L’ultimo singolo di Lucio Battisti

L'ultimo singolo di Lucio Battisti Book Cover L'ultimo singolo di Lucio Battisti
Adriano Angelini Sut
Gaffi
2018
9788861651760

Non è il solito romanzo d'amarcord romano: “L'ultimo singolo di Lucio Battisti” [Gaffi, 2018; euro 22, pp. 532] è uno spaccato romanesco della seconda metà del Novecento, restituito raccontando la storia di tre famiglie dell'Urbe; una famiglia borghese giudia, una famiglia alto borghese fascista, una famiglia proletaria abruzzese. Nuova è la prospettiva della narrazione, perché piuttosto raramente, per dirla con un eufemismo, a raccontare storie giudie siamo stati noi gentili, o a raccontare storie caotiche di neofascismo e oscuri impicci con i servizi non sono stati i compagni, per lo più con una vena di complottismo paranoide, tendenzialmente in salsa antimperialista; proprio nuovissima, invece, è l'inclinazione della narrazione, perché l'artista capitolino Adriano Angelini Sut è un samurai del sionismo, un radicale capace di leggere mondi lontanissimi come quello “destro” con intelligenza e linearità, nonostante le contraddizioni e la forse irrimediabile eterogeneità odierna della galassia “destra” e nonostante la sua limpida estraneità ai circuiti e ai movimenti dei nazionalisti italiani – forse, congetturo, ciò accade perché Angelini è ancora sulla scia di una famosa e indimenticata apertura di Pannella, o perché a suo tempo ha saputo assimilarla e interiorizzarla a dovere: oggi, la pratica.

Angelini Sut è poi un atlantista militante, come ha nitidamente dimostrato il suo “Jackie”, pochi anni fa, pubblicato sempre da Gaffi: cioè quanto di più distante possa esistere dall'internazionalismo marxista, così come dal nazionalismo nostrano – al limite, questo “atlantismo” può rientrare in un discorso di “patriottismo”, in certi frangenti storici e in certi contesti strategici. Le sfumature sono piuttosto rilevanti. Spiego questo, in apertura, perché probabilmente il primo fattore di novità e di interesse del lavoro di Angelini Sut è da salutare in questa chiave politica: lettori, coraggio, venite a leggere la storia di una famiglia ebrea romana e di una famiglia di fascistoni romani, raccontate come paradigmi della vita nella città eterna nel secondo Novecento; probabilmente, nello stesso libro, questa compresenza non v'è mai capitato di registrarla; e in ogni caso, mai dalla prospettiva e con l'inclinazione che vi ho descritto. Scommettiamo?

Non stupirà, a questo punto, la notevole quantità di riferimenti sparsi dedicati a Israele, alla “questione palestinese” e al terrorismo. Viene ricordato, ad esempio, un incidente fortunatamente innocuo come quello del “giradischi palestinese” stivato in un aereo, a Fiumicino, nel 1972, così come il massacro di 34 persone, sempre a Fiumicino, per mano di un commando del “Fronte di Liberazione della Palestina”, nel 1973; si accenna a un ipotesi di accordo tra governo italiano e palestinesi [1977] per scongiurare altri attentati sul nostro territorio; si ricorda il massacro dei libanesi – dei cristiani maroniti libanesi – per mano araba, nel 1982; così come il massacro di Sabra e Shatila; il vigliacco attentato al Tempio, nel 1982, con tanto di lancio di bombe a mano e uccisione di un bambino, qui a Roma; l'attentato libico in una discoteca di Berlino Ovest, 3 morti e 230 feriti, 1986; da questo punto di vista, il romanzo è una buona iniezione di memoria [buona e certamente malinconica].

Su un altro livello, più pop, questo lavoro è un sentito omaggio a Lucio Battisti da Poggio Bustone, altra figura politicamente di rottura, sinceramente estraneo al marxismo in un periodo in cui professarlo, in ambito artistico, e praticarlo, in una delle sue molteplici e spesso caratteristiche declinazioni partitiche o extraparlamentari, era sostanzialmente “naturale” (cioè circa “obbligatorio”): un Lucio Battisti sfuggente, quello di Angelini Sut, irraggiungibile sin dagli esordi, schivo e asociale, forse addirittura insensibile all'alterità, tutto concentrato sulla sua creatività, sulla sua attività artistica, e questo sia nel periodo dell'eccezionale sodalizio con Mogol (lui sì, socialista), sia nel momento dell'opaca collaborazione con la sua signora, sia nella fase di sperimentazione e di ricerca con Panella. Il romanzo è un sentito omaggio a Lucio Battisti e a cinquant'anni di grande musica pop: l'elenco delle citazioni e delle reminiscenze è sterminato, si va da Elvis ai Doors, da Simon & Garfunkel al Venditti di “Roma Capoccia”, da Celentano a Nico Fidenco, dai Pink Floyd a Brian Eno. Libro da “colonna sonora” [per i miei parametri di ormai quarantenne, “doppio cd” da 18+18 canzoni, lasciando qualche perla per strada].

Da un punto di vista territoriale, il romanzo di Angelini Sut restituisce diversi elementi interessanti, a partire dalle frastornanti mutazioni genetiche capitoline, a cavallo degli anni delle selvagge speculazioni edilizie del dopoguerra; più volte, viene portato a esempio dello scempio del territorio quanto accaduto a Villa Pamphili – come ben sappiamo, venne sventrata e spezzata in due per costruire l'odierna “Olimpica”. L'artista romano ha saputo, nel corso del suo lavoro, restituire diversi elementi interessanti dal punto di vista storico-documentaristico, soprattutto a livello di costume, senza caricature ideologiche e senza particolari forzature; “L'ultimo singolo di Lucio Battisti” diventa anche, così, una sorta di “come eravamo” dal punto di vista tecnologico, e delle abitudini metropolitane – senza, badate bene, cadere nella nostalgia o peggio nella tecnomania (insomma, non c'è l'elegia del mangiadischi né l'ipertrofia intossicante del “geek” istupidito dagli iPod, etc).

