Ludmille

Ludmille Book Cover Ludmille
Andrea Coffari
Pendragon
2003
9788883421822

Ludmille” è un romanzo che andava scritto: perché, col passare degli anni, il popolo della rete sente la necessità di essere cantato, interpretato e rappresentato. E allora, bando alla disinformazione a proposito del nostro mondo, alla letteratura da salotto che ancora s’emoziona alla sola idea di scrivere “chat” o “e-mail”, ai pregiudizi che tendono a rovesciare nella Rete tutti i mali e le ingiustizie della società. Questo è un libro destinato a quanti hanno vissuto questi anni non soltanto con l’animo pionieristico dei primi esploratori d’un nuovo sistema: è un regalo per gli spiriti di carta che si sono confrontati, ascoltati, intesi. Per chi ha vissuto legami empatici, per chi ha incontrato nuove amicizie o semplicemente goduto della dialettica con altre, e altrimenti sconosciute, intelligenze: e per chi ha visto nascere amori, che – come accade al protagonista di “Ludmille” hanno un solo limite: l’irripetibilità. Ma vivono d’un’intensità e d’una bellezza altrove difficili, e inconsuete. Perché sono matrimoni di anime, che possono trovare splendida corrispondenza nella realtà: si respira eternità, e perfezione. Questo è il libro per chi vuole lasciare le porte aperte al sogno: riconoscere uno stato d’animo trascorso, e precipitare nella memoria. Perché poi, un giorno, l’assenza smetta di lacerare e di tormentare; e la letteratura possa sublimare quel che è stato, trasfigurandolo, senza tradirlo.

La lingua letteraria di Coffari – valga come avvertenza – pecca di verbosità, di ampollosità, di un’esibizione di ricercatezza che ha, in qualche circostanza, il sapore dell’ostentazione. Sta al lettore saper andare oltre, rifiutando di reputare certe aggettivazioni e certe scelte stilistiche come paradigmi d’un registro tanto desueto da apparire artificioso e cerebrale.

Sta al lettore sondare e solcare gli abissi del romanzo per riconoscere e abbracciare la straordinaria passione per la Letteratura che anima la narrativa di Coffari, scarnificando orpelli e barocchismi, sradicando bizantinismi ed eccessi d’ogni sorta, trascurando un compiacimento e un narcisismo che possono infastidire. Lo stesso narratore della vicenda, in più d’una circostanza, sembra consapevole di questa problematica: nel capitolo “Rosentdas”, a proposito di un “improbabile tramonto”, scrive: “scolpito dalle mie intemperanze verbali, secondo il lieve canto della prosa gentile e aulica” (p. 11). Poco oltre, a proposito di una dichiarazione d’amore, si parla d’un tentativo di fendere l’aria “con le lame acute di surreali verbosità” (p. 16).

Non manca, più avanti, un’allusione alla “sicumera letteraria” del protagonista (p. 30), in seguito “incontinenza letteraria” (p. 37): ma il passo più chiaro, per eliminare ogni residuo dubbio, è sicuramente il seguente: “Rimasi senza parole, proprio io, che sono una coltura intensiva di verbi, congiunzioni, ipotassi, aggettivi e pleonasmi, mi sentii incapace di reagire, come svuotato” (ancora p. 37). Prova, quantomeno, di autocoscienza, e di onestà nei confronti del lettore. Detto questo, passiamo ad analizzare trama e struttura del libro.

Ludmille” è suddiviso in nove parti: un prologo, sei capitoli, un epilogo e una appendice di Lettere. Il narratore (anonimo: conosceremo solo il suo nick, “Amleto”) racconta in prima persona: è passato del tempo dai giorni dell’incontro che ha cambiato la sua vita per sempre, e la nostalgia della purezza e dell’innocenza di quella storia è insopportabile. “Cercherò di riassumere in poche pagine – scrive – il senso di quei giorni ancora pulsanti nella mia memoria, per poi raccogliere, in calce a questa fatica, alcune delle lettere che ho scritto perché il lettore possa partecipare, senza la mediazione di un racconto, al mistero di quest’amore”.

È il mistero di un amore nato in Rete, a sublimare una fase di incomprensione tra “Amleto” (d’ora in poi non più virgolettato) e sua moglie, Elena, o a testimoniare uno stato di ricerca d’una perfetta affinità elettiva, fino a quel punto incompiuta. È il segreto d’un incontro tra due spiriti di carta, come si scriveva, che per lungo tempo non s’incontrano e passano ore a condividere i loro mondi e ad ascoltare le loro voci in chat, o via mail. Amleto era un neofita della rete: passava del tempo in chat, a corteggiare in allegro disordine qualunque nick avesse almeno una parvenza di femminilità.

Non avevo nome se non quello che avevo scelto, non avevo identità se non quella che la fantasia mi suggeriva, ma soprattutto, non avevo lacci che mi obbligavano a recitare i ruoli che mi sono consueti, potevo scrivere senza inibizione alcuna ciò che più desideravo, potevo manifestare, innanzitutto a me stesso, i tratti più audaci della mia sensibilità secondo i canoni di una elegiaca purezza” (p. 10: individuata una parola chiave, “elegia”, che ricorrerà numerose volte nel testo – fino a condizionare il lettore a interpretare questo libro come “l’elegia dell’amore in rete”).

