopo lo sbarco ad Anzio. No, meglio le tinte unite” (Di Tullio, “Nessun dolore”, p. 42).

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“L'Espresso”, pochi giorni fa, ha parlato di “Nessun dolore” in questi termini: secondo Emanuele Toscano, si tratta di “un'auto-etnografia romanzata della realtà politica e culturale rappresentata da CasaPound, vista attraverso gli occhi, il sudore, il corpo, l'entusiasmo di due generazioni di militanti: i più anziani, quarantenni, e le nuove leve del Blocco Studentesco, l'organizzazione giovanile di CasaPound”.

È una buona analisi. Cosa manca? Manca un rilievo sull'unico aspetto che, da letterato, mi interessa: lo stile dell'autore. Cos'è, Di Tullio, l'avvocato di CasaPound, un giovane vecchio militante “atipico” di destra da osservare come un Dowayo o uno scrittore? Io dico che DDT è entrambe le cose, e prestate molta attenzione: è uno scrittore con tutta una bella serie di influenze e riferimenti culturali, sia rock (per dire, ama i Verdena) che letterari, e una sua già formata personalità autoriale. Ed è uno scrittore che ha il talento principe che deve avere uno scrittore: una chiara visione del mondo. Giusta o sbagliata, in letteratura, non importa: importa che sia. Altrimenti le dinamiche della narrazione sbarellano, e così gli equilibri interni. Quindi, in sintesi, andrei cauto, come critico, a fondare un'analisi su un approccio emi-antropologico emi-sociologico. È uno sbaglio. Di Tullio è un buon lettore (si vede) e un buon conoscitore dell'ambiente editoriale e letterario, non soltanto capitolino. È un autore che sta raccontando il suo mondo con amore e con trasporto. Sta dando letteratura a quella che sin qua era soltanto una storia. E questa letteratura esce per una delle più grandi case editrici italiane, la Rizzoli. Come a dire: esce per essere letta da chiunque, esce per entrare in tutte le librerie, non soltanto in quelle d'area. Esce per essere giudicata, odiata, fraintesa, amata. Esce per gridare d'essere viva, e sana, e giovane. E nient'affatto elitaria.

Protagonista del romanzo è l'alter ego di DDT. L'avvocato ha quarant'anni, una gran voglia di vivere, qualche ruga e parecchia coscienza delle difficoltà della sua professione: “Io non mi preparo al peggio, io lo vivo tutti i giorni e vi aiuto quando vi capita”. In ogni caso è uno che ha mantenuto un vizio di gioventù. “Assistere pure quei clienti che non pagano, quelle associazioni strane, gentaglia che occupa le case per viverci, e fascisti del terzo millennio, anche” (p. 17). L'avvocato potrebbe vivere da gran borghese e godersi la vita, ma preferisce restare fedele a sé stesso. Non ha gran simpatia per chi è contrario per scelta alla cravatta, né per chi si riempie la bocca di parole che finiscono in “ale”: (“informale, equosolidale, globale, multinazionale”). E ha una gran sensibilità nei confronti della difesa degli innocenti. È l'essenza della sua professione di difensore. Perché? Perché “un innocente non si rassegna, sopporta con più sofferenza la detenzione, chiede, reclama, si agita, ti sollecita istanze urgenti e inutili periodici colloqui con il Pm, pretende che tu non dorma, come lui non dorme per l'ingiustizia che sta vivendo” (p. 51). Peccato che i soldi veri vengano fuori sempre dalle tasche sbagliate, ossia da quelle dei colpevoli. Purtroppo l'avvocato ha un gran mutuo da pagare. Ma insomma – tempo per il lavoro che ti dà il pane dell'anima, quello che non ha prezzo e spesso non viene pagato, c'è. E così, quando riceve una telefonata da uno del Blocco, finito nei pasticci senza averne colpa, non si tira indietro. Dovrebbe partire per le vacanze. Evita.

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Apriamo parentesi. Cos'è, e cos'ha di nuovo il Blocco, secondo DDT? È la formazione giovanile di CasaPound. Rispetto ai vecchi militanti della destra radicale, non tendono a “nascondersi in posti lontani o sotterranei”: a loro “piace farsi vedere. Giovani e spavaldi, belli e buoni e anche un po' guasconi, forti dei quasi vent'anni e del sorriso disarmante che hanno, vanno in giro nei posti che fino a poco tempo fa sono sempre stati interdetti ai fasci” (p. 19). E vanno, scrive Di Tullio, per divertirsi, magari per rimorchiare. Non certo per minacciare o imbruttire ai passanti, o ai diversi.

E com'è CasaPound? È un palazzo che secondo l'artista ha qualcosa di marziale e di rigoroso, perfettamente in linea con l'estetica originaria del suo quartiere, l'Esquilino. Dentro, tante persone, una settantina (dodici bambini), vivono come in un “condominio miracolato, senza litigi e diatribe”. Tra di loro, intere famiglie che avevano perso casa. Magari a Garbatella, dove vivevano nelle case popolari destinate, a suo tempo, “agli operai delle fabbriche sull'Ostiense e ai facchini dei Mercati Generali”: in una zona oggi popolata da una nuova umanità. Meglio: secondo l'autore, “assaltata dai nuovi ricchi borghesi e sinistrorsi”, intenzionati a mescolarsi ai veri poveri. Invano. Qualcosa stride.

All'interno del palazzo, tutto appare pulito: colorato e ordinato. C'è un murales per ogni piano: e all'ultimo piano c'è la grande sala degli incontri. Non c'è più un centimentro di muro libero da manifesti, scrive Di Tullio: “Pubblicizzano conferenze, dibattiti, presentazioni di libri e assemblee e mille battaglie politiche, mentre dalle due grandi finestre che si aprono sulla balconata stretta e sui tetti entra la luce calda e morbida di Roma” (p. 25).

È un posto che non dorme mai completamente: c'è sempre qualcuno di guardia, a protezione dei suoi occupanti. “La Casa è come un grosso cane da guardia. Sempre con un occhio aperto” (p. 24). Uno dei motti è “non c'è sosta, tregua, sonno”. Il sonno c'è stato durante i quasi dieci anni in cui quel posto è rimasto disabitato. Era rimasto vuoto perché “non poteva più ospitare uffici, senza scale di sicurezza e quanto altro la legge richiedeva”: ministeriale, sarebbe rimasto immobile sino alla prossima privatizzazione.

Si chiama CasaPound “in omaggio al poeta americano che nella sua lotta contro l'usura aveva scelto la parte sbagliata e per questo aveva vissuto il campo di concentramento in una gabbia esposta alle intemperie, e poi il manicomio per undici lunghi anni, continuando a scrivere poesie” (p. 66). E ospita tante persone comuni che semplicemente non possono più permettersi di pagare un affitto a Roma. E magari vanno in ufficio dopo essersi fatti la doccia a casa di un amico. Queste persone esistono e sono molte più di quel che potremmo credere, qui nella capitale.

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“Nessun dolore” è la storia di due amici, Flavio e Giorgio. Sono due ragazzi del Blocco. Flavio ha scelto di studiare Storia, “con la prospettiva di un meraviglioso e inevitabile futuro di giovane disoccupato”, rinunciando alla borghesia. Giorgio è il ragazzo finito nei guai, senza averne colpa. Vent'anni scarsi. Idealista, militante della destra radicale. Crede in una forma particolare di bellezza. Bellezza è ciò che lui e i ragazzi stanno facendo. E allora è felice pensando alla “bellezza nelle nostre azioni, nelle idee che ci muovono, nei nostri pensieri”. È parte del gruppo di ultras romanisti “Padroni di Casa”, espressione della “tartaruga e del fulmine cerchiato”, vale a dire CasaPound e Blocco Studentesco. Sono un gruppo atipico, spiega Di Tullio, estraneo agli eccessi, che siano prepotenze contro i deboli o droghe. Giorgio si diverte a giocare, con i suoi amici, a quella strana, violenta e animalesca forma di pogo che si chiama cinghiamattanza.

Flavio e Giorgio sono la nuova generazione di “destri radicali”: la generazione di destri radicali atipici. DDT spiega bene in cosa sono differenti dal passato. Questo è il segreto della fortuna del romanzo. Leggete senza pregiudizio: è buona letteratura italiana, e storia di un movimento politico neofuturista.

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Ultima annotazione. Rizzoli ha stampato questo libro su carta certificata FSC, che unisce fibre riciclate post-consumo a fibre vergini. Fatto bene.

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“I professionisti dicono che è chi sopporta meglio il dolore del colpo, chi non si fa annichilire dalla paura della sofferenza, chi sente e domina il male, che alla fine vince” (Di Tullio, “Nessun dolore”, p. 102).

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Domenico Di Tullio (Roma, 1969), avvocato e scrittore italiano. Ha esordito pubblicando “Centri sociali di destra. Occupazioni e culture non conformi” per la Castelvecchi diretta, allora, da Alberto Castelvecchi. Era il 2006.

Domenico Di Tullio, “Nessun dolore”, Rizzoli, Milano 2010.

Gianfranco Franchi, novembre 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.