Libro dell’acqua

Libro dell'acqua Book Cover Libro dell'acqua
Eduard Limonov
Alet
2004
9788875200046

Difficile prendere alla lettera, e più difficile ancora prendere sul serio, un colorito giullare, logorroico e letterario relitto dell’URSS, come Eduard Savenko (cognome delle parti del Don…), alias Limonov. Difficile perché, come ogni letterato che si rispetti, è un naturale campione della menzogna, dell’alterazione della realtà, della mitologia di se stesso. Soltanto una nazione ancora in pieno deficit democratico, e di intelligenza, come la Russia dell’ex KGB Putin poteva incarcerare un curioso fantoccio del genere: dandogli un’incredibile, inattesa e folkloristica patente di pericolosità, e legittimando la sua incoerente coerenza di scrittore guerrigliero. Un guerrigliero nazionalbolscevico: ben distante dal fascismo, a dispetto di quanto scrive Caramitti nell’introduzione, o almeno ben distante in questo libro; e lontano da qualsiasi altra visione politica. È un comunista russo vecchio stampo, imperialista d’una Russia ormai grottesca, condannata al giudizio dei posteri e della Storia: nazione omicida, madrina dell’ingegneria sociale, sporca di pulizie etniche e per censo, sporca di censure e di assassinio dell’intelligenza e della libertà d’espressione, sporca del sangue di liberi popoli slavi e mitteleuropei. L’Europa sta tumulando falce e martello, Limonov le impugna e si sente una granata – “Limonka” – pronta a esplodere.

Se non fosse ridicolo non sarebbe preoccupante. È ridicolo e quindi – Kundera insegna – va monitorato. Considerando il ridotto seguito del suo partito, considerando le sue mummificate idee, e la pessima qualità delle sue argomentazioni (scopriremo, con non poco divertimento, che sostiene che Roma imperiale non sia mai esistita…), Limonov va destituito dal suo ruolo politico e restituito alla realtà. È un letterato pagliaccio, eroico come un foglio di carta. Leggetelo pensando alle conseguenze delle distrazioni della lucidità e della realtà su una mente un tempo brillante: sarà un campione del grottesco, un Barone di Munchausen tutto da scoprire.

Libro composto nel 2002, mentre Limonov, in carcere, scontava una pena di quattro anni (durata due) per “terrorismo” (addirittura!) e traffico d’armi, questo “Libro dell’acqua” è un futuro campione della letteratura dell’egolatria e della menzogna. È un diarietto scomposto e frammentario, che vede il famigerato Limonov attivo in tutto il pianeta, da Venice Beach a Ostia (che vorrebbe, bontà sua, perla del Mediterraneo; e la sporca e la offende per umiliare il Mediterraneo…), dalle rive del Don alle rive dalmate, dalla Bretagna ad Amsterdam, da New York a Odessa. Ovunque vada la nostra granata (di caffè, con panna?) c’è qualcosa che si muove. Una ribellione? Una guerra? Le cosce di una bella donna? Un po’ tutto. Perché lui è Che Guevara e Bakunin (ma forse anche Marco Polo), mitra e sperma, falce e martello con sei tacche di pisello. Un clown. Un clown adesso piangente: “Adesso la prigione e lo status di criminale, la dignità di criminale di Stato mi hanno colato nel bronzo, reso un monumento. Chi oserà più mettere in dubbio la mia sincerità e tragicità?” (p. 117). Io! Ridi!, Pagliaccio…

Devo il primo incontro – virtuale – con la sua Letteratura all’introduzione di un artista esule russo, negli anni Novanta, in una palestra romana. Domandavo notizie sugli scrittori suoi concittadini. Questo mio amico, pittore di San Pietroburgo (quella nobile città che la follia sovietica ribattezzò “Leningrad”: ah…), mi diceva – nel suo curioso italiano russificato, che c’era uno scrittore famoso per la condotta di vita sregolata e l’esibizionismo; omosessuale (diceva qualcosa più simile a “checca”) ed eterosessuale (diceva “per darsi arie”), amico dei ricchi e della fama ma comunista, avido di popolarità, famoso per un libro sulle sue avventure erotiche chiamato “Eto ja – Edicka”. Il nostalgico stalinista, duro e puro, virile e guerriero, all’epoca si dava arie da femminiello isterico, dandy evoluto e pronto a tutto: oggi, stando a quanto ci spiega Caramitti, s’è evoluto in un maschione. Che strizza l’occhio – ma con scarsa convinzione, per fortuna – alla pedofilia. Questa figuretta prepotente e femminina è stata addirittura considerata pericolosa dal suo regime. Uno spettro s’aggira per l’Europa: è lo spettro di un Limone Sovietico, Russissimo. Pronto a esplodere. Il limone può avere diversi usi, Edicka li conosce tutti. Fate un po’ voi. Sappiate che ha scritto ben otto capolavori, negli anni del carcere. Capolavori del comico, immagino.

