Ediciclo
2016
9788865492079
Quaderno d'antropologia fiumarola; lirico omaggio al fiume Arno; tributo, sentimentale e politico, ai mulini, alle fabbriche e alle industrie andate a remengo, e ovviamente, più di tutto, ai lavoratori e agli artigiani che da generazioni s'erano consacrati a quei mulini, a quelle fabbriche, al fiume, e adesso vanno cercando, con fantasia e profondo rispetto della natura, una funzione diversa (un ruolo diverso, un equilibrio nuovo) per evitare l'ennesima grigia emigrazione in città, l'ennesimo estraniante e forse cancellante inurbamento. Non solo: “Maldifiume. Acqua, passi e gente d'Arno” [Ediciclo, 2016; pp. 240, euro 15] è, come già il precedente tributo al territorio di Simona Baldanzi, vale a dire “Il Mugello è una trapunta di terra. A piedi da Barbiana a Monte Sole” [Laterza, 2014], un combattivo omaggio ai partigiani e ai caduti della Resistenza: in più d'un frangente, è tecnicamente un pellegrinaggio laico per luoghi simbolici e lapidi e monumenti, per ribadire viva la memoria, per rinnovare la professione di fede dell'artista. Infine, è un libro di complessa lettura psicanalitica, e forse non poteva essere diversamente, visto che è un libro d'acqua, anzi addirittura un libro sulla portata dell'acqua (novecentesca, simbolica, estetica: in tanti sensi), forte di una coscienza limpida e schietta: “L'Arno è troppo, non si può contenere. Non posso fare ricerca storica” [p. 85].
Ouverture della collana “La biblioteca del viandante”, diretta dal poeta triestino Luigi Nacci, padre della viandanza, destinata a fare la gioia di quei lettori che vanno cercando “libri per sognatori diurni”, “Maldifiume” sta a metà strada tra un reportage, un diario e un memoir; e come spesso accade nella narrativa della Baldanzi (toscana, classe 1977), è puntinato di poesia. Così: “L'Arno mostra il suo carattere ribelle, fa marachelle fra le lastre di pietra, sobbalza e non si tiene, come un torrente adolescente, un continuo schiamazzo, è acerbo e vigoroso insieme” [p. 59].
Oppure così: “I colori del cielo si placano verso la sera. L'Arno qua ti fa spazio, sei utero chiuso e protetto. Rimettere i piedi a terra mi fa sbandare un po'. Sento dei piccoli brividi alle gambe. Guardo l'Arno, lo accuso e lo ringrazio. Perché non esiste il mal di fiume, come il male di mare, come il mal d'auto? Perché sento che tutto dentro me si è depositato, come un letto di fiume, e allo stesso tempo tutto prosegue?” [p. 82].
Da Capo d'Arno a Bocca d'Arno, allora, a scoprire cosa è per la Baldanzi il fiume, cosa è diventato, come è cambiato, e qual è oggi il rapporto tra i toscani e l'Arno: a domandarsi “come viviamo il fiume che passa paesi, parchi, città, che si muove vicino a ferrovie, autostrade, che sibila sotto i ponti, che divide comunità in due rive, che attrae e spaventa insieme” [p. 11], durante un viaggio con tratti a piedi, altri in bici, altri in barca, per reminiscenze d'antichi ex voto etruschi e lamento del martirio dei centootto di Vallucciole, per racconti di rabdomanti e di sorgenti sotto l'Arno e indagini filologiche “a ufo”, per ricordi d'infanzia e di famiglia e sbandamenti da trasformazione, e tanti microcosmi proletari restituiti con personalità e semplicità. I momenti migliori sono quelli in cui la poesia si tinge quasi di mistica, in certe descrizioni, come già nei precedenti libri della Baldanzi; i momenti più deboli sono forse quelli in cui il genuino slancio operaistico dell'artista la spinge un po' fuori strada, e in certi passi sembra quasi di maneggiare un documento di archeologia industriale (come già capitava col “Mugello trapunta di terra”, per me quasi una Spoon River della Emmelunga e dei suoi lavoratori). La passione politica e la coerenza della Baldanzi sono fuori discussione, probabilmente non c'è nessuno capace di pareggiarle, tra le scrittrici della nostra epoca: l'artista è incendiata da un impegno civile d'altri tempi, a volte letteralmente travolgente, altre volte così radicale che appare quasi evangelico. È una delle sue più veraci cifre stilistiche.
In copertina, una bella illustrazione di Fabio Consoli, quasi una giapponeseria. All'interno, un'appassionante mappa del viaggio. In epigrafe, un saluto ai dannati d'acqua dolce e un omaggio a “Furore” di Steinbeck, e alla gente che non muore mai fino in fondo, e continua come il fiume: “Magari cambia un po', ma non finisce mai”.
Gianfranco Franchi. Monteverde, ottobre 2016
Quaderno d’antropologia fiumarola; lirico omaggio al fiume Arno; tributo, sentimentale e politico, ai mulini, alle fabbriche e alle industrie andate a remengo, e ovviamente, più di tutto, ai lavoratori e agli artigiani che da generazioni s’erano consacrati a quei mulini, a quelle fabbriche, al fiume…