Nero tropicale

Nero tropicale Book Cover Nero tropicale
Gordiano Lupi
Il Foglio Letterario
2010
9788876062605

Nero tropicale” è una raccolta di cinque storie cubane: cinque pezzi noir. Il primo, “Sangue tropicale” era già stato pubblicato da Il Foglio nel 2000; è stato quindi soggetto d’un fumetto illustrato da Oscar Celestini, recentemente pubblicato in volume in “Orrori tropicali” del 2006. Il secondo, “La vecchia Ceiba”, era stato pubblicato nell’antologia “Tredici frammenti di mistero”, a cura di Blandamura; il terzo, “Nella coda del caimano”, è un inedito; il quarto, “Il sapore della carne”, era originariamente apparso in “Fame – La trilogia cannibale” pubblicato da Lupi, Boccia e Lombardi per Il Foglio nel 2001; il quinto, “Parto di sangue”, era parte de “La stagione della follia” (Il Foglio, 2002).

I motivi di interesse sono vari, come vedremo. A partire da una prima annotazione: questo “Nero tropicale” è uno dei testi di narrativa più maturi e completi di Gordiano Lupi; è un peccato ricordare che da questo libro in avanti dovremo aspettare altri tre anni prima di poter apprezzare una sua nuova raccolta o almeno un romanzo. Tra 2003 e 2006 l’autore tosco-cubano pubblicherà fondamentalmente monografie cinematografiche, pamphlet e libelli satirici contro il sistema editoriale, saggi su Cuba (dalla santeria alla musica, sino alla lettura della quotidianità dei cittadini) e su Piombino; l’appassionato della sua narrativa dovrà andare in cerca di racconti veri in qualche antologia.

Entriamo nel vivo: il libro è dedicato – gli appassionati lupiani non potevano dubitarne – a Dargys: “che nasconde in ogni piccola parte di queste storie un frammento della sua vita e perché senza di lei non sarei mai stato capace di scrivere tutto questo”, a conferma della notevole influenza esercitata dall’incontro con la musa cubana sull’ispirazione del toscano Lupi.

Inaugura la raccolta di racconti, come da prassi nell’opera dell’autore, un omaggio a un altro artista: stavolta incontriamo i versi d’una canzone di Silvio Rodríguez, “Piccola serenata diurna”, ulteriore conferma dell’ormai cristallizzata “cubanizzazione” culturale dell’autore. Sangue tropicale” è una storia d’amore, di morte e di magia: una terribile brujeria va esorcizzata da un santero (nella prossima scheda scopriremo assieme la “Cuba magica”), sullo sfondo d’una Cuba nel pieno del drammatico periodo speciale, nuova trasfigurazione noir dell’incontro tra Lupi e l’isola. È la storia di Giovanni, italiano trapiantato a Cuba da tre anni, fuggito da una moglie carrierista, da un lavoro alienante e da una famiglia disgregata, finalmente felice al fianco di Doralys dopo una prima, dissoluta fase di dedizione alla vita notturna e una prima vera relazione sentimentale. Giovanni è – tendenzialmente – il narratore in prima persona d’una vicenda che lo vede, sin dalle prime battute, afflitto da rimorsi laceranti per via dei suoi omicidi; è un serial killer di ragazzine e jineteras, vorrebbe fermarsi ma non può. È sotto l’effetto d’una stregoneria, come scopriremo; non riesce a crederci (confida che nemmeno credeva in dio o in Marx…) ma dovrà arrendersi all’evidenza. Senza svelare sviluppo della trama ed epilogo della vicenda (anticipo solo che non manca l’escamotage del – doppio – finale a sorpresa, già adottato ad esempio ne “Il palazzo” o ne “Il giustiziere del Malecón”), posso limitarmi ad anticipare che Giovanni non sarà il solo io narrante del libro; saranno due le voci femminili ad alternarsi, a un tratto, completando il mosaico.

