Stampa Alternativa
2001
9788872262221
Antologia delle lettere di Carroll, selezionate in ordine cronologico (1864-1896) e indipendentemente dai destinatari, secondo la sensibilità di Carla Muschio, “Matto per le bambine” è un'edizione elegante e intelligente di un epistolario di formidabile interesse per due diverse ragioni. La prima, quella che personalmente trovo essenziale e seducente, è la letteratura. È da queste pagine che nasce un'opera di genio come “Alice nel Paese delle Meraviglie”, è in queste lettere che si sprigiona la libertà creativa, anarchica e sregolata di Carroll. Chi ama i nonsense, i calembour e i giochi di parole, in generale, le ambiguità semantiche, le acrobazie e i funambolismi e via discorrendo, qui può trovare quanto cercava, e attingere idee nuove.
La seconda, quella che oggi pare più attuale e rilevante, è il dubbio sulla natura effettiva di queste lettere – intendo dire, sulla loro valenza: Carroll era forse un pedofilo frustrato, che con il beneplacito delle madri scattava foto di nudo alle piccole (e meno piccole) donne che ospitava in casa, oppure si serviva semplicemente delle bambine per avere relazioni con le madri? Nella seconda ipotesi, da buon italiano sorrido e glisso – e aggiungo: bel lavoro, diacono Carroll. Quanto alla prima, non posso che umanamente confidare che, al di là delle foto, niente abbia corrotto l'innocenza di quelle bambine. Mi piace pensare sia andata così, e non vedo perché dovrei cercare del marcio laddove nessuno può provare sia esistito. Dubitarne ha senso in sede psicanalitica o di studio linguistico; più avanti rileggeremo quanto ne scriveva Almansi in “Bugiardi”, poco prima di morire, e ciascuno deciderà che posizione prendere.
Inchiostro porpora – quello delle lettere di Carroll – ritorna in questa rara edizione delle sue lettere, completa di una selezione delle foto scattate dall'autore: “E' stata da poco inventata la tecnica della fotografia – scrive Carla Muschio nell'introduzione – e Lewis Carroll si attrezza per praticarla. Con il suo nuovo strumento esegue molti ritratti, specializzandosi subito in ritratti di bambini, più precisamente di bambine. Il processo di impressione della lastra fotografica è lento e viene di solito eseguito in studio. Le foto di Carroll, che fanno di lui uno dei fotografi più importanti dell'epoca vittoriana, ritraggono le bambine con espressioni ora di innocenza, ora di furbizia” (p. 8).
Per apprezzare il talento fotografico di Carroll: navigate nel sito di Princeton, oppure in LewisCarrollSite.com. Scoprirete che non ha fotografato soltanto bambine, e che davvero c'è qualcosa di pionieristico e di peculiare nel suo stile.
Torniamo alla presentazione della curatrice, per completare il quadro: “Come un corteggiatore assiduo, Carroll invia alle bambine bigliettini, regali, auguri di compleanno, le invita a teatro, a fare colazione a casa sua, a risiedere (da sole) per qualche giorno nella sua casa al mare. E a farsi fotografare, possibilmente nude. Nessuno è cieco, né Carroll né i genitori e nemmeno le bambine. Anche se non molesta le bambine, è lui il primo a dire che la situazione è sconveniente e previene le madri in ogni scrupolo. Esse sono libere di negargli le loro belle figlie” (p. 9). E questo è quanto, per quel che riguarda la questione delle foto; si dovrebbe aggiungere, per provare a decifrare sommariamente e superficialmente un quadro biografico-estetico complesso e inusuale, che Carroll, cresciuto più circondato dall'affetto delle due sorelle maggiori e delle sue minori che da quello genitoriale – la madre ebbe undici figli – fu a volte, piuttosto, costretto a fare da “madre” alle sorelle (cfr. postfazione di Giorgio Bubbolini).
