Castelvecchi
2008
9788876152344
La mistica della politica nuova si fonda su un pensiero forte: sradicare la presenza dei partiti dalle istituzioni e dalla vita pubblica, perché l’essenza dei partiti è totalitaria, e chi è fedele alla verità è nemico dei partiti; perché i partiti nascono per esercitare una pressione collettiva sul pensiero dei cittadini, perché i partiti esistono solo per giustificare la crescita del loro consenso e del loro potere e non del benessere del popolo: perché il fine del partito è esso stesso. Cancellarli tutti. La resistenza vera è il rifiuto individuale dell’oppressione, non l’esecuzione di ordini provenienti da chi detiene il dogma (p. 15): quando Simone Weil, filosofa e rivoluzionaria francese, si schierava contro l’infame e mortifera influenza del partito comunista sovietico sulle sue cellule europee, su una classe dirigente di patetici scherani, freddi esecutori di ordini insensati, sciocchi persuasi che la verità fosse quella decisa e riconosciuta dal partito e dal partito soltanto, erano i primi anni Quaranta. La Francia soffriva l’inadeguatezza d’una classe politica figlia del sistema partitico: esecrabili e vacue lotte tra partiti, scorticate dal tempo come i brandelli dei loro cartelli elettorali, e delle pubblicità affisse sulle strade. Il nemico primo dell’intelligenza, della giustizia e della libertà era quel partito comunista che si sentiva niente affatto distante dai totalitarismi che avevano sfiancato e mortificato nazioni europee: la Weil ribadiva che chi era fedele alla verità era nemico del partito: che il movente del pensiero non è il desiderio di conformità a un insegnamento (p. 17), e che il pensiero non si può in nessun caso demandare a una posizione politica pregressa e preesistente. E andava, mistica solare, a parlare di giustizia e verità come fossero valori assoluti: nemica dei ludi del relativismo, poteva scrivere: “Un uomo che non abbia preso la risoluzione di fedeltà esclusiva alla luce interiore insedia la menzogna al centro stesso dell’anima. Le tenebre interiori sono la sua punizione” (p. 40). Essere fedeli a se stessi impone di prendere distanza dalle direttive del partito: il partito dirotta il vero nell’utile alla sua sopravvivenza e alla sua affermazione, precipita l’umanità nella menzogna e nel crimine, alienandola al dubbio, alla ricerca e all’autonomia.
E infine oggi – diceva la Weil, e noi sappiamo benissimo cosa intendesse dire: non era un pronostico, era una disperata dichiarazione d’autocoscienza – “l’operazione di prendere partito, di prendere posizione pro o contro, si è sostituita all’operazione del pensiero”. Quindi? Avanti. “Si tratta di una lebbra che ha avuto origine negli ambienti politici, e si è espansa, attraverso tutto il Paese, alla quasi totalità del pensiero”. I partiti sono lebbra. Una lebbra che avanza. “Non è certo che sia possibile rimediare a questa lebbra, che ci sta uccidendo, senza cominciare dalla soppressione dei partiti politici” (p. 56).
E chissà quanto avrà sorriso l’unico, Max Stirner padre della libertà dell’individuo, e dell’indipendenza del pensiero. Lui, che aveva denunciato l’abominio del comunismo sin dai suoi primi vagiti, pagando con l’isolamento e l’incomprensione la sua illuminata visione di quel morbo omicida.
Nella prefazione Breton ribadisce la necessità – ha toni più morbidi – dell’indipendenza del candidato dal partito: soprattutto qualora il partito sia esecutore di ordini provenienti da lontano. Sappiamo da dove, era il 1950. Governavano la cultura e la vita pubblica di nazioni sovrane europee. Quel tempo s’è concluso, le rovine del muro sono polvere che intossica i polmoni di chi di quella menzogna si nutriva; e ora, che anche l’ultimo muro – Gorizia – è caduto, s’avvicina la resa dei conti con quegli intellettuali che hanno servito il dogma. Peccato soltanto che abbiano – da bravi – cambiato pian piano bandiere, servendo padroni nuovi con la stessa sottomissione e la stessa sudditanza che loro, umanoidi figli delle gerarchie comunarde, ben conoscevano. E la stessa estraneità al vero e alla coscienza, alla battaglia per l’indipendenza e l’equidistanza dalle parti in causa, ribadiscono sventolando stendardi azzurri, rossocrociati o bianchissimi. Quel bianco è il pallore d’un cadavere che in vita s’ostina a restare. Il partito.
Manifesto originariamente pubblicato a sette anni di distanza dalla morte dell’autrice, 1950, è a disposizione degli intellettuali e degli artisti italiani per volontà delle edizioni Castelvecchi. Che consegnano, una volta ancora, strumenti di lotta a quelle intelligenze che rifiutano d’appartenere a uno Stato che non ha più nulla della Nazione: a partiti che non hanno niente a che fare con la libertà, e con la difesa del bene comune: a una cittadinanza che ha abiurato la giustizia, e difende soltanto la legge. Del più forte: quello che comanda.
Resistere alle passioni, nel pensiero – questo insegna la Weil – e combattere crimine e menzogna, assassini dello spirito. La propaganda del bene principia dalle origini: dalla deviazione prima del criterio di rappresentatività, ossia l’assimilazione tra cittadino e partito. È falso, e la nostra volontà è diversa.
Splendido.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Simone Weil (Parigi, 1909 – Ashford, 1943), si laureò in Filosofia all’École Normale Superieure, insegnò e fu operaia di fabbrica alla Renault per scelta di vita: voleva capire le reali condizioni del popolo. Militante della sinistra rivoluzionaria, antistalinista.
Simone Weil, “Manifesto per la soppressione dei partiti politici”, Castelvecchi, Roma 2008. Traduzione di Fabio Regattin. Progetto grafico Maurizio Ceccato.
Prima edizione: nella rivista «La Table Ronde» n. 26, febbraio 1950.
Quindi: “Note sur la suppression générale des parties politiques”, Gallimard, Paris 1957.
Gianfranco Franchi, giugno 2008.
Prima pubblicazione: Lankelot.