Da un punto di vista extra-fictionale Lupi dissemina credibili rappresentazioni della quotidianità di Cuba: si va dalla meticolosa descrizione d’un rito d’un santero (cfr. p. 28) ai cenni sui serali sermoni catodici di Fidel (p. 34), anticipazioni dei contenuti presenti rispettivamente in “Cuba magica” e “Almeno il pane, Fidel”. C’è qualche frammento che ibrida una buona capacità descrittiva con un lirismo pop: come qui, “Un’altra festa popolare tra musica e birra. Giovani corpi sotto la luce di pochi lampioni cadenti. Pelle ambrata e occhi neri, riflessi sotto la luna d’una sera d’inverno. Un inverno caldo e dolce. Un inverno tropicale riscaldato da lacrime e sangue” (p. 43).

In generale, si ha l’impressione che l’insistenza nei confronti dell’irrazionale, degli aspetti magici e pagani della vita di Cuba comunichi su diversi livelli; su un piano più profondo sembra voler suggerire al lettore che altra è l’essenza del popolo cubano, e che sotto le ceneri del regime il popolo cova un ritorno alle origini: fondato su una cultura caotica e solare, espressione autentica di voglia di vivere, e su una religione capace di fondere cattolicesimo e paganesimo, sopravvissuta a dispetto della neo-religione comunista imposta dal regime. L’anima di Cuba dorme, ferita ma non assassinata dalle menzogne del castrismo; e quando si risveglia – come ne “La vecchia Ceiba” – è orgogliosa, magica, irrazionale e vendicativa. Il secondo racconto lungo vede come protagonista questa alta, vecchia e imponente pianta, la Ceiba, venerata dal popolo come unico albero che si salvò dal diluvio universale e come custode delle anime dei morti: è sacra, non va toccata. Quando, sotto Batista, gli yankee avevano tentato di sradicarla per edificare un zuccherificio, vari eventi violenti avevano suggerito loro di accantonare l’impresa. La storia è narrata da una giovane orfana d’un padre che aveva fatto la Sierra, fedele al Che e a Fidel; un ex soldato che non voleva rassegnarsi – a dispetto della fine dell’URSS – ad ammettere d’aver sbagliato, nemmeno quando la sua famiglia s’era trovata a campare con 200 pesos al mese (meno di 10 dollari).

È fidanzata con un controrivoluzionario: un cubanino che vuole restare nella sua isola, vivendo altra e diversa libertà. Quando i due violano un’antica regola del padre, partecipando a una festa gitana, e si ritrovano violentati e umiliati dagli zingari, sarà lo spirito del morto, vivo nella Ceiba, a riscattare il loro onore, massacrandoli. L’elemento magico – come si vede – suggerisce la difficoltà d’allontanarsi dalla propria cultura: oppure, è il caso di dirlo, il desiderio di non vedersi sradicati dalla propria storia. La metafora è molto efficace.

Allegorico anche il romanzo breve “Nella coda del Caimano”, presentato come la traduzione del diario del giovane Mainer; leggeremo un anno e mezzo della sua vita, dal febbraio 1998 al giugno del 1999, assistendo a una vicenda complessa e carica di significati. Proviamo a evidenziarne qualche tratto notevole: c’è la storia d’una ragazza, Karin, costretta – è un topos lupiano – a diventare jinetera dalle sue miserevoli sorti; il favorevole destino del suo primo amore la riscatterà e assieme potranno fuggire verso la libertà (stavolta è l’America, la destinazione); c’è ovviamente la storia di Mainer, ragazzo di Yumurí, la “coda dell’isola”, studente appassionato di Garcia Lorca, Neruda e Martí, che si trova a vivere un’avventura incredibile: il fiume s’è risvegliato, sembra avere uno sguardo e un sorriso beffardo, e adesso uccide. Servirà – una volta ancora – l’intervento di un potente babalao a risolvere un enigma ibrido, che nasconde la vera storia dell’isola (da quel negro che morì nel fiume per non essere più schiavo a quell’indio coraggioso che s’uccise per non consegnarsi agli spagnoli: il cubano si ribella al potere, sempre…) e pretende pacificazione estranea alla magia nera. E ancora: c’è la storia del culto della Milagrosa, la giovane donna morta di parto, venerata perché tre anni dopo la sepoltura venne riesumata intatta; da allora fa miracoli per gli isolani.

Infine: c’è la solita denuncia del castrismo, chiara e lucida. Il popolo ha le idee chiare: “La legge è una cosa, la realtà un’altra. E la realtà ce la dobbiamo inventare. Inventare è da sempre la cosa migliore che sappiamo fare. Impariamo presto. Impariamo che siamo bambini.

