Meridiano Zero
2007
9788882371494
Il sandman è, in diverse culture occidentali, uno spirito che sorveglia il sonno e i sogni dei bambini spargendo sabbia magica o polvere sui loro occhi. Se al risveglio si ritrova qualche granello sulle ciglia, quella è prova della sua presenza la notte prima. Wiki ricorda le principali traduzioni e riscritture letterarie del mito, naturalmente deviazioni gotiche, da quella di E.T.A. Hoffmann (“Der Sandmann”, 1817, riletta da Freud nel 1919 in “The Uncanny”) a quella di Andersen (“Ole Lukøje”, tradotta in “The Sandman”, 1842); quindi, i vari fumetti e i diversi omaggi rock (da Roy Orbison a Enya, dai Genesis ai Metallica). Non nomina Miles Gibson. Perché?
Perché in questo caso The Sandman è un’allegoria, e un prestito dal linguaggio giornalistico; macabro, come macabro è ogni nomignolo che i media mainstream vanno affibbiando agli assassini metropolitani, i serial killer. In comune con il Sandman, c’è che William Burton dà il sonno: è un uomo nero lucido e spietato, ma non freddo. È scosso da pulsioni contrastanti, è impaurito e impulsivo. L’Uomo della Sabbia della tradizione occidentale appare solo qui, nelle sue memorie d’infanzia: “Immaginavo l’Uomo della Sabbia come un selvaggio locale, mezzo uomo e mezza bestia, un cadavere ciondolante ripieno di sabbia umida. Sveglio, non lo vidi mai, ma spesso mi veniva a trovare nei sogni. E più crescevo e più oscuri diventavano i miei sogni” (p. 22) – era, in accezione italiana, il suo babau.
Opera prima di Miles Gibson, giornalista inglese, ex pittore divenuto art director e copy, “The Sandman” (“L’uomo della sabbia”) è il diario del serial killer William Burton: letto dallo stesso omicida, in punto di decidere se s’è avvicinato il momento di consegnarsi alle autorità o meno. Notevole l’espediente di reiterare le prime pagine del romanzo nelle ultime del diario, senza variazioni; accresce la percezione di realismo, suggestiona. Ha qualcosa in comune con un altro illustre omicida letterario, “Il re di Atlantide” di De Swarte: in entrambi i casi, ci troviamo di fronte alla sconvolgente condivisione di esistenze segnate dalla solitudine, dalla pazzia, dal precoce incontro con la morte; da un amore impossibile, e da relazioni sentimentali estranee all’equilibrio. Là, dove Geoffrey impagliava creature, qui William parla con le bambole; Geoffrey custodiva un faro, William era proprietario d’un albergo. Disperatamente soli, nell’isolamento sviluppano una ossessione nei confronti della morte; è una morte che giudicano conquista, i loro morti diventano parte integrante delle loro esistenze; in De Swarte impagliati, qui fotografati – in ogni caso il concetto mi sembra analogo: sono “undead” nella psiche dell’omicida, con differenti supporti, iper o ipo realistici, tri o bidimensionali.
Miles Gibson conosce uno humour nerissimo, normalizzante ma non semplificante. I suoi cadaveri vegliano e infestano sogni e realtà, testimoni di quella morte che lui ha incarnato e animato, e che un giorno conoscerà in prima persona. I dialoghi con le vittime sono brevi, deliranti e tuttavia, paradossalmente, credibili; c’è chi s’abbandona alla sua volontà, chi si ribella (grottesco) e cerca corruzione multipla o persuasione impossibile. Tutti finiscono fotografati, campionati per un album di tetri ricordi; l’unico modo per conquistare la presenza dell’alterità, di quest’uomo così solo, è fotografarne la morte e meditarla. Eternandola in se stesso. Diciotto gli uccisi, a dispetto dell’abnorme numero assegnato dalla stampa; che lo chiama Shiva, Dottor Morte, Aureo Mietitore, Macellaio (p. 17) per non ammettere la realtà. L’omicida non è l’uomo nero, è il vicino di casa che ha visto morire il padre da bambino, e non ha capito come sia accaduto; ha visto impazzire la madre, e l’ha osservata defraudata della libertà e dell’autonomia in uno di quei centri d’igiene mentale, prigioni senza gabbie e con tanti televisori, che vanno puntinando l’inconscio della nostra società, invisibili e tuttavia presenti.
È mite, cortese, gentile: “perfetto per l’omicidio” (p. 41) – e non sente rimorsi, sente paura, non ha impulso suicida, ma piuttosto si nutre e s’alimenta della sfida lanciata delle forze dell’ordine e dalla stampa. Intanto conosce il sesso come perversione gentile, quella d’una donna-levriero che si eccita pensando alla morte, alla violenza o all’annientamento della volontà; è una che conosce piacere soltanto simulando qualcosa di impossibile e di radicale. Lui è suo strumento, episodico, negli anni, sin quando – ironia della sorte – lei non viene massacrata dal marito, macellaio e lavoratore infaticabile.
La scrittura di Miles Gibson è una febbre lucida, avvincente e debilitante; distante dalla superficie profonda, sempre inabissata nel passato e nelle memorie. Il suo omicida non rifiuta il dolore e la sofferenza; è andato oltre tutto questo, la realtà gli è sfuggita. La plasma senza sosta; l’unico momento di rifiuto è nella morte della sua compagna di giochi, innervata da fiumi di brandy. Ha assimilato la normalità e la linearità della morte, ha smesso di patirla: d’un tratto, per dominarla, la incarna.
Destinato ai cultori del genere, agli aficionado del noir e a quanti cerchino letture della psiche degli assassini capaci d’essere assolutamente letterarie, non sociologiche né soltanto psicanalitiche, e nient’affatto mediatiche: s’intraprende quindi un viaggio negli abissi, non se ne emerge sino all’ultima battuta.
“Say your prayers, little one / Don’t forget, my son / To include everyone / Tuck you in, warm within / Keep you free from sin / Till the sandman he comes / Sleep with one eye open / Gripping your pillow tight / Exit light / Enter night / Take my hand / Off to never never land” (Metallica, “Enter Sandman”).
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Miles Gibson (Christchurch, Dorset, England 1947), giornalista, art director, copy e scrittore inglese. “The Sandman” (1984) è stata la sua opera prima.
Miles Gibson, “L’uomo della sabbia”, Meridiano Zero, Padova 2007. Traduzione di Alberto Pezzotta.
Prima edizione: “The Sandman”, 1984. Prima edizione italiana: Meridiano Zero, Padova 2000.
Gianfranco Franchi, luglio 2007.
Prima pubblicazione: Lankelot.