Machi di carta. Confessioni di un omosessuale cubano

Machi di carta. Confessioni di un omosessuale cubano Book Cover Machi di carta. Confessioni di un omosessuale cubano
Alejandro Torreguitart Ruiz
Stampa Alternativa
2002
9788872267349

A Cuba leggono “La fattoria degli animali” di George Orwell. Non so con quali risultati e quali prevedibili interpolazioni, considerando che si tratta della più feroce satira del comunismo della storia della Letteratura e che il loro regime non è nuovo alla censura e all’ostracismo nei confronti dei ribelli: stando a quando scrive il misterioso Alejandro Torreguitart Ruiz, narratore cubano classe 1979, è così (p. 22). Io – con tutta la fiducia che posso portare al prodigioso Ministero della Cultura locale, democratico come pochi – credo invece che non sia possibile e proprio questo passo mi ha fatto dubitare che l’autore sia un cubano. Alejandro Torreguitart Ruiz. C’è qualcosa che non quadra…

Le notizie biografiche relative a Torreguitart sono poche, vaghe e non di rado in almeno discreta contraddizione. Sappiamo – dai primi tre libri – che è uno studente di Letteratura Spagnola dell’Università de L’Avana. È del 1979, potrebbe – dovrebbe – aver ormai terminato. Secondo il Miami Herald, tuttavia, da anni è “establecido en Milán”. Leggiamo che scrive su una rivista accademica, “El Barrio”, che risulta irreperibile: ma potrebbe non avere nessun riferimento on line. Sappiamo – dai libri di Lupi: cfr. “Un’isola a passo di Son” – che suona in una sconosciuta band locale, “Esperanza”. Scrive (ha scritto) molto: il nuovo romanzo breve, il quarto, “Cuba particular” è in uscita nel 2007 per Stampa Alternativa. Considerando che il giovane non ha computer e macchina da scrivere, e che da due anni Lupi non può andare a Cuba per via di problemi politici col castrismo, dobbiamo quindi credere che Lupi ha archiviato fino al 2005 parecchi scritti del giovane, o che la spedizione dei manoscritti avviene per complesse e meno ortodosse vie. In compenso, a fronte dell’abbondanza dei testi, non abbiamo sue fotografie. Sempre nei libri di Lupi leggiamo che quando la redazione di un quotidiano gliene domanda una risponde che a Cuba non hanno macchine fotografiche, perché costano troppo – se non ricordo male. La questione è complessa, come si vede, e non poco misteriosa. La scelta potrebbe salvaguardare la riconoscibilità del giovane; ma allora il nome dell’autore è falso, per ovvie ragioni.

A voler invece stabilire corrispondenze e coincidenze con la narrativa di Lupi, e in generale con la sua produzione, le simmetrie non sono poche. Cominciamo ad evidenziarle. Topos primo: la fuga d’amore. Il protagonista di questo romanzo breve sbarca in Italia, per amore, grazie a una scappatoia burocratica: la soluzione della sua difficile vita habanera è quindi quella della fuga, più o meno fortunosa, che nei romanzi di Lupi abbiamo già incontrato, ad esempio, in: “Il ragazzo del Cobre” (ne “L’età d’oro”: direzione Italia); “Nella coda del caimano” (ne “Nero tropicale”: direzione USA) e con esito negativo in “Il giustiziere del Malecón” e troveremo in Torreguitart Ruiz anche ne “Vita da jinetera” (direzione Italia).