Per forza. Chi non impara non sopravvive” (p. 104) si legge a un tratto, quando Mainer racconta che da mangiare non manca, manca tutto il resto: sapone, olio, burro, vestiti, penne, quaderni. Si sopravvive lucrando sul turismo, violando le norme castriste. È necessario rubare allo Stato per campare. Notevoli diverse descrizioni del panorama dell’isola (cfr. p. 134, quando si parla di Guantanamo, Baiamo e Santiago), che contribuiscono a cesellare un romanzo capace di sintetizzare diverse caratteristiche fondanti della narrativa lupiana cubana: magia, anticastrismo, violenza, santeria, sopravvivenza, redenzione e riscatto.

Chiudono il libro due racconti brevi: merita menzione il micidiale “Il sapore della carne”, storia d’un reduce dall’Angola (a questo punto le allegorie può intuirle il lettore…) sopravvissuto cannibalizzando i compagni caduti; al suo ritorno, per quindici anni si nutrirà di bambini, assieme al suo (inconsapevole) erede. Ha assaggiato una carne alla quale non può e non sa rinunciare, e dopo l’originaria riluttanza non può viverne senza. In questo caso, se il significato nascosto o profondo dell’opera era che i castristi si nutrivano del futuro del popolo, la morale è drammatica; il figlio del cannibale, quando scoprirà chi era realmente il padre, diventerà come lui. Giudico questo racconto un capolavoro: perché anche sul livello base, quello diciamo del significato letterale, tiene incollati alla pagina; si sente che è l’opera di un carnivoro di genio. Quel desiderio di carne lo conosciamo tutti molto bene; qui è elevato alla massima potenza.

Parto di sangue” è una storia di delirio omicida e di violenze: donna violata e costretta a restare incinta cucina il neonato al marito, quindi lo uccide. Poi va dai genitori, non trova comprensione e li massacra. Stesso discorso: la lettura simbolica è atroce, cruda e chiarissima. Suggerisco di non fermarvi al pur piacevole ed efficace significato primo delle vicende. Assolutamente da leggere. Questo libro pretende diverse attenzioni.

Concludo l’analisi di questa raccolta proponendovi un intervento dell’autore. A quattro anni di distanza dalla pubblicazione, ecco impressioni e considerazioni di Gordiano Lupi: “'Nero tropicale' è un libro a cui tengo molto. Non ne ho venduti tanti, purtroppo. L’editore è fallito e le poche copie che circolano sono in mie mani. Contiene il mio primo racconto cubano, quel 'Sangue tropicale' che ho prodotto in diverse versioni (persino una a fumetti) e che viene presentato nella sua forma migliore, riveduta e corretta. C’è 'La vecchia ceiba', un horror romantico sull’amore che lega padre e figlia, sulle credenze cubane vicine al mondo della santeria e sulla vendetta che viene dal passato e fa giustizia. C’è un romanzo breve come 'Nella coda del caimano', frutto di uno dei miei momenti di migliore ispirazione narrativa (purtroppo perduti), quando la scoperta di un mondo diverso penetrava fantasia e sentimenti. Nella coda del caimano è una delle mie storie migliori, un racconto che mischia amore, tradimento, passione, mistero, orrore, fantastico, viaggio, disillusione… insomma, forse si è capito che è una delle cose che preferisco tra quelle che ho fatto. 'Il sapore della carne' è un bel racconto dell’orrore sul cannibalismo, già edito in 'FAME – La trilogia cannibale' e molto apprezzato dal pubblico. A me è piaciuto così tanto che ne ho ricavato un romanzo attualmente in lettura presso qualche editore ('Una terribile eredità'). Incrociamo le dita! Conclude la raccolta 'Parto di sangue', uno splatter puro, forse un po’ eccessivo, non so se adesso lo riscriverei, ma al tempo mi era venuto così...” (maggio 2007).

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Gordiano Lupi (Piombino, 1960), romanziere, poeta, saggista, recensore, soggettista, sceneggiatore, traduttore, editore italiano.

Gordiano Lupi, “Nero tropicale”, Terzo Millennio Editore, Caltanissetta 2003. ISBN 9788884360748.

Gianfranco Franchi, maggio 2007.

Prima pubblicazione: Lankelot.