Bianca e volta
2012
9788896400005
Il triestino Diego Manna, biologo marino classe 1979, ha inventato una strada nuova per fare satira: prendere la struttura convenzionale degli articoli di divulgazione scientifica in ambito accademico e adattarla, mantenendo fermi canoni e stilemi, per raccontare con allegria, originalità e personalità diversi endemismi di Trieste. E già in questo senso è ben riuscito nella complicata impresa di forgiare un paradigma nuovo per la satira nostrana. Ma Manna è andato al di là del solito anche dal punto di vista linguistico: in sostanza, ha scritto il suo libro in anglo-triestino, prendendosi assolutamente gioco dell'inglese semplificato e sciatto adottato in tutto il mondo come koinè, nei commerci come nel turismo, e dimostrando quanto quell'inglese sia vicino all'esperanto. Non solo: così facendo, ha restituito dei funambolismi che in passato aveva tentato, fondendo il dialetto triestino e la lingua inglese, in primis, soltanto il matto irlandese che amava Trieste, cioè il professor Giacomo Joyce, nella corrispondenza privata, non solo famigliare, e, su un altro e più liminare livello, nel tendenzialmente illeggibile e allucinato “Finnegans Wake”. Non ho in mente altri modelli di anglo-triestino diversi dalle cartoline e dalle lettere di Joyce – quando, per dire, chiamava il suo “Ulisse” il libro di “quel là de mare grega”, con calembour comprensibile solo al di là dell'Isonzo – per raccontare in che lingua è scritto “Monon Behaviour”: e questo è un altro aspetto degno di nota.
Il pubblico italiano – e quel pubblico inglese che conosce bene la realtà di Trieste, o mastica almeno un poco di dialetto veneto, nella sua singolare e mezzacrucca e mezzaslava variante patoca triestina – cosa può aspettarsi dai tre volumetti (disemo pure: tre fascicoloni) che compongono la saga di “Monon Behaviour”? È presto detto: una ricca, arguta e insolita introduzione allo spirito della città di Trieste e dei triestini; una limpida lettura delle insanabili differenze tra triestini [giuliani] e furlani [friulani]; una intelligente e approfondita disamina sui vari tipi di cittadino triestino, dal sapore antropologico e sociologico al contempo. E poi, il pubblico italiano può finire per ghignare parecchio soprattutto per le pagine sulle caratteristiche Olimpiadi delle Clanfe, vale a dire le Olimpiadi dei Tuffi. Hanno elementi indiscutibilmente patochi ma possono essere facilmente esportati e riadattati dal Veneto in giù.
Prima di entrare nel vivo dell'opera, e raccontarvi quali parti, tra le diverse incluse nei tre fascicoli del “Monon Behaviour”, vale a dire “Il comportamento del mona”, ho più apprezzato o trovato divertenti da condividere, provo a raccontare come, tecnicamente, Manna ha raccontato ogni singolo endemismo triestino, dal più assurdo e strampalato al più ordinario e demenziale. Aspettatevi, tendenzialmente, una struttura del genere: “Abstract, introduction, materials & methods, results, discussion, conclusion e acknowledgements”, il tutto condito, con splendida irregolarità, da foto, grafici e illustrazioni. D'accordo? Alè, e via andare.
Cosa caratterizza Trieste e la triestinità? L'etologo Manna non ha dubbi: “The production of monades”, e in questo senso la città è at the avanguard “and for this reason it is always far from any problems”. L'ideologia tipica è la “viva l'A e po' bon methodology, so eradicated in the triestin's culture that it is even a song” [e.g.: Pilat]. Il senso del motto cittadino è, circa, “viva l'Austria e via”, con memoria dei sei felici secoli passati sotto egemonia imperiale austriaca, sino a neanche cento anni fa, come a dire che si poteva vivere bene dedicandosi alle cose giuste con lo spirito adatto, senza soffrire di nazionalismi, bevendo spritz, guardando quel che succede nel frattempo intorno e magari schizzando cristiani al mare, con robuste e funamboliche clanfe.