Topos secondo: libeccio e gabbiani, protagonisti della nostalgia cubana di Maicol, che nelle prime pagine di questo romanzo ci racconta la sua vita a Livorno (che somiglia molto a certe strade di Cuba…) sembrano provenire dritti dritti dall’opera prima di Lupi: “Lettere da lontano” (cfr. “Storia di Marco e di un gabbiano”; l’amore per i gabbiani si respirava anche in “L’età d’oro”). Se Torreguitart non è mai stato in Italia inventa con le parole di Lupi…

Topos terzo: le prime scene di iniziazione sessuale di Maicol non ricordano soltanto l’idolatria lupiana nei confronti del cinema adolescenziale di Gloria Guida, ma mostrano analogie a mio avviso chiare (questi professori col vizio dei ragazzi e delle ragazze…) con “La pornoscuola”, recentemente apparso in “Sex Condicio”. Ma torniamo alle contraddizioni. Nelle prime battute, Maicol sa già che il suo libro uscirà in Italia, pensa che qui non ci stupiremo della sua omosessualità dichiarata; in Italia vive da diverso tempo e sa bene che da queste parti non esiste il mito del machismo. In “Vita da jinetera” cadrà il discorso delle “confessioni di un omosessuale” perché sarà Torreguitart a raccontarci che Maicol sì esiste ma non è mai andato in Italia, figuriamoci a Livorno; piuttosto ci conferma di trovarsi a L’Havana. L’espediente varrà a raccontare la stessa storia, soltanto in chiave eterosessuale (ne parleremo per tempo) e con migliore resa stilistica.

Maicol non è una jinetera, ma da come viene descritto nel libro fa una vita da jinetera; amori, violenze, mantenimento da parte di cubani più abbienti, avventure con stranieri… diciamo che la distanza prima tra “Machi di carta” e “Vita da Jinetera” è la confezione: omosessuale o etero. Il libro, ribadisco, è sostanzialmente lo stesso. Ma non divaghiamo, come direbbe Lupi (e scrive Torreguitart, tradotto, a p. 108). Se l’intento di questa pubblicazione era raccontare Cuba non solo dalla parte dei cubani, ma a firma d’un cubano – perché così risulta inevitabilmente più credibile – Lupi ha fatto bene a inventare uno pseudonimo. Non solo ripetendo la lezione dei registi più amati (quanti pseudonimi, da Deodato e D’Amato in avanti…), ma dimostrando ai contemporanei quanto sia stupida la xenofilia a tutti i livelli. Un cognome straniero è garanzia di qualità e credibilità: se è un nostro concittadino a raccontare i drammi d’un’altra nazione, in narrativa, l’appeal è inevitabilmente minore. E così, con un bel cognome che finisce in –z, la perplessità nei confronti del narratore italiano si dissolve in un attimo…

Se invece Torreguitart Ruiz davvero esiste, e non solo lo vedremo in foto ma presto sapremo se e dove vive e come scrive e quanto e cosa rischia, stando a Milano o a L’Havana, raccontando la prostituzione coatta di parte del suo popolo, sarà interessante appurare quante e quali sono state le influenze reciproche tra lui e Lupi. Perché, in questo caso, c’è una simbiosi – temi, topoi, tecniche di denuncia – tra due autori; e il fenomeno è parecchio interessante e non nuovo. Andrebbe approfondito. Diventerebbe eccezionalmente interessante, ad esempio, domandarsi cosa significa quel “vero comunista” con cui Lupi appella il giovane cubano, nell’introduzione. “Vero” perché contrario al consumo a ogni costo: non vive per avere. E in ogni caso, sotto Castro, non potrebbe essere altrimenti. “Comunista,” considerando l’acquisita e ribadita fama di democratico di Lupi, diventa una categoria complessa da analizzare. Insomma: una dialettica tra i due, a questo punto, andrebbe esaminata e scandagliata a dovere.

La morale della favola di questo libro sarebbe questa: Castro proibisce la pornografia a sfondo di denuncia, come in questo caso, trattando questo libro come “impubblicabile”, ma avalla la lettura (nelle scuole!) de “La fattoria degli animali”. Qualcosa non torna. A ciascuno la libertà d’interpretare, a Lupi quella di sgretolare queste mie congetture.