Ed è proprio Rosentdas a cercarlo, per domandargli cosa gli ispira il suo nick: è un innesco, letteralmente, una scintilla che divampa in un incendio di sentimenti e sensazioni, e il principio di un dialogo che si tinge di poesia, disordine, intimità e desiderio. Amleto ribattezza Rosentdas col nome di una ballerina russa di cui lei gli aveva parlato, Ludmille. L’impressione è che Amleto vada scolpendo l’immagine ideale della musa in una donna “apparentemente inesistente” – ma viva, ed empatica. Si sente come “un viandante che è riuscito a dissetarsi alla fonte di un miraggio” (p. 14). È il principio del cortocircuito.

Chi ha conversato tramite Irc, o Icq, riconoscerà molti degli stati d’animo di Amleto: il senso di “riconoscimento” dell’anima affine, il piacere di “ritrovare” qualcuno che si era perduto tempo addietro (un’idea: si veda a p. 27), la percezione di una “fusione spirituale”. Il frammento che segue è decisamente fedele alla magmatica realtà della chat, colta nella sua ricchezza: “Scoprii che in chat si accendono fuochi improvvisi e violenti di singolarissime amicizie, che l’uso della parola che, muta, percorre distanze sconosciute e penetra nel corpo dell’anima con il taglio affilato della spada, può essere un’occasione irripetibile per conoscere se stessi, ma può anche rappresentare, per lo sprovveduto, il baratro dell’illusione. La chat è come uno specchio e riflette ciò che realmente cerchiamo, ci restituisce l’immagine che proiettiamo, così come è la vita, così come è il destino” (p. 77)

Notevole, altrove, la percezione della velocità degli eventi nella rete (ad esempio, si veda il terzo paragrafo a p. 23, l’ultimo paragrafo a p. 25): Coffari trasmette perfettamente l’idea di quanto velocemente si consumino passaggi da uno stato d’animo a un altro, bruciando tappe, nelle relazioni umane, con un ritmo forsennato. Inevitabilmente, la sua relazione virtuale con Ludmille (spontaneo associarla alla Lettrice di Calvino: nome parlante) attraversa fasi di “rifiuto della realtà virtuale”, tentativi di negazione della sua stessa esistenza, costanti e torrenziali mail e baratri d’incertezza e di percezione della precarietà.

Il computer diventa “muto esecutore” dei capricci di Amleto (p. 14). Sua moglie e i suoi due figli sono sempre più accantonati sullo sfondo, nonostante lui si sforzi di ribadire la vitalità del legame che lo aveva unito ad Elena, sin dai tempi del liceo e dell’Università.

Esiste Ludmille, e la quotidianità è, d’un tratto, subordinata al sogno che sta per incarnarsi nella realtà. Lei è una giovane ricercatrice dell’Università di Pavia, laureata in Lettere Antiche. Lui un laureato in Giurisprudenza che sembra non riuscire a distaccarsi dalla giovanile, irresistibile passione per la Letteratura. Perfino quando parla della situazione all’amico e collega Pablo, non si esime dall’esprimere apprezzamento per la sua tecnica linguistica (p. 21): l’impressione è quella di leggere il diario d’un’intelligenza perfino ossessivamente linguistica – e per questo, ammettiamolo, maledettamente fascinosa. Intelligenza linguistica che trova perfetto compimento nella dimensione tutta scritta della rete: Amleto spalanca il Vaso di Pandora della sua immaginazione, e libera un impressionante torrente di parole.

Passano tre mesi d’amore intenso, puro e “inesistente”, “immateriale”: s’avvicina il giorno dell’incontro, a Bologna, a metà strada tra i due mondi, Firenze e Pavia. Accadrà qualcosa che separerà, forse per sempre, gli spiriti di carta: a questo punto, lascio al lettore il piacere di avventurarsi tra le pagine del libro per scoprirlo. Concludo la recensione con le parole che Ludmille rivolgerà ad Amleto, dopo che lui ha “abbeverato il suo spirito ai suoi occhi per ore”. Mi sembra che possano convincere il lettore a proposito della natura di questo romanzo, e regalare qualche nuova, privata suggestione.

Ciò che ci diciamo è bellissimo, ma ciò che non ci diciamo è meraviglioso” (Andrea Coffari, “Ludmille”, p. 63).

Si può appartenere, davvero, al sogno.

PAROLE D’AUTORE (di Andrea Coffari)
“Caro Gianfranco, che rabbia e che tormento leggere una critica così lucida, profonda, una serie di incontestabili, cattive, sublimi verità; la prima reazione, che risale al momento in cui hai scritto la tua prima mail, è stata quella di una fastidiosa violazione della mia privacy: avevo la sensazione di aver scritto “Ludmille” per me stesso e pochi e sparuti lettori che nulla avrebbero inteso del mio personalissimo travaglio interiore, che stupido. Come si permette questo Lankelot, al secolo Gianfranco Franchi, di dileggiare le modalità barocche che appesantiscono una lirica ansiosa e surreale? Chi ha dato il permesso a questo ragazzo di muoversi a proprio agio entro i contraddittori significati della mia letteraria personalità?