Una certa abitudine a giocare con le bambine può essere derivata da una ferita d'infanzia che niente poteva cancellare né rimarginare. Una sorta di tendenza a ripetere atmosfera e spirito dei giochi d'infanzia, con il giocattolo tecnologico nuovo, la macchina fotografica, potrebbe significare il desiderio di fermare il tempo o di tornare nel tempo in cui Carroll fu abbandonato dall'affetto materno, per indagarlo o per sublimarlo. Questa la mia congettura.
Ora: come interpretare le lettere? L’inganno e l’artificio sono strumenti d’un gioco: di inganni e artifici è composta la sostanza delle lettere spedite da Carroll. Almansi, in “Bugiardi”, le definisce “paido-dirette” per via della loro capacità di aderire alla dimensione “infantile” del gioco della comunicazione: oltre che “paido-dirette”, sembrano “pseudo-dirette”, nel senso che in più di una circostanza Charles Dodgson del Christchurch College, Oxford, entrato nell’eternità col nome di Lewis Carroll, giocherà sull’ambiguità del significato e del senso quasi a suggerire che “le lettere vogliano essere infide, e debbano essere riconosciute come tali”.
In sostanza, potremmo dedurre, con Almansi, che la lettera spedita da Carroll a una bambina sia un gioco che afferma di essere un gioco, e che risulti difficile non essere blanditi dal nonsense: la lettera stessa invita a non essere creduta, secondo una “retorica dello svantaggio cara all’autore”: ma con altre, riconoscibili e basse finalità. “Non è necessario che tu mi creda, non esser tanto pronta a prestar fede alla gente” – scrive Carroll a Mary MacDonald.“Non importa affatto come si inizia una lettera, né, a dire il vero, come si prosegue e nemmeno come si finisce” – in una lettera a Agnes Hull.
Secondo Carla Muschio, curatrice di questa edizione, “se vogliamo leggere qualche pagina di nonsense carrolliano in più possiamo cercarla nelle sue lettere alle bambine. Lì, come sarà stato anche negli incontri personali con le bambine, troviamo il Carroll che amiamo. Esagerato, violento, aggressivo, bugiardo, ma anche spiritoso, affettuoso e sempre innamorato. Quando troviamo nelle lettere dello scrittore il suo affetto smodato, i suoi giochi di parole, le sue storie strampalate siamo grati a quelle mamme vittoriane che hanno concesso alle loro figlie di frequentarlo, permettendogli di praticare con loro il suo speciale dono di mago dell'assurdo. Pensate: se Alice Liddell non avesse insistito, non avremmo potuto leggere nemmeno 'Alice nel paese delle meraviglie', perché non sarebbe stato scritto” (p. 16)
Scegliete da che parte stare. Il mio consiglio è di assecondare l'intento della Muschio. Perché così vi godrete storie improbabili di libri lanciati in testa al vescovo di Oxford, scambi di identità tra Charles Lutwidge Dodgson e il suo letterario pseudonimo Lewis Carroll (lettera a Dolly Argles, 28 novembre 1867), oppure rivelazioni sulla loro grande amicizia (a Isabel Standen, agosto 1869); assurdi viaggi tra Pechino e il Perù (piene di code di volpi da mangiare, e di gigli per i capelli); balli da rinoceronte (il pavimento crolla!), e lezioni di oblio, mezzi bambini (tutte braccia o tutte gambe), canarini che diventano grassi tacchini e gatti viandanti spiaccicati come frittelle.
“Matto per le bambine” è la fotografia di un'epoca e della creatività di un artista che incarna il paradigma di un mistero che non vogliamo risolvere. Vogliamo, piuttosto, nutrircene. A oltranza. È un esercizio sublime.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Reverendo Charles Lutwidge Dodgson, alias Lewis Carroll (Daresbury, Cheshire, 1832 – Guildford, Surrey, 1898), matematico e romanziere inglese.
Lewis Carroll, “Matto per le bambine. Lettere e ritratti”, Stampa Alternativa, Viterbo, 2001. Collana Fiabesca, 65. A cura di Carla Muschio. Postfazione di Giorgio Bubbolini. Contiene foto e lettere autografe di Carroll.
Gianfranco Franchi, marzo 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.