Adesso ancora qualche parola a proposito del libro. Provo a trattarlo come una semplice opera prima d’un autore di lingua spagnola, dimenticando tutte le mie perplessità. È un’opera prima giocata sul filo della pornografia e della denuncia della condizione dei cittadini; una sorta di romanzo di formazione tutto fondato sul sesso, con una coloritura politica che riesce appena a risollevarlo oltre il livello dell’analogo diario in tutte le posizioni e con tutte le varianti di Melissa Panarello, pessima pubblicazione pseudo-diaristica datata sempre 2003. Stilisticamente il tratto peculiare è un periodare breve, singultico e compassato, sulla falsariga di Hemingway (cfr. secondo libro di Torreguitart, “La marina del mio passato”, più che debitore de “Il vecchio e il mare”), meno probabilmente di Carver. Diciamo che è un pornohemingway.

È un libro prevedibile, una volta entrati nel meccanismo: i capitoli sembrano strisce d’un fumetto, dialoghi secchi e descrizioni minuziose di orgasmi, fellatio, violenze, cunnilingus imposti, sodomia, orge e via dicendo. Il giovane Maicol (“Michael” spagnolizzato) è un mulatto 23enne che balla bene e viene da un contesto famigliare difficile; la madre – al secondo matrimonio – è debole e buona, il padre ubriacone, machista e violento. In Italia è arrivato grazie al matrimonio con un’amica lesbica del suo fidanzato: vive a Livorno, nostalgico, pensando che in qualche modo la città somiglia alla sua terra.

A Cuba – rifiutate boxe e baseball – l’infanzia è passata a giocare con le bambole e a eccitarsi sotto le docce, guardando gli amici. Presto cominciano le violenze: cinghiate quando capiscono che è dell’altra sponda, travestito da donna a una festa in maschera. Inutili i tentativi di andare con una donna (approccio in sala, al cinema); lui con le donne commenta le novele, che sappiamo popolari a Cuba grazie ai libri di Lupi. Ecco quindi fellatio a gruppi di dieci persone (e quanto gli piace), storia col Professore di Educazione Fisica e di Tecnica (dalle fellatio alle penetrazioni col compensato); violenze subite nei locali, da un amico, travestimenti da donna per rimorchiare prima, inventata verginità per ispirare protezione, tanto sesso in cambio di soldi o di qualcosa da mangiare, orge e via discorrendo. Maicol entra in una compagnia di ballo, chiaramente viziosa e libertina, e via con festini a base di sesso e droga – con tanto di viaggio in Europa e sesso in aereo, come “Emmanuelle” – interludi di menage a trois con coppia svedese, avventura con uomo sposato e infine – purtroppo – il drammatico sigillo della prima morte di AIDS di un amico.

Prima d’incontrare Luca, dell’Italia conosceva Roma, Firenze e Pisa. Milano di nome. Da un anno vive a Livorno, si trova bene e insegna a ballare salsa e merengue (dominicana ma comunque cubana per noi italiani). Ha messo la testa a posto, ha perso Cuba ma ha trovato l’amore e la democrazia.

Poco davvero per poter gridare al caso letterario, a questo punto. A meno che – questa è la mia posizione – non sia un libro di un eclettico, vulcanico e fertile scrittore italiano, che con questo pseudonimo è riuscito finalmente a pubblicare a buon livello narrativa ambientata a Cuba, conquistando anche le attenzioni – tra gli altri – de “L’Espresso”. La mia lettura è questa qui. Mi interessa Lupi e la sua dedizione a Cuba, lui leggo e apprezzo, riconoscendo coerenza e linearità negli anni, pure nel non ordinario eclettismo; trovo invece che il giovane Torreguitart non valga Gutierrez, nemmeno come imitatore (e del resto… in patria nessuno poteva leggerlo, sbaglio?). Punto.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Alejandro Torreguitart Ruiz (L’Avana, Cuba, 1979), scrittore cubano. Probabile pseudonimo di Gordiano Lupi.

Alejandro Torreguitart Ruiz, “Machi di carta – confessioni di un omosessuale cubano”, Stampa Alternativa, Roma 2003. Traduzione e Prefazione di Gordiano Lupi.

Gianfranco Franchi, Giugno 2007.

Prima pubblicazione: Lankelot.