E, soprattutto, la sensazione, eversiva per la mia narcisistica insicurezza, di un apprezzamento, il tuo, al quale ho istintivamente creduto, forse è questo il danno maggiore del quale ti invito ad assumerti le conseguenti responsabilità. Ma dove abita la mia ipertrofica coscienza? Quali complicati meccanismi mi permettono un equilibrio per gestire nell'arco di una sola vita l'insicurezza disarmata, il terrore di vivere ed esprimersi, la vergogna di manifestare le proprie impudiche emozioni e la necessità vitale di scrivere, di immaginare, di evadere dalla realtà narrando delle ragioni della sua esistenza: il sogno, la creazione.

Non ho mai creduto ad una sola delle numerose critiche che hanno lodato i miei lavori perché ho preferito rimanere nella dorata solitudine di chi disprezza il mondo e i suoi avventati giudizi per poter fare di me stesso ciò che più desidero, secondo il mio singolare capriccio; non è un caso che io consideri me stesso, appunto, uno dei più interessanti, eclettici e grandi scrittori del terzo millennio, non è un caso che io sia riuscito a confondere la mia grottesca autostima al punto da non farle più distinguere il talento dalla presunzione, il barocco dalla verbosa provocazione, l'insuccesso dal destino, il narcisismo dall'umile consapevolezza. Mi ripropongo di rimanere per sempre a vagare fra queste indefinibili teorie letterarie, prometto a me stesso di non cedere mai ai giudizi relativi e stupidi di questo assurdo mondo e di questa orrenda dimensione temporale nella quale sono precipitato, però tu Gianfranco, sei riuscito lo stesso a ferirmi. Mi ha emozionato il tuo fastidio nell'aver dovuto sopportare tanti avverbi, locuzioni, figure retoriche, ricami eufonici perché neppure tu hai saputo spiegare che cosa hai invece apprezzato di questo lungo racconto o breve romanzo che sia. Nulla ti è rimasto indifferente di ciò che hai letto, il fastidio è semplicemente l'altra faccia di una medaglia; dall'altra parte c'è una condivisione, una segreta paura e un inconfessabile desiderio di partecipazione non solo alla vicenda narrativa, ma pure alle modalità, ai toni utilizzati, al barocco, al dolce e improponibile stilnovo, incluso il terrore che sia melassa anziché poesia.
Mi ha fatto un gran piacere leggerti, di più, mi ha onorato la tua lucidissima e ispirata critica, di più, ho eccezionalmente creduto alle tue parole e questo, soprattutto questo, mi ha colpito, perché tu sai quale considerazione ho della mia autostima e del giudizio dei miei contemporanei. Permettimi di darti qualche risposta e indicazione. 
Lo stile letterario è dovuto all'azione coincidente  di varie concause. Innanzitutto dovevo obbedire all'imperativo morale e categorico di dimostrare a me stesso, secondo esigenze di antico sapore post adolescenziale, che ero un virtuoso della tastiera e dell'uso della lingua italiana, ma questo è solo una delle ragioni e neppure la più importante; la seconda è da ricercare “nell'intemperanza verbale”,  “nell'incontinenza letteraria” che altro non sono che istinto irragionevole, furia emotiva, amore per l'eccesso e la provocazione. Altre ragioni sono riposte nel fatto che a me piace usare vari registri espressivi, questo non è che uno; infine non trascurare il fatto che la chat, il mondo delle parole, degli amori irripetibili ma virtuali, si presta da una parte all'esaltazione (è vero, anacronistica, ma chi se ne frega?) della poesia fino a sfiorare l'overdose di lirica,  dall'altra il carico barocco da novanta che l'istinto ha voluto usare in verità è anche una sottile provocazione, vive di un'ambigua e poco percepita autoironia, tende al grottesco senza arrivarci, sfida il lettore all'immedesimazione a rischio della più rovinosa umiliazione: perché? Perché così ho vissuto la chat, così ho vissuto l'amore fra un uomo e una donna, così ho sentito cantare la mia sensibilità:  con il bisogno di esprimermi attraverso figure retoriche di ambigua bellezza, con l'orrore della banalità pericolosamente  sfiorata, con la purezza di un vissuto immaturo, con la fragilità di una ricerca autentica e sofferta delle ragioni dell'amore, con la compiaciuta malizia di chi sa di aver provocato, per  primo se stesso, fingendo(?) ingenuità e purezza. Sarà vero quello che scrivo? È completa ed esaustiva la mia noiosissima autoanalisi?” (Andrea Coffari)

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Andrea Coffari (1961?), musicista e scrittore italiano.

Andrea Coffari “Ludmille”, Pendragon, Bologna, 2003.

Gianfranco Franchi, marzo 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.