Marcos Y Marcos
2008
9788871684703
Il Novecento e le sue ferite. Stone sosteneva che la prima vittima di ogni guerra fosse l'innocenza, in un suo vecchio film sul Vietnam; Menéndez Salmón racconta, in questo suo allegorico, atroce e toccante romanzo breve, che carnefice e vittima coincidono – la razza umana – e che chi ha assistito a certe atrocità è condannato alla disperazione, al male di vivere, a credere in una maligna predestinazione. Le eccezioni esistono: fanno letteratura. In tutti i sensi.
“L'offesa” è un romanzo che dovrà, è un auspicio e una sensazione, essere presto tradotto in un film. Un film che dovrà riuscire nella difficile impresa di risultare umanissimo, universale e incisivo raccontando la vita di un uomo e di diversi popoli europei in poche ore; sintetizzando l'esperienza della guerra, illustrando cosa significhi vivere al fronte e assistere a certe ingiustizie e certe atrocità, raccontando una ferita invincibile – quella di chi rimane in vita e non sente più niente, a un tratto. Menéndez Salmón andrebbe comparato col francese Marc Dugain, col Dugain del formidabile esordio “La chambre des officiers” (1999): là l'antieroe si ritrovava, orribilmente sfigurato, a vivere una vita inevitabilmente diversa, e tuttavia sapeva dimostrare una voglia di (r)esistere, di essere felice a dispetto di tutto, che non poteva che commuovere. Ma era un reduce dalla prima guerra. Il reduce della seconda guerra di Menéndez Salmón cambia identità, cambia nazione, ritrova l'ombra d'un grande amore, e tuttavia è vinto, è sconfitto. L'umanità ha testimoniato il male assoluto. Siamo marchiati a fuoco. Dobbiamo studiare nuove strategie per fronteggiare e sradicare il male.
“Ci sono corpi che si chiudono e corpi che si aprono; ci sono corpi che si abbassano e corpi che si alzano; ci sono corpi che domandano e corpi che rispondono. Ma può un corpo distaccarsi dalla realtà? Può un corpo, di fronte all'aggressione del mondo, di fronte alla brutalità del mondo, di fronte all'orrore del mondo, sottrarsi alle proprie funzioni, rifiutarsi di continuare a essere corpo, sospendere le proprie facoltà, rinunciare a essere quel che è (...)? Può un corpo dimenticarsi di sé stesso?” (Menéndez Salmón, “L'offesa”, p. 61).
Kurt, ventiquattro anni il primo settembre 1939: il giorno in cui Hitler invade Danzica. Il giorno in cui comincia la Seconda Guerra Mondiale. Neanche ventiquattr'ore e arriva la chiamata al fronte. Lui è un sarto, non è tesserato per il partito, non discende da famiglia aristocratica. Il padre lo avverte: niente eroismo. Non farsi notare da chi comanda. Restare al proprio posto.
Si ritrova numero, al fronte. Consolato dal pensiero della sua Rachel, a casa. Deviato da carte, prostitute e alcol, nel tempo libero. Passano anni. Lentamente, lavorando come sarto negli intervalli, per rammendare le divise dei commilitoni, dimentica di tutto – della famiglia, forse della sua essenza – e passa da Montmartre all'Alvernia, infine a Nantes. Per ritrovare l'azione, per combattere in prima linea. Ma in prima linea assiste a una rappresaglia nei confronti del popolo ribelle, a una decimazione classica e atroce. Rimane sconvolto dal rigore algido e disumano di chi massacra cittadini inermi, incolpevoli. E smette di capire il tedesco. Cosa fosse essere tedesco.
“Kurt pensò a Erik Satie, a Pablo Picasso, a Jules Verne, alla parola FRANCE cancellata dai carri armati, ai vulcani dell'Alvernia, a Rachel, alle raccomandazioni del padre davanti al suo boccale di birra renana. Non si dava pace; non si dava ragione; provava soltanto un freddo atroce, dalla punta dei capelli alla pianta dei piedi, che lo trafiggeva come una picca un condannato” (p. 57).
E il suo corpo, da quel giorno, perde la sensibilità. Perde ogni sensibilità. Ricoverato e sottoposto a esami e cure, distaccato in toto dalla realtà com'era, rimane un enigma per i dottori. Scrive a casa, senza spiegare l'accaduto. Scopre che la sua Rachel è stata deportata. La sua sofferenza è ormai sovrumana. Ma non riesce a sfogarla fisicamente: non sente più il corpo.
Proprio mentre sembra si stia avvicinando la guarigione, complice un nuovo, platonico amore per un'infermiera, assiste a una nuova esecuzione; stavolta, non c'è un ufficiale amico a comandarla, ma l'apparente indifferenza del medico che lascia che i pazienti tedeschi, a eccezione di Kurt, vengano portati in un campo di calcio e fucilati. Kurt vivrà una vita altra, da quel momento in avanti. Con un'identità diversa... fermiamoci qui.
Menéndez Salmón è una delle felici sorprese della nuova stagione editoriale di Marcos Y Marcos, storico protagonista dell'editoria di progetto milanese. Confidiamo possano proporci, negli anni a venire, tutto il catalogo dello scrittore di Gijon. È cinematografico e paradigmatico; giovane ed europeo. Appartiene al nostro tempo. Splendida scelta.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Ricardo Menéndez Salmón (Gijon, Spagna 1971), scrittore spagnolo. Ha studiato Filosofia a Oviedo, collabora con quotidiani e riviste (ABC).
Ricardo Menéndez Salmón, “L'offesa”, Marcos Y Marcos, Milano 2008. Traduzione di Claudia Tarolo.
Prima edizione: “L'ofensa”, Barcelona 2007.
Gianfranco Franchi, dicembre 2008.
Prima pubblicazione: Lankelot.