Nelle tempeste d’acciaio

Nelle tempeste d'acciaio Book Cover Nelle tempeste d'acciaio
Ernst Jünger
Guanda
2007
9788877463630

“Il libro di Ernst Jünger sulla guerra del '14, Nelle tempeste d'acciaio, è incontestabilmente il più bel libro di guerra che abbia letto; di buona fede, veracità, onestà perfette” (André Gide, “Journal”, 1 Dicembre 1942).

“Mentre crollavo pesantemente sul fondo della trincea, ebbi la certezza di essere definitivamente perduto. Eppure, cosa strana, quel momento è stato uno dei rarissimi nei quali possa dire di essere stato veramente felice. Compresi in quell'attimo, come alla luce di un lampo, tutta la mia vita nella sua più intima essenza. Provai una certa sorpresa per il fatto che essa dovesse finire proprio in quel punto; ma quella sorpresa, devo dire, era piena di felicità. Sentii, piano piano, i colpi indebolirsi come se stessi affondando sotto la superficie di un'acqua scrosciante. Dove ora mi trovavo, non v'erano più né guerra, né nemici” (Ernst Jünger, “Nelle tempeste d'acciaio”, p. 320).

Sottotenente della Wehrmacht nella Prima Guerra Mondiale, eroe di guerra (ferito quattordici volte), il giovane Jünger combatteva e scriveva; i suoi taccuini dovevano diventare un libro chiamato “Il rosso e il grigio”, in omaggio all'amato Stendhal; infine, l'autore preferì “Nelle tempeste d'acciaio”, citando un poema medievale islandese. Soldato valoroso (venti cicatrici dovute a quattordici ferite: “cinque pallottole di fucile, due schegge di grossi proiettili, una palletta di shrapnel, quattro schegge di bombe a mano e due di fucile”) e scrittore torrenziale, estremamente descrittivo e ossessivamente dettagliato, pubblicò originariamente questo libro per via di finanziamenti paterni; le duemila copie iniziali si esaurirono in fretta, e fu allora che iniziò la fortuna letteraria del giovanotto che sarebbe diventato il centenario Ernst Jünger.

“Nelle tempeste d'acciaio”, così amato da Gide, non è forse il miglior libro di guerra del Novecento: è sicuramente un grande libro di guerra, una rappresentazione nuda e cruda della dura vita di trincea e dell'orrore del sangue, della costrizione all'eroismo, della disperazione dell'intelligenza; è, tendenzialmente, un romanzo più impressionante che emozionante. Questo perché, come forse si può prevedere, è eccezionalmente ripetitivo; in questa angosciosa ripetizione di assalti, morti, feriti e brevi licenze (curiosamente mai approfondite o narrate), si staglia, una tantum, qualche frammento di singolare intelligenza, chiarezza e profondità. È quando, ad esempio, Jünger racconta la sua ultima ferita, come nel passo che ho scelto come incipit dell'articolo; è quando, come vedremo, EJ descrive l'incontro col nemico, o la vita di trincea; è quando si commuove, sentendosi “madre”, assistendo il fratello ferito; è quando l'artista tedesco medita sul Destino. Tutto il resto è uno straziante scenario di orrore e morte, inconsolabile e delirante. Come quando, dopo una battaglia, allo scrittore si rivelò “l'esistenza di una sorta di orrore ignoto e strano come una terra sconosciuta. Così in quegli attimi non avvertii alcun timore, ma anzi un'eccitazione straordinaria, quasi demoniaca; ebbi anche accessi di riso folle che non riuscivo in alcun modo a contenere” (p. 105). Sta soffrendo, in quel mentre, per il terribile odore di morte che viene dai cadaveri: è una esalazione nauseante, specchio d'un villaggio in rovina. Il neofita dell'opera di EJ, felice di poterlo studiare e scoprire nel 2009, si domanda come e quanto queste esperienze avranno influito in quasi cento anni di attività artistica. Nei prossimi articoli, cercheremo ossi di seppia di tutto questo.

