Edizioni di Atlantide
2016
9788899-591045
A quasi sessant'anni di distanza dalla prima edizione – sotto l'improbabile titolo “Lo straniero”, per la Lerici, nel 1958, traduzione di Enzo Siciliano e Aldo Rosselli – torna a disposizione il famigerato e seminale “The Outsider”, opera prima del poliedrico e oscuro scrittore inglese Colin Wilson (1931-2013). A restiturci l'esordio dell'ormai rimosso Wilson sono state le Edizioni di Atlantide, che hanno scommesso su una prima tiratura limitata da mille esemplari, nella nuova e apprezzabile traduzione di Thomas Fazi. Il saggio di Wilson, che a suo tempo sbalordì la critica inglese e si guadagnò edizioni in tutto il mondo, l'artista appena ventiquattrenne, è invecchiato con eleganza; è certamente un personalissimo studio ibrido, a metà tra uno spericolato esercizio di sociologia della letteratura, un trattatello di filosofia esistenzialista e una sorta di sconsolato autodafé di un'intelligenza alienata e appartata che rischiava l'autodistruzione (la vulgata vuole sia stato scritto in una sala di lettura del British Museum in un lasso di tempo in cui Wilson tendeva a dormire in un sacco a pelo, in un parco. Chissà che reumatismi). Probabilmente oggi giudicheremmo, nonostante la conclamata decadenza della nostra epoca, scientificamente piuttosto bizzarro un libro che va assimilando e comparando scritti di Camus, Hesse, Hemingway, Nietzsche, Barbusse, Blake, Sartre, Dostoevskij e Gurdjeff, includendo en passant una empatica notula sull'epistolario di Van Gogh, per cercare in essi, con superbo arbitrio, tracce di una figura ormai classica nelle nostre società occidentali: quella dell'outsider, cioè del non allineato, dell'autoemarginato, in un certo senso del “laterale”. E però, bizzarro quanto si voglia, questo libro mantiene fascino e capacità di coinvolgimento, a mezzo secolo di distanza, e continua a parlare di qualcosa di vivo.
Sostiene Colin Wilson che l'outsider sia, a prima vista, un problema sociale: un reietto, una nullità. Tecnicamente è uno che semplicemente sta fuori dalla società, per lo più volontariamente. L'outsider può essere un artista; ma l'artista non è necessariamente un outsider. L'outsider è caratterizzato da un senso profondo di irrealtà. È uno che ha preso coscienza del caos. È uno che crede che la verità vada detta, sempre. L'outsider è l'unico a sapere di essere malato in una società che non sa di esserlo. Rifiuta le consuetudini civili. È altro dalle consuetudini civili. L'outsider tende a esprimersi in termini esistenzialisti, perché ha capito che l'unica distinzione che conta è quella tra essere e nulla. È indifferente a tutto perché sa che tutto è irreale. L'outsider deve accettare il senso di irrealtà che ripetutamente vive e avverte, perché è nelle cose. Sa che non può mai essere libero, perché esercitare la libertà in un mondo irreale è impossibile quanto saltare mentre si sta cadendo. Il problema principale dell'outsider è conoscere se stesso. L'outsider non è mai sicuro della sua identità. Ha trovato un “io”, ma non è e non può essere il suo vero “io”: sostiene Colin Wilson che il compito principale dell'outsider sia rintracciare la via di ritorno a se stesso. Sostanzialmente, senza mai scrivere niente a proposito dell'iniziazione, o del cammino iniziatico, è probabilmente a questo che il giovane Wilson sta pensando, o comunque finirà di pensare, nel tempo – a una figura di inquieto e irrequieto pensatore che esiste per ascendere a un livello superiore di coscienza, e di consapevolezza. Non so però se Colin Wilson sia mai riuscito a guadagnarlo, questo stadio: a dar retta a ciò che è successo tra 1957 e 2013, l'enfant prodige si è liquefatto, lasciandoci un paurosamente prolifico scrittore di genere di ben altro tiro, e ben diversa fortuna. Viveva in Cornovaglia, meravigliosamente appartato, e probabilmente, tra una bolletta e l'altra, ogni tanto si chiedeva che fine aveva fatto il suo vecchio “io”.
Gianfranco Franchi, maggio 2016.
Prima pubblicazione: "Il Ponte rosso" numero 11, 2016
L’outsider può essere un artista; ma l’artista non è necessariamente un outsider. L’outsider è caratterizzato da un senso profondo di irrealtà. È uno che ha preso coscienza del caos. È uno che crede che la verità vada detta, sempre.