L’ombra e la meridiana

L'ombra e la meridiana Book Cover L'ombra e la meridiana
Paolo Maurensig
Mondadori
1997
9788804442165

"Con questo voglio dire che fantasia e memoria, fatti reali e immaginari...ogni cosa si fonde nell'altra e si dissolve come nuvolaglia in corsa; ogni forma sacrifica se stessa per dar vita a un'altra forma immediata e successiva. Questo, la mente umana. Essa ha persino il dono di correggersi retrospettivamente al punto che nulla, seppure appartenga al passato, possa considerarsi definito" (Maurensig, "L'ombra e la meridiana", I, 2).

"L'ombra e la meridiana"  è un complesso e densissimo romanzo breve: terzo libro pubblicato da Paolo Maurensig, sembra paradossalmente un "laboratorio" delle idee, delle tecniche narrative e delle tematiche adottate con fortuna e ingegno nel superbo esordio, "La variante di Lűneburg", e nel successivo,  drammatico "Canone inverso". Quindi, si congettura che si tratti di un'opera precedentemente ideata e composta. Si tratta solo di una suggestione, ovviamente: fondata su un'intuizione che non poggia su alcuna testimonianza filologica. A voler essere onesti, dovremmo altrimenti ammettere che questo libro rappresenta una sensibile involuzione rispetto ai primi romanzi dell'autore. A dispetto di una architettura piuttosto sofisticata, cicatrice forse di cospicui rimaneggiamenti e di difficoltose revisioni (le 100 pagine del libro sono suddivise in sei parti, strutturate in tre capitoli ciascuna, ad eccezione della prima, in quattro), la fluidità della narrazione e il respiro del testo risultano asfittici e la forma non è sempre felice.

È un libro sofferto, scritto per improvvise folgorazioni e squarci di luce nelle nebbie dell'anima dell'artista. Ex fotografo: ed ex fotografo è anche il protagonista del romanzo. Le riflessioni sull'arte della fotografia assumono dunque altro rilievo e altra profondità: non si tratta di suggestioni o di impressioni, ma di espressioni d'una coscienza che appare, obbiettivamente, ben radicata nell'autore. Questa è una delle rare circostanze in cui sento di avallare una ricerca di corrispondenze tra la biografia d'un artista e l'esperienza dei personaggi dei suoi libri: se la trasfigurazione d'una fase della propria carriera artistica e professionale si tinge di valori e considerazioni tanto universali, scoprirne la fonte non è intrusione nel privato né odiosa intromissione nell'intimità.

La fotografia "fissa e cristallizza la realtà. Dissangua in un certo senso il flusso della vita stessa, presumendo sia vita ciò che vita non è più".  Ancora: il fotografo, narratore in prima persona della storia, nelle prime battute racconta di trovare "rassicurante osservare il mondo" attraverso l'oculare di una macchina fotografica: la realtà appare "assolutamente definita". Tutto "è conchiuso in un cubo che è il prolungamento della mia stessa persona, un organo sussidiario della vista, della memoria".

La memoria e l'immaginazione, invece, non conoscono definitezza. Non possono essere capaci di quello che il narratore giudica addirittura un "furto ai danni della realtà circostante": sono il dominio dell'alterazione e dell'invenzione, l'humus della letteratura. La fotografia è dunque una sfida all'umanità e alla morte: l'ambizione di imprigionare la vita e di cristallizzarla, in eterno. Forse è questa la ragione per cui troviamo, nelle prime scene, il narratore a stretto contatto con un moribondo. Il narratore si premura, stranamente,  a ribadire, sin dal principio,  che quell'uomo non gli è parente in alcun modo: e continua, come un ossesso, a rubare immagini del suo lento cammino d'avvicinamento alla morte, passo dopo passo. Chiama il moribondo "Zio Eugenio" da diverso tempo: scopriremo tutto questo dopo la sua dipartita, nel corso di una tumultuosa, confusa e concettosa "confessione" ad un avventore che, simbolicamente, non sembra affatto occasionale: un sacerdote.

Prima che Eugenio muoia, il narratore fa il possibile per regalarci un ricordo della sua passata grandezza: cerca segni, altrimenti e ad altri invisibili, della sua "antica eleganza" e della sua "antica vanità". E poi, una volta testimoniata direttamente la sua morte, prima di lasciare la locanda dove alloggiava, salutato ormai come "nipote" dalla sorella di Eugenio, si libera dal male e dall'ossessione: confessando. D'essere colpevole, in un certo senso, di troppo amore nei confronti di sua madre - antica amante di Eugenio, che sedeva in tavola al posto del mai conosciuto padre, e si comportava, senza difficoltà, come autorità domestica.

Questo logorante complesso edipico non si risolverà mai: neppure va a sublimarlo l'infausta scelta di sposare, dopo la morte della madre, un'anziana signora che le somiglia: conosciuta, guarda caso, nel laboratorio di fotografia. Il matrimonio è destinato a sciogliersi: un fotografo non può accettare una falsa copia o un'imitazione dell'idolo amato. Un fotografo ha uno e un solo idolo. E vive nell'illusione che quell'idolo sia eterno. La ragione di odio nei confronti del vecchio "zio" Eugenio non è mai chiarita a dovere: che si tratti di un senso di rivalità, o dell'inconscia volontà di rifiutare di ammettere l'ipotesi ch'egli fosse suo padre, o della velleità d'addossargli la colpa della morte della mamma, o infine del desiderio di evidenziare un responsabile della propria "perdita dell'innocenza", questo non viene spiegato mai. Del resto, una storia è composta di memorie e di immaginazione: non è una fotografia. La letteratura è artificio, alterazione, trasfigurazione e invenzione. Non cura e non sempre rappresenta: esorcizza.

"Per vari giorni restai chiuso nella mia stanza, in questo remoto teatro d'insonnia, immobile, adagiato sul letto come un cadavere, senza contare più i giorni, senza curarmi più delle direzioni, dei punti di riferimento. La mia attenzione si andava disperdendo a ventaglio. Costruivo e distruggevo, sceglievo e scartavo pensieri, idee, volti. Costruivo, a tratti, solo per distruggere poi con pazienza, nascondere, bruciare, disperdere ogni cosa finché tutti questi anni fradici di voci, di rumori e parole, fossero passati una volta per sempre, come vento, oltre la stanza dei miei sonni agitati" (Maurensig, "L'ombra e la meridiana", VI, 2)

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Paolo Maurensig (Gorizia, 1943), narratore mitteleuropeo.

Paolo Maurensig “L’ombra e la meridiana”, Mondadori, Milano, 1998.

Gianfranco Franchi, gennaio 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.