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EJ insegna il rispetto del nemico: “Mi sforzai sempre, durante tutta la guerra, di guardare l'avversario senza odio, anzi di stimarlo per il suo coraggio virile. Cercai, certo, di incontrarlo in combattimento per ammazzarlo senza naturalmente aspettarmi altro da parte sua. Mai, però, ne ho pensato male. Quando, più tardi, ebbi prigionieri nelle mie mani, mi sentii sempre responsabile della loro sicurezza e cercai di fare per loro tutto quello che era nelle mie possibilità” (p. 66). Considerando i recenti (Guantanamo) esempi di trattamento dei soldati nemici nelle nazioni imperialiste, questo passo assume il senso di una piccola lezione di civiltà – civiltà in tempo di guerra.

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Jünger era un giovane soldato parte di un reggimento glorioso: il 73°, da Hannover, detto “Les Gibraltars” per via della difesa della fortezza di Gibilterra dagli attacchi franco-spagnoli tra 1779 e 1783; nella Grande Guerra, sarebbero diventati i “Leoni di Perthes”, protagonisti di una gloriosa resistenza. Umanista e ipersensibile, EJ leggeva nei ritagli di tempo il “Tristam Shandy” di Sterne e nel frattempo tutto osservava con partecipazione, dolore, abnegazione ed entusiasmo, sognando la vittoria del suo popolo e la fine di quelle atrocità. Ma quando avrebbe intuito infine la sconfitta, dopo La Grande Battaglia, qualcosa sarebbe cambiato nella sua anima: “L'enorme concentrazione di forze, nell'ora fatale in cui si iniziò la lotta per un lontano avvenire, e lo svolgersi così sorprendente e inatteso degli avvenimenti successivi, mi misero per la prima volta di fronte all'imponderabile, di fronte a elementi estranei all'uomo e a lui superiori in senso assoluto (…). Era un'iniziazione che non apriva soltanto le incandescenti camere del terrore, ma anche le attraversava” (p. 290). Stessa sensazione aveva provato quando, scampando miracolosamente alla morte, lui o altri, aveva pensato non si trattasse di un caso, ma di Destino (p. 129).

Nel romanzo, scopriremo in cosa consistevano le “feste di compagnia” e quelle “del maiale”, durante i momenti di riposo e di pace delle truppe (cfr. p. 43); quale effetto avessero i rumori inattesi sulla psiche dei soldati (pp. 7-8); come fossero distesi i “cavalli di Frisia”, ossia i fili spinati che si trovavano di fronte alle trincee, per impedire l'avanzata dei nemici (p. 47); quanto e come fossero vere le goliardate degli Sturmtruppen di Bonvi (cfr. pp. 54-55); quanto grottesca e alienante fosse la vita di trincea, in generale (esemplari le pp. 49-56, in primis); e quanto commovente fosse poter finalmente incontrare un nemico (p. 64) nella “Terra di Nessuno”.

EJ partì per il fronte “ubriaco di guerra”, come tutta la sua generazione, e non soltanto in Germania. L'eroismo, la pietà, la compassione, il sangue e la disperazione forgiarono la sua anima, e la sua letteratura. Questa prima, giovanile prova è il manifesto della sua predisposizione alla narrazione; della sua irrequietezza, della sua vitalità, e della sua capacità di sopportazione. Del male, della morte, della sconfitta. Notevole.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Ernst Jünger (Heidelberg, 1895 - Wilflingen, 1998), scrittore e filosofo tedesco. Esordì pubblicando “Nelle tempeste d'acciaio” nel 1920. Studiò Filosofia e Scienze Naturali a Lipsia.

Ernst Jünger, “Nelle tempeste d'acciaio”, Guanda, Parma, 1990. Nuova edizione: 1995. Traduzione di Giorgio Zampaglione. Introduzione di Giorgio Zampa. Collana “Biblioteca della Fenice”.

Prima edizione: “In Stahlgewittern”, Leisnig i.S., 1920. It: 1961.

Approfondimento in rete: WIKI It

Gianfranco Franchi, novembre 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.