Einaudi
1983
9788806199456
“Forse era solo cambiato – ho detto. – O era successo qualcosa?”. Lei non risponde subito; riflette, poi dice: “Può darsi che si sia accorto di essere fallito”. E dopo una pausa breve: “Però era un fallito da sempre” (Daniele Del Giudice, “Lo stadio di Wimbledon”, capitolo terzo).
Un giovane inquieto parte per un viaggio. Parte per scoprire la verità su uno dei personaggi più notevoli della Letteratura del Novecento: Roberto Bazlen, detto Bobi, splendida figura di letterato (atipico) triestino, traduttore di Kafka e amico di Joyce, Saba e Montale, talent scout e autentico uomo di cultura, consulente prima di Einaudi poi di Adelphi. Bobi Bazlen è il protagonista segreto di questo primo romanzo di Daniele del Giudice, “Lo stadio di Wimbledon”, pubblicato nel 1983. Il giovane ricercatore, che attraversa Trieste e si ritrova infine a Londra, è affascinato dai contrasti e dalle contraddizioni di questa grande personalità, segnata dalla dolorosa angoscia del rifiuto della scrittura e della pubblicazione nel nome di altro impegno etico, estetico ed esistenziale. La scelta di Bazlen è l’ombra. L’ombra di Bazlen è però vita. Pura. Del Giudice difende invece la scrittura, sembrerebbe, come ricerca e affermazione (o ricerca per l’affermazione?) di verità: Bazlen preferiva incidere e influire altrimenti, e altrove.
L’alter ego dell’autore si avvia sulle tracce di Bazlen, morto ormai da quindici anni: interroga amici e conoscenti, vaga in cerca di segni e di simboli della sua esistenza; e pure pare trascurare (trasfigurare ulteriormente?) Trieste, assai più prossima alla odierna “Necropoli” di Pierri che all’atmosfera di isolamento, sofferenza (estraneità?) e decadenza che tanto fertile s’è rivelata nel Novecento: ed è certamente grottesco che Londra sia concentrata nelle ultime pagine, attorno al piccolo stadio di Wimbledon. Del Giudice cristallizza e soffoca microcosmi: evoca, e poi confonde.
Se si va a definire l’opera prima di Del Giudice come “romanzo di formazione”, si deve necessariamente considerare che è una formazione eccezionale e inconsueta, fondata sulla dialettica con uno (splendido) spettro e sulla riflessione più autentica sulla natura della comunicazione letteraria e della ricerca artistica: è l’ultima, severa disamina d’un autore che deve essersi lacerato, e dolorosamente, nel definire cosa significasse scrivere e cosa comportasse dedicare la propria esistenza alla scrittura: Del Giudice ne emerge con un romanzo densissimo, vivo e accattivante, contraddistinto da una meravigliosa coerenza interna e da una pregevole uniformità linguistica.
La questione dibattuta non è evidentemente la sola “liceità” della scrittura. Bazlen è l’emblema del raffinato uomo di lettere, costretto da una forma forse di ipercoscienza ad abbandonare qualunque ambizione, qualunque progetto e qualunque velleità d’affermazione artistica: naviga nel mondo dei talenti sommersi, degli incompresi e degli incompiuti, va definendo e proponendo e scavando in cerca di talenti totali e di arte nuova. Dimenticando se stesso. Bazlen segnala, propone, suggerisce; approva, e determina le scelte estetiche d’altri artisti. A volte indirettamente, è uno dei motori più potenti della cultura italiana dell’ultimo secolo. Quel che scrive è segreto: letto e testimoniato da pochi. Nel silenzio. Del Giudice sembra invece non riuscire a esimersi dall’abbandonarsi (consacrarsi, o dedicarsi: scelga la sensibilità del lettore) o dall’avventurarsi nella pericolosa ricerca della narrativa: è un viaggio al termine della propria coscienza, o al limite dei propri sogni. Il nemico, a volte, si nasconde tra i propri pensieri. È spietato, farnetica, e uccide. Parole. È allora percezione e consapevolezza dei propri limiti, e definitiva scelta.
Il giovane ricercatore accarezza, negli ultimi istanti, un maglione del perduto letterato, segno della ricezione d’un messaggio, o del senso, forse; e d’una sua nuova interpretazione. E s’avvia su una nuova strada: tra le nuvole, nell’orizzonte di carta, nella ricerca. Dell’arte nuova, dell’arte. (verità?)
“Più tardi apro un romanzo pieno di puntini di sospensione tra una parola e l’altra; ogni tanto quei puntini sono un vuoto allo stomaco, come superando una cunetta in macchina. Ad uno di quei dossi non torno più giù, e per la prima volta in questo libro mi addormento anche in un letto” (“Lo stadio di Wimbledon”, capitolo quinto).
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.
Daniele Del Giudice (Roma, 1949), scrittore italiano. Vive tra Roma e Venezia.
Daniele Del Giudice, “Lo stadio di Wimbledon”, Einaudi, Torino, 1983. Con una nota di Italo Calvino. Il libro è strutturato in sei capitoli, numerati progressivamente.
Traduzione cinematografica: “Le stade de Wimbledon”, di Mathieu Amalric, 2001.
Gianfranco Franchi, giugno 2003.
Prima pubblicazione: Lankelot.