A proposito di spritz, quello vero, sembra che nel territorio triestin ci sia il “greatest spritz consumption rate in the world, apparently because of the message 'bira me fa mal', exposed by a famous local philosopher [Pilat, 1977]” [volume I, p. 9].
Riferisce Manna che i triestini è possibile incontrarli in diversi frangenti: “at Barcola, spalmed on zement; in the city, drinking spritzets; in sagres, eating cevapceecees; in osmitzes, eating porsuts, drinking acetic acid and singing popular and Laidos songs” [volume I, p. 18].
Barcola is one of the most important places of the city, especially during the summer. In fact in that period they say che i triestini xe tuti a Barcola, su'n scoio, mentre i furlani lavorano nei campi, da veri cavalieri del lavoro [Manna: “Laborious Furlans”]. Da quelle parti, a Barcola, si trova una singolare quantità di mularia – come vedremo a breve – e di vecie crodighe, a volte ostili.
A Barcola si può apprezzare un “triestin endemic behaviour” di grande interesse, come s'anticipava: la clanfa. Manna rileva che l'unica cosa che si sa è che una clanfa perfectly performed tende a produrre the greatest quantity of schizzs possibile. E nella sua indagine racconta, in primis, come si performa questo classico tuffo:
“The clanfa is performed by jumping from a rock or from whatever you want and viva l'a e po' bon and exposing your panz to the sea with arms and legs wide open and body arcuated back. A moment before the contact with the sea, you have to close yourself with the shape of horse's zoccolo (the clanfa) and then, just after you are inside the water, you have to reopen yourself to produce a pression wave and to not go down like a pampel against the bottom” [I, p. 10].
L'etimo tedesco della parola “clanfa” potrebbe essere ricondotto al famigerato cittadino austriaco Thomas Klanf, de Miramar. Klanf era un servitore del povero nostro Massimiliano, che per vendicarsi dell'amore non corrisposto per Carlotta ogni mattina si produceva in un tuffo che serviva “to wash completely Massimiliano in his bed, taking his secret revenge”.
Tornando alle clanfe. In città, si tengono periodicamente delle Olympiads. Gli atleti sono suddivisi in cinque diverse categorie: “fioi [younger than 12], muleti [13-16 years old], muli [17-25 years old], muloni [26-36 years old], vecie bobe [over 36]” [I, p. 11].
Nel corso della sua accurata analisi, nel secondo volume, Manna racconta quante e quali possono essere le clanfe, come possono essere performed e come poterne sperimentare di nuove, e dove. Non manca nemmeno una mappa degli stabilimenti e dei territori, in genere, in cui lanciarsi e via. Nel primo volume, racconta un altro prestigioso endemismo cittadino, vale a dire il “Pissing Challenge” dal Molo Audace; recentemente penalizzato da feroci multe, poteva trasformarsi nel più complesso “Pissathlon” [I, p. 23]. Ma ha prevalso l'altra filosofia cittadina, antagonista della “Viva l'A e po' bon”: la crudele cultura del “No se pol”, conosciuta a livello mondiale per via della sua nordamericana e grottesca antitesi, la obamiana “Yes we can”.
Vale la pena riferire che del Modo Audace si torna a parlare nel volume III, a pagina 14, laddove si racconta cosa può accadere when the Molo is iazated, e qualche mulone gioca a sbrissar, complice magari una buona Bora.
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Manna dedica parte delle sue analisi ai vicini di casa, i labourious furlans, che vivono al di là dell'Isonzo. Spiega, tanto per cominciare: “Furlans speak a very strange language, so strange that it's difficult to understand a klintz, while triestins speak a language more accessibile”. E al di là di questo irrisolvibile nodo linguistico, conferma quanto raccontavano i nostri nonni, vale a dire che i furlans sono “great working heroes”, maestri nel “fantasy porconing”, in questo forse eredi dei veneti, capaci di articolare furibonde bestemmie con aggettivazioni insolite e cruente. Non manca una pubblicità ludica, quella del gioco da tavola “Friko”, guerra tra Triestins e Furlans, con i Bisiachi come possibili alleati dei Triestins e tutta una serie di carte da giocare. “Choose your favourite armada! Pass the Isonzo with your full armed furlan tractor or make a tsunami in the Gulf with your triestin clanfadores!” [I, 34].
