Vallecchi
2003
9788884270702
“La casa di Meucci, fin dai tempi in cui vi abitava Garibaldi, era una specie di porto di mare. Vi transitavano e vi si soffermavano in tanti: un po' per curiosità nei confronti di quel vecchio pazzo e di quella macchina parlante che egli oramai da anni si vantava d'aver costruito, un po' per autentici slanci di amicizia e di affetto. E chiunque giungesse in quella casa finiva, dietro le insistenze del Meucci, per collaudare quell'apparecchio (…) restavano senza fiato, con gli occhi sgranati a contemplare quegli strani strumenti legati l'un l'altro con decine e decine di metri di filo” (p. 139)
Esule in America per ragioni politiche (cfr. p. 53 e ss.), lo sfortunato cittadino Meucci, originario del Granducato di Toscana, massone per comodità, inventore poliedrico e autodidatta, rappresenta e ha rappresentato la grandezza del genio italiano: a dispetto di tutto. L'uomo che ha inventato il telefono è vissuto ed è morto in povertà, umiliato dalla legge statunitense che s'ostinava a preferirgli Bell come ideatore del medium che avrebbe cambiato per sempre la comunicazione; e così questo vecchio fiorentino dagli occhi acquosi e dalla lunga barba bianca, immalinconito dalle incomprensioni e dai fallimenti delle sue imprese, forse padre (vedi paratesto nell'Appendice) di un bambino affidato presto ad altri e vissuto ben lontano dai genitori, se ne è andato in silenzio per entrare, rumorosamente, nei libri di storia.
“Meucci” di Franco Capelvenere è la prima biografia romanzata italiana del toscanaccio classe 1808: l'autore racconta e trasfigura l'esperienza esistenziale dell'inventore, a partire dalla sua infanzia, attraverso i disordini della giovinezza (era un sognatore, svagato e distratto; era probabilmente una testa calda), le prime esperienze di lavoro (daziere a Porta Romana; attrezzista alla Pergola), l'amore per l'adorata Ester, il difficile viaggio transoceanico (per le condizioni degli emigranti, cfr. p. 61) i primi esperimenti compiuti a Cuba e a Staten Island, l'amicizia con Garibaldi e le imboscate delle aziende statunitensi che non volevano, allora, che uno stravagante italiano fosse ricco, fortunato e coperto di gloria, preferendogli chiaramente un altro wasp.
Meucci ha probabilmente ideato il telefono per risolvere un problema pratico, in Toscana, nei suoi giorni da attrezzista: riuscire a parlare con gli altri tecnici senza interrompere o disturbare la rappresentazione (cfr. p. 35 e ss.). E così, due imbuti e un filo lunghissimo e sottile, l'antenato del telefono s'era materializzato. Tutto è nato per risolvere, con fantasia e con mezzi semplicissimi, un problema strutturale: il telefono nasce per essere solo e soltanto funzionale. Un supporto essenziale per comunicare a distanza senza interrompere o infastidire nessuno. È bene ricordarsene.
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L'opera, destinata a colmare una lacuna incomprensibile delle nostre patrie lettere, è completa di avvincenti ricostruzioni del dibattito processuale (telettrofono vs telefono), di toccanti retroscena sulle vicende della famiglia Meucci e sugli altri inventori-ombra (Manzetti, pp. 108-109, è solo uno dei tanti...) e di bizzarre notizie sulle sperimentazioni elettriche (galvanizzazione, etc) non estranee a quel toscano matto e sfortunato. Tecnicamente non è un capolavoro, e tuttavia va considerata con grande rispetto proprio per la scelta dell'argomento e per il taglio della narrazione. In clausola, una discreta bibliografia per quanti volessero approfondire la questione Meucci.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Franco Capelvenere, giornalista e scrittore italiano. Ha lavorato col “Giornale” di Montanelli, “La Nazione”, “Italia Oggi”; ha diretto il “Corriere del Mezzogiorno.
Franco Capelvenere, “Meucci. L'uomo che ha inventato il telefono”, Vallecchi, Firenze 2003.
Gianfranco Franchi, giugno 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.