Meridiano Zero
2008
9788882371760
Fine aprile 2009: torna in libreria, a sette anni di distanza, una chicca per bibliofili e appassionati di editoria: il primo volume della storica collana “Primo Parallelo” di Meridiano Zero, quella – per intenderci – che negli anni ha ospitato “Actarus” di Morici, “Il diavolo custode” di Balocchi, “Le madri nere” di Françaix, “La casa del silenzio” di Burnside, “Il bacio della strega” della Donoghue, “Project X” di Shepard e “Cosmic Bandidos” di Weisbecker. Sentite come la presentava Sergio Pent sull'Unità, nel febbraio 2003: “Meridiano Zero di Marco Vicentini, dopo anni di solida militanza noir, tenta ora la carta della narrativa ’sociale’ – purtroppo esistono ancora certe barricate socio-culturali. La tenta con una collana bizzarra e graficamente allettante – Primo Parallelo – dove saranno di casa scrittori e romanzi magari sconosciuti all’orecchio dei più, ma comunque determinanti per delineare le geografie internazionali della letteratura d’oggi. Sono libri annunciati anticonformisti, non convenzionali, spesso decorati da buoni riconoscimenti esteri, ma in qualche modo esclusi dal salotto buono delle traduzioni in tempo reale e magari affidati ad agenti con scarsa voce in capitolo. Mentre si annunciano in dirittura d’arrivo una 'Primordial Soup' di Christine de La Monica, un 'Per chi suona la campanella' di Jack Allen e le 'Memorie di un nano gnostico' dell’anonimo - e pseudonimo - Madsen, si parte con due testi decisamente strani, intelligenti, zeppi di citazioni, riferimenti, memorie letterarie e storiche, talvolta un po’ faticosi ma comunque ricchi di stratigrafie culturali universali”.
Il primo era proprio questo “L'incubo arabo”, opera prima di Robert Graham Irwin, classe 1946 (“The Arabian Nightmare”, 1983), già professore di Storia Medievale all'Università di St. Andrews, di Arabo e Storia del Medio Oriente alle Università di Cambridge e Oxford, infine combattente a tempo pieno per la causa delle patrie lettere (e del sonno, leggiamo in bandella. Un uomo illuminato). È un rocambolesco e fantastorico romanzo che poggia sulla tradizione delle “Mille e una notte” (“The Arabian Nights” per il pubblico inglese; il gioco di parole tra “Nights” e “Nightmare” è andato smarrito nella traduzione IT), a metà strada tra un divertissement esotico e un (rischioso) saluto ai maestri del genere (da Boccaccio a Borges). Le vicende si svolgono attorno al 1486, al Cairo. Protagonista è Balian, da Norwich, spia al soldo d'una corona europea. Obbiettivo, svelare i segreti della corte mamelucca. Grovigli politici, erotici, mistici (l'eresia del Quinto Messia: cfr. p. 157) e magici sbaraglieranno la missione, intrattenendo e divertendo (e allarmando) il lettore. Leggiamo ancora quanto annotava, magistrale, Pent: “La vittima di turno e ovviamente Balian, nella caotica geografia del Cairo nel 1486: arrivato in città, il giovane non riesce più a uscirne, e tra incontri magici – Zuleika, la signora dell’amore, il diabolico Padre dei Gatti, il putrido cantastorie Yoll – e fughe in universi senza limiti di sensazioni, la sua odissea attraversa un percorso labirintico, surreale, in cui ogni accadimento rappresenta la verità e il suo contrario, in una sfida al lettore che è la scommessa – talvolta un po’ ostica – della letteratura” (“L'Unità”, 2003).
Yoll, il cantastorie, è uno dei miei personaggi preferiti; e non solo perché, in questo libro, scopriamo stia scrivendo le “Mille e una notte”. Sentite come si presenta: “Io sono Yoll, l'unico narratore di tutto il Cairo che campa raccontando storie vere. A volte la gente mi paga perché racconti la loro storia in luoghi pubblici, forse nella speranza che possa edificare le folle o che si possa rendere famoso il nome di famiglia. Altre volte scelgo un individuo e gli rendo onore oppure lo mando in rovina raccontando la sua vicenda. A volte sono pagato per non dire niente” (p. 40).
Et-voilà, ecce storyteller. Poteva derivarne una buona quarta di discreto appeal. Quanto al significato autentico dell'incubo arabo... sappiate che è osceno e terribile, monotono e tuttavia orrendo (p. 28); visita le vittime ogni notte, e non viene ricordato la mattina. Pretende sperimentiate un dolore senza fine, senza esserne coscienti. È sofferenza fine a sé stessa. Chi ne soffre non se ne accorge, ma qualcuno, giù al mercato, può riconoscerlo per via di segni. Si dice si trasmetta a chi ti dorme vicino, la notte. Perché esce fuori dalla bocca, la notte (p. 69). Chi ne soffre è come un messia demente (sempre p. 28). Fuggire non serve. Sempre si ritorna all'origine. Le storie e i personaggi non finiscono mai, quasi fossimo prigionieri della biblioteca sognata da Borges.
Secondo il Times, “Irwin intreccia magistralmente il pensiero orientale con la teologia occidentale, allontanandosene con una risata”: la Rendell, invece, giudica l'originalità del testo al di là di qualsiasi definizione: questo, secondo la scrittrice, è un libro “magico, bizzarro e sconvolgente”, uno strange cross tra “Le mille e una notte” e “Il nome della rosa” (!). Secondo me l'ibrido è col “Decameron”, ma escludo la Rendell abbia tempo di leggermi per confutarmi.
Buon viaggio. Suggerisco, al vostro fianco, un bel narghilè.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Robert Graham Irwin (1946), scrittore inglese. È stato professore di Storia Medievale all'Università di St. Andrews, di Arabo e Storia del Medio Oriente alle Università di Cambridge e Oxford. Ha pubblicato saggi, racconti e romanzi.
Robert Irwin, “L'incubo arabo”, Meridiano Zero, Padova 2009. Traduzione di Luca Scarlini. Collana Primo Parallelo, 1. Prima ed it: 2002.
Prima edizione: “The Arabian Nightmare”, 1983. Opera prima.
Gianfranco Franchi, aprile 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.