Nel secondo volume scopriamo che il classico “lanfur”, vale a dire il cittadino furlano rapsodicamente ospite di Trieste, può essere incontrato in questi contesti: “In osmeeza asking a tajut, at Barcola taking a panzada, in via Comerciale with a tractor”. Rimane da spiegare cosa sia un osmiza, perché del tajut abbiamo parlando analizzando i libri di Flavio Santi. Disemo che si tratta di una fraschetta carsolina in cui i triestini scompaiono, in certi periodi dell'anno, per bere, mangiare e cantare; ne tornano intrisi di scontrosa grazia e robuste gratade di kren. Il kren è il rafano in versione patoca, decisamente più piccante.
Nel terzo volume, infine, Manna si domanda, in una “mystic research”, se Dio xe furlan o no: si tratta della complicata “genesis of all the pupoli”, vale a dire “the great dispute to establish if God is lanfur or not”. I Furlani hanno un detto, “Ancje Dio al è Furlan; sa nol pae vuei, al pae doman”, che afferma con certezza che anche Dio è furlano. Ma i Triestini replicano: “Dio no xe furlan, e se no paga ogi paga doman”, sostenendo con robusta convinzione e maggiore credibilità esattamente l'opposto.
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Esemplare l'analisi della Mularia cittadina, nel volume II [“Monon Behaviour Ciu”]. Spiega il dottor Manna: “Triest is very famous in all the world to be the city of the mularia. Boys are called 'muli' and girls are called 'mule'. This led some forestis people to not understand well what triestins are speaking”. [II, p. 13]. Ma è possibile orientarsi in questa altrimenti complessa geografia umana autoctona, grazie alle sottili distinzioni del nostro ricercatore. Manna infatti distingue correttamente numerose specie di triestino, e a ciascuna dedica una buona definizione: dai forse accessibili “mulon”, “muleto”, “mona”, “moneto”, “monon”, “cagainbraghe”, ai più criptici “boba”, “bobana”, “nagana”, “cugno”, “trapoler”, “picon”, “tara”, “legera”, “grembano”, “sbriso”, “vanzador” [cfr. almeno II, pp. 14-16]. Si finisce per avere una chiara visione sociologica e antropologica della cittadinanza, e in particolare del terribile antagonismo tra “nagane” e “legere”, e delle potenzialità della “bobana” o della “boba marza”.
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Bon. Molto altro ci sarebbe da raccontare, almeno sulle distinzioni sui diversi tipi di caffè [III, pp. 48-49], sul disastro della Ferriera [III, p. 74 e ss.] e del mistero delle tre clacsonate in Galeria Naturale, sulla Costiera Route [III, almeno p. 40], ma ho la sensazione di aver restituito uno spaccato credibile dell'opera. È il caso di dare merito, almeno in coda, alle edizioni BiancaeVolta che hanno creduto in una ricerca così originale e completa, e questo nonostante siano Furlans.
A Diego Manna vanno la riconoscenza e lo stupore del cittadino, del letterato e del lettore – perché “Monon Behaviour” è una satira divertente, intelligente e originale, e piena di morbin. E tutta, orgogliosamente, assolutamente, triestina. E via andare.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Diego Manna (Trieste, 1979), biologo marino e scrittore triestino. Collabora con Bora.la. È un ecologista convinto.
Diego Manna, “Monon Behaviour”, Bianca & Volta, 2009-2010. Tre volumi.
Gianfranco Franchi, aprile 2012.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Masterpiece patoco.