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Veniamo a qualche cenno sui tre protagonisti principali del romanzo, e sulla loro caratterizzazione. Partiamo dal fascistone, da Romano Antei. Nipote di un gerarca, repubblichino, è figlio di un politico che ha invece un approccio molto più “democristiano”, diciamo meglio, “semplicemente più conservatore”; Romano sembra predestinato all'estremismo, sin da quando, ragazzino, judoka, sogna di diventare un samurai [“sacrificare la vita per il bene degli altri, mettere l'onore sopra di tutto”]. Sceglie il neofascismo nonostante l'opposizione schietta del padre e l'antagonismo feroce della madre, alimentando un culto per il coraggio e la coerenza del nonno; vive gli anni a cavallo del '68 con le prevedibili difficoltà, tra risse, rappresaglie, strascichi e violenze di vario genere, e vive il suo “estremo idealismo” non senza strane contraddizioni; si fa di Lsd, ogni tanto si fuma qualcosa, tiene un diario segreto che sembra più un quaderno di un letterato che altro. Si ritrova avvicinato dai servizi, probabilmente su “protettiva” imbeccata paterna. Per quanto riguarda Romano, ci fermiamo qua.

Suo grande amico è il giovane Natale De Santis, figlio di una famiglia di brava gente scesa da Teramo a Roma in cerca di fortuna, pochi anni prima: la madre sarta, il padre autista di un pezzo grosso. Natale ha una passione sconsiderata per la musica, soprattutto per Lucio Battisti, che fa in tempo a vedere esordire a Ostia; politicamente è del tutto disimpegnato, nonostante in famiglia sia circondato o quasi da compagni, più o meno fanatici antifascisti, che contestano il suo lassismo e soprattutto la sua amicizia col “camerata Antei”, decisamente chiacchierato. Questa amicizia ha invece qualcosa di incredibilmente verace, poetico e intenso – è pure pizzicata da qualche sentimento parzialmente inespresso – e regge bene al tempo, alle avversità, ai matrimoni, ai rovesci della sorte e via dicendo. Natale è un musicista talentuoso, probabilmente senza genio – tutta la sua vita sarà puntinata dalla ricerca di un dialogo, di un incontro e di una collaborazione con l'idolo d'adolescenza, il quasi compaesano Lucio Battisti.

La sorella di Natale diventerà invece moglie di Saul Leoni – il terzo, grande protagonista del romanzo. Figlio di un ebreo osservante, negoziante [un emporio], romano da generazioni, romano, prima di tutto, Saul vuole rimanere. Il suo sarà un matrimonio sentimentale, con una cristiana che potrà scegliere la conversione, e idealmente darà vita a un bambino che potrà scegliere autonomamente la sua strada e la sua appartenenza. Diverso da Saul è suo fratello Simone, invece: Simone è una testa calda, e sente forte il richiamo di Israele – scapoccia, letteralmente, quando sente che Egitto, Siria e Giordania si sono alleate contro la sua patria; nel 1973, più avanti, sente proprio di dover andare a difendere con le armi la terra “dove possiamo essere liberi di vivere come vogliamo”, nel 1979 vagheggia addirittura di entrare nella brigata Golani, dopo un addestramento allucinante, e finisce per crescere la sua famiglia parlando tre lingue in casa, italiano, inglese ed ebraico.

La famiglia Leoni è una famiglia di ebrei romani che rappresenta molto bene sentimenti diversi della nostra amata, antica comunità ebraica: chi, come me, è cresciuto a Monteverde e ha avuto la fortuna di poter avere diversi amici tra le famiglie ebree romane, sa bene quanto diversi sono state le strade e i sentimenti di chi ha scelto l'Aliyah, di chi ha saputo restare ortodosso vivendo nell'Urbe, forte di una tradizione lontanissima [sono sostanzialmente duemila anni], di chi ha sposato un'ebrea e di chi invece una cattolica, forse poi convertita; ho visto vecchi amici del quartiere partire per Israele a 19 anni, altri piangere per l'emozione dopo un viaggio a Gerusalemme o a Tel Aviv, altri contentarsi di sapere che quella è “casa”, così come casa è Roma. Eravamo bambini e ragazzi tutti insieme, ci siamo osservati e ci siamo voluti bene nelle differenze, nella solidarietà e nelle incomprensioni (pochette, direi, davvero). Angelini Sut ha scritto un libro che probabilmente parla al cuore di parecchie famiglie ebree romane, per prima cosa – eccezionale sensibilità di gentile, che finisce per dedicare il suo lavoro a Israele, ringraziata per “resistere ed esistere ancora, nonostante tutto”. Chissà come lo leggerà Piperno, chissà come saprà criticarlo.

Vorrei raccontare molte altre cose del libro – ma scrivo troppo a ridosso dell'uscita, non posso; magari mi riservo di tornarci su più avanti. Per adesso, mi limito a salutare un romanzo coraggioso e schierato [non ci piove, si sarà capito], caratterizzato linguisticamente da una periodica, ottima adozione del romanesco, destinato, politicamente, a vivere di una vita propria, e imprevedibile [e a far discutere: a oltranza]. Leggerete, mi direte.

Gianfranco Franchi, aprile 2018.

Per approfondire: ANGELINI SUT in Porto Franco [5 recensioni+1 intervista]

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