Via del Vento
2011
9788862260497
Qualche anno fa, commentando un libro di racconti di Dagerman, scrivevo: “il fallimento delle interazioni con l’alterità e la disfatta d’una lacerante tensione comunicativa d’ogni personaggio sono così sistematici da sembrare irreali. Perché patologici. L’archetipo del protagonista delle storie di Dagerman è quello d’un irrisolto egoarca, che sembra andare oscillando tra una blanda (ma nervosa) ricerca di comprensione, partecipazione e ascolto (in due parole: testimonianza, riconoscimento) e una rovinosa e inconsolabile ritirata in se stesso. L’io è il rifugio: l’io è l’origine del male. Perché è l’io d’un genio della sofferenza”.
Non sapevo che nell'edizione italiana di quella raccolta, “I giochi della notte”, mancava un pezzo: questo. È grazie alla sensibilità degli spesso spiazzanti tipi della Via del Vento di Pistoia se possiamo sfogliare la prima versione italiana del racconto breve “L'uomo di Milesia”. Nella postfazione, il curatore Marco Alessandrini ci riferisce che si tratta di un brano scritto nel 1947. Secondo lui siamo di fronte a una pagina che “sgorga dal cuore della scrittura di Dagerman. È il sismogramma dell'infinito terremoto che da essa promana: una corsa a perdifiato da un'angoscia all'altra”. Non male.
Questo racconto è un vagabondaggio iniziatico per la città. Un vagabondaggio allucinato e febbrile, con inevitabile ma non fastidiosa reminiscenza hamsuniana. Un vagabondaggio malato e furioso per diversi quartieri di una città – in cerca della verità su quel che è accaduto in uno di essi, a Milesia: in cerca della memoria di quel che il narratore ha commesso, a Milesia; riuscendo infine a oggettivare, come scriveva Andrea Gibellini nella prefazione all'edizione Iperborea dei “Giochi”, il proprio disagio esistenziale con spietatezza irrevocabile. È così che succede, anche in questo frangente.
Il narratore prende e va a camminare per strade di quartieri che non conosce, esorcizzando come può l'angoscia per una misteriosa, recente disoccupazione, spendendo qualche lira con una disinvoltura che proprio non potrebbe permettersi, confondendo man mano realtà e sogno. La sua vicenda va trasfigurando giornate di angoscia e di insonnia, di una vita in un appartamento non abbastanza grande “da poter alloggiare le angosce, anche di notte”: di un ipertrofico senso di colpa, di un rimorso che man mano riesce a tracimare.
“L'uomo di Milesia” è la rappresentazione fedele di un'instabilità psichica che riesce, nonostante qualche giocata manieristica, ad avvincere e inquietare. Alessandrini parla di un cinematografico “incubo a tre compartimenti, o quartieri, intercomunicanti, dove il protagonista sembra dibattersi in un furore di incontri, presagi, pulsioni, a lui al tempo stesso esterni e interni”: è davvero una definizione ispirata. Come tutta la sua postfazione.
Partite da questo racconto, se siete neofiti di Stig, e poi prendete e scandagliate il catalogo Iperborea. A fondo. Il talento di Dagerman scintilla in libri come “Bambino bruciato” o come “Il nostro bisogno di consolazione”: nutritevene per tempo, a dovere, a oltranza. Come si conviene. A oltranza.
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE
Stig Dagerman (Älvkarleby, 1923 – Stoccolma, 1954), scrittore, poeta, saggista, sceneggiatore svedese. Diresse “Storm”, giornale della gioventù anarchica. Debuttò pubblicando il romanzo “Ormen” [“Il serpente”] nel 1945.
Stig Dagerman, “L'uomo di Milesia”, Via del Vento, Pistoia 2011. Traduzione di Marco Alessandrini. Copia numero 899. 2000 le copie in circolazione. Collana “Ocra Gialla”, 53. ISBN 978-88-6226-049-7
Per approfondire: WIKI it / Dagerman.se
Gianfranco Franchi, luglio 2011.
Prima pubblicazione: Lankelot.