Reportage
Ediciclo
2018
9788865492512
Nicolò Giraldi, giornalista e scrittore triestino, classe 1984, sangue istriano e veneto, non conosceva la storia della migrazione dei carnici fino a pochi anni fa: una volta ascoltata, ne era rimasto infestato, aveva continuato a dialogarci, nel tempo. E così, un bel giorno ha indossato i suoi “panni, le scarpe ormai stanche, gli occhi degli altri insieme ai miei, le storie e le vicende di chi si è messo in cammino prima di me, prima di chiunque altro”; s'è preso un bastone, ha convocato qualche amico, ha dato appuntamento ad altri, per la strada, e a un bel tratto ha deciso di partire, di partire per un cammino che doveva durare una ventina di giorni. Si è chiesto se ci fosse qualcuno interessato a una storia del genere – la storia di un cammino durato secoli interi, protagoniste centinaia di famiglie carniche, dirette in Istria, giù, fino a Dignano; un cammino sostanzialmente “fantasma”, senza letteratura, senza quasi più memoria, frantumato prima dalla cortina di ferro, poi da due frontiere bislacche, quasi fosse diventato una “allucinazione da confine orientale”; ha trovato sponda nel suo vecchio amico Luigi Nacci, poeta e scrittore triestino, papà della viandanza, direttore della “Biblioteca del viandante” di Ediciclo. E così Giraldi ha restituito le Alpi Carniche, la pedemontana, la pianura friulana, il Carso e larga parte dell'Istria più fascinosa e meno raccontata, quella dell'entroterra; è andato costeggiando, in certi tratti, il Tagliamento e l'Isonzo, borghi fantasma, paesi vivi e paesi spopolati, cercando di mantenere viva l'empatia per quei carnici che per trecento o quattrocento anni sono andati per quelle strade, probabilmente perché la terra istriana costava meno, altrimenti perché dovevano andare a vendere la loro mercanzia, da ambulanti, oppure perché le mule istriane erano più belle, vai a sapere, oppure perché erano semplicemente stanchi di faticare su quella loro terra, fatta per lo più di pendii indomabili, “le poche zolle coltivabili preziose quanto il legno”, e allora alé, a piedi, a cavallo o su un cocchio, prendevano e andavano, cercando magari ospitalità dalle famiglie carniche che abitavano da Trieste in giù...
“Nel vuoto. Il cammino dei dimenticati” è la terza uscita della “Biblioteca del viandante”: viene dopo il fascinoso “Maldifiume. Acqua, passi e gente d'Arno” della Baldanzi e dopo il più intimista “Io cammino da sola” della Beltrame; concettualmente, conferma, come già il lavoro della Baldanzi, una volontà di raccontare storie, popolazioni e territori poco fortunati, sin qua, nelle patrie lettere; esteticamente, come già l'esordio di Giraldi, vale a dire “La Grande Guerra a piedi” [2015], conferma le attitudini giornalistico-letterarie dell'artista triestino, buon reporter, viandante sensibile e tormentato, portato più per l'aneddotica e al limite per lo sketch antropologico che per il rigore storiografico; graficamente, è presentato da un'ispirata illustrazione di Fabio Consoli. Si sente la mancanza di qualche foto in b/n, qua e là, a intervallare la narrazione; poteva essere una scelta sensata, soprattutto perché buona o massima parte dei paesi raccontati o almeno nominati da Giraldi sono conosciuti, sostanzialmente, soltanto dagli abitanti, nel caso del Friuli, oppure dagli esuli e dai loro discendenti, nel caso dell'Istria (purtroppo escludo che la massima parte dei nostri connazionali conoscano o sappiano localizzare, alla cieca, Gimino, Antignana, Piemonte e Sanvincenti; so che c'è qualche possibilità in più per la romantica Momiano, per la spettrale Portole e per la piccola Civita di Bagnoregio istriana, Montona. Pochette, purtroppo, ed è una cosa che mi fa una malinconia terribile). C'è una cartina da consultare, a sinistra dell'esergo, dopo il frontespizio – è già qualcosa, è qualcosa. “Nel vuoto” ha un altro punto debole: ogni tanto, si pone come meditazione “generica” sulle migrazioni, en passant, puntando a “normalizzarle”, a cronicizzarle forse, perdendo di vista l'eccezionale e raro contesto trattato; segno dell'epoca che stiamo vivendo, di un interrogativo evidentemente quotidiano o quasi per l'artista, tuttavia aspetto filologicamente molto discutibile; indebolisce la coerenza e la tenuta della narrazione, in più punti, distrae dal viaggio, ti spinge a guardare il cielo e non più gli occhi dei vecchi o dei compagni di cammino (o dei fantasmi). Buona, invece, e forse particolarmente encomiabile, la sensibilità nei riguardi degli sloveni del Carso – le pagine dedicate a Prosecco, Santa Croce e dintorni sono piuttosto efficaci e veraci; altrettanto buoni e apprezzabili i ripetuti ed elegiaci richiami all'esodo degli istriani, al lancinante vuotamento dei borghi e dei paesi, all'ostinata volontà di tenere viva la storia, i nomi e le memorie dell'Istria, nonostante la crudeltà e la vigliaccheria del maledetto Novecento.
Gianfranco Franchi, aprile 2018.
Prima pubblicazione: Mangialibri.
Per approfondire: GIRALDI in Porto Franco [2 schede + 1 intervista]
Sulle tracce di un cammino che per secoli ha portato i carnici in Istria, tra borghi fantasma, paesi vivi e paesi spopolati…