Voland
2002
9788886586856
“In principio era il nulla. E questo nulla non era né vuoto né vacuo: esso nominava solo se stesso. E Dio vide che questo era un bene. Per niente al mondo avrebbe creato alcunché. Il nulla non solo gli piaceva, ma addirittura lo appagava totalmente. Dio aveva gli occhi perennemente aperti e fissi. Se anche fossero stati chiusi, nulla sarebbe comunque cambiato. Non c’era niente da vedere e Dio non guardava niente. Era pieno e denso come un uovo sodo, di cui possedeva anche la rotondità e l’immobilità. Dio era soddisfazione assoluta. Non desiderava niente, non aspettava niente, non percepiva niente, non rifiutava niente e niente lo interessava. La vita era di una pienezza talmente intensa che non era vita. Dio non viveva: esisteva. L’esistenza non aveva avuto per lui un inizio percettibile” (p. 7).
“Metafisica dei tubi” è l’autobiografia dei primi anni di vita di Amélie Nothomb, nata e cresciuta in Giappone, figlia d’un console belga. Non è un’autobiografia convenzionale – si raccontano i primi tre anni della creatrice (l’incipit impone di non chiamarla, almeno non immediatamente, autrice; e non per semplificazione, ma per traduzione); e sono tre anni descritti con sarcasmo, irriverenza, blasfemia e intelligenza.
È una neonata cui viene diagnosticata un’ossimorica “apatia patologica”, cresciuta e trattata come deliziosa piantina, è una terza figlia che non parla, non emette suono, rimane addirittura perfettamente immobile: è un “nulla che occupa spazio”. In questa condizione, non può che comprendere che il tempo è “un’invenzione del movimento” (p. 15): chi non si muove non può percepire lo scorrere del tempo. Ha dunque “forza d’inerzia”, come Dio (p. 13): è un tubo, un tubo flessibile – enigmatico e perfettamente funzionante. A nulla valgono i tentativi dei genitori di liberarla da questo metafisico status: né la musica, né i digiuni riescono a sbloccarla. Non sa reagire a nessuno stimolo proveniente dall’esterno, perché crede che già uno sguardo sia una scelta: pretende l’esclusione di qualcosa dal campo visivo, e la dedizione ad altro: è dunque un rifiuto. “Vivere vuol dire rifiutare. Chi accetta ogni cosa non è più vivo dell’orifizio di un lavandino. Per vivere bisogna essere capaci di non mettere più sullo stesso piano, al di sopra di se stessi, la mamma e il soffitto. Bisogna rinunciare a uno dei due e decidere di interessarsi o alla mamma o al soffitto. L’unica scelta sbagliata è quella di non fare una scelta (…)” (p. 16) .
Passeranno due anni prima che il muto tubo-Dio decida di farsi sentire: gridando, per ore, passando dall’apatia all’irritabilità patologica; infine, complice la prima scoperta del piacere e l’irresistibile tentazione della cioccolata, comincerà a parlare.
In un anno l’incredibile spirito di osservazione, la sensibilità e la spregiudicata curiosità della piccola, deliziosamente narcisista, spugna capace di interiorizzare e giudicare eventi e mutamenti con una apprezzabile coerenza, determinano un percorso esistenziale solcato da passioni furibonde, rischi mortali, conflitti generazionali (tra le due tate giapponesi, la buona governante Nishio-San, umile e devota, e l’aggressiva e perfida Kashima-San, nostalgica del decaduto Giappone e votata all’odio nei confronti della razza bianca padrona), tragiche rivelazioni del senso dell’esistenza e della caducità della bellezza.
È un’autobiografia atipica, provocatoria e scintillante di letterarietà; s’incontrano invenzioni geniali (cfr. episodio dell’aspirapolvere, p. 35), esotiche, appassionanti e perturbanti descrizioni della natura e della cultura giapponese, senza mai dare l’impressione di sovrapporre aneddoti o di giustapporre bozzetti: il testo si sviluppa con grande armonia, senza mai risultare compiaciuto della propria originalità e senza mai cedere alle seducenti tentazioni dei barocchismi.
È un grande tributo alla parola – è il grande libro dell’incarnazione della Parola, la testimonianza di come la Parola vada a costituire l’essenza stessa della realtà, fondandola, definendola e scolpendola; è la testimonianza incrollabile che il Nulla si caratterizza come antitesi del Verbo. Privarsi della lettura di questo libro significa privarsi d’un vizio – e al vizio è ingiusto e insano resistere, sempre. “Nei salotti si incontrano persone che si vantano, a voce alta e convinta, di essersi private per venticinque anni di questa o quella delizia. Si incontrano anche grandissimi idioti che si gloriano di non ascoltare mai musica, di non aprire mai un libro o di non andare mai al cinema. Ci sono anche quelli che sperano di suscitare ammirazione per la loro assoluta castità. Dopotutto è giusto che se ne vantino: non avranno altre soddisfazioni nella vita” (p. 30).
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.
Amélie Nothomb (Kobe, Giappone, 1967), scrittrice belga di lingua francese. Ha esordito nel 1992 pubblicando il romanzo “Igiene dell’assassino”.
Amélie Nothomb, “Metafisica dei tubi”, Voland, Roma 2002. Traduzione di Patrizia Galeone.
Prima edizione: “Métaphysique des tubes”, Editions Albin Michel, Paris 2000.
Gianfranco Franchi, settembre 2004.
Prima pubblicazione: Lankelot.