Le benemerite e democratiche edizioni Alet ci regalano – mi regalano – l’opportunità di leggere pagine vergate da Edicka in persona, realizzando un sogno buffo della mia adolescenza; scoprire chi fosse quest’uomo, e come scrivesse. Bene: non scrive male, è torrenziale e magniloquente, massimalista e tronfio, persuaso e pungente. Ma non ha contenuto diverso da: “io!, io!, io!, io!” e “mitra e sperma”. Questi suoi “ricordi a grumi” (agrumi?), cfr. p. 77, spesso – a livello di contenuto – non sono altro che menzogne e porcherie. Parleremo per bene di quel che scrive di Roma, perché da bravo compagno Edicka vuole riscrivere la storia. E diamogli ascolto!, che forse abbiamo sbagliato tutto. Con ordine, per tempo. Intanto, rispettosi, ci accostiamo all’opera. La prefazione è caratterizzata da quello che sembra un tentativo di sovraccaricare di quel che proprio non c’è (fascismo? Stiamo scherzando? Questo è l’archetipo del compagno!) l’opera di Limonov. Scrittore ingabbiato, apologeta della violenza e del comunismo, utile per ricordarci che di quel che accade dalle sue parti ne sappiamo poco davvero.

Scrive bene Caramitti: “(…) Siamo da oltre dieci anni oggetto di una trasparente strategia di sordina mediatica che ha accompagnato la Russia nella bambagia di una dittatura soft, ormai definitivamente sancita dall’inverosimile rielezione plebiscitaria di Putin, passata dalle nostri parti quasi sotto silenzio. E ancor meno, a essere sinceri, sappiamo del secondo e terzo mandato che i presidenti patriarchi del Kazakhstan, dell’Uzbekistan, del Turkmenistan (tutti ex comunisti) si aggiudicano con percentuali tra il delirante e il tragicomico: il 99,6%. Al posto dell’URSS ci sono oggi una pseudodemocrazia e una serie di esplicite dittature” (p. 17).

Quali sono i motti di questi nazionalbolscevichi, nati dal cilindro di Limonov? La Russia è tutto! Tutto il resto è niente!”; “Il capitalismo è merda!”, “Morte ai ricchi!”, “Abbasso l’autocrazia e l’erede al trono!”, “Un borghese buono è un borghese morto!” (p. 114), e così via: raspando, con le laccate unghie di Edicka, nella greppia della propaganda comunista d’antan, qui c’è solo una novità; intendo la fine della mascherata dell’internazionalismo. Dovrebbe essere chiaro, ai nostalgici, che l’internazionalismo esisteva, sì: purché fosse tiranneggiato da un padrone. Ex protagonista, non a caso, di una simpatica alleanza (ops: “non belligeranza”) coi nazisti, nel trattato Ribbentrop-Molotov.

Torniamo al tema dell’opera. “Lo si sarebbe potuto chiamare anche Libro del tempo. Infatti parla del tempo. Ma ho preferito l’acqua. L’acqua trasporta, cancella e non ci si può bagnare due volte nella stessa acqua”, ci illumina l’autore, p. 27. E vedrete: scopriremo anche l’acqua calda (ma in accezione sovietica, è chiaro). Ehilà, mica scherzo… vi ho detto che il compagnuccio, qui, è un comico. Ma non lo sa.

Riscaldare l’acqua costa molto caro. Per questo i francesi si lavavano e si lavano meno degli altri popoli. Per gli italiani è la stessa storia. Solo due popoli hanno acqua calda a volontà, i russi e gli americani. Basta aprire il rubinetto, e via…” (p. 213). E via, con le cazzate propagandistiche! Compagni! Siete un branco di pagliacci! Grotteschi. Siete grotteschi. Ridicoli… e pericolosi. Perché magari qualcuno ci crede. Beh: l’ha detto Edicka. Ma torniamo al nuovo eroe soviet. “Mitra e sperma dentro i buchi delle femmine amate, ecco a cosa ammonta la mia straordinaria esistenza” (p. 27): potrei glossare, ma per rispetto a Edicka e ai suoi obliati negri glisso. Limonov vuole essere ibrido tra il “Diario di Bolivia” e le “Memorie” di Casanova (p. 28). Si vola basso. Ci sarebbe molto da campionare, per dilettare noi europei.

Parto dal Belgio, ché qua è ancora abbastanza lucido, Limonov: “Il Belgio è un nonsense geografico, metà delle province parla francese, l’altra fiammingo, che dovrebbe essere un dialetto olandese. Il Regno del Belgio l’hanno creato i francesi” (p. 42); e l’Olanda: “L’Olanda è in realtà una diga di cemento che collega la Francia alla Germania. Lungo la diga vivono venti milioni di uomini ascetici e allampanati come compassi e di donne con grandi sederi e pelle bianca […] Case piatte e tristi, tutte uguali, parcheggi, villaggetti e parvenze di campi e monticelli” (p. 42)

Parigi! “Mi circondavano persone molto eterogenee. Bohémien, anarchici, alcolisti, omosessuali, lesbiche, spacciatori di droga, madri di famiglia e prostitute. Andavo a letto nello stesso tempo con Anne Angeni, direttrice di una rivista porno, e con la sua vice Carole: con tutte e due insieme, s’intende [...] avevo fatto in tempo a perdere ogni freno morale” (p. 54): il Barone di Munchausen è vivo! Ed è pure comunista! Magnifico. Infatti: “Questi miei ricordi si possono leggere a partire da qualsiasi pagina e seguendo qualsiasi direzione. Nuotano nell’eternità, non hanno bisogno di dimensioni, perché sono disciolti nell’eternità” (p. 77). Come gocce di limone, direi, su una bella braciola di maiale.

Ma veniamo alla nostra Italia. Sostiene il compagno Edicka: “In Italia il cibo è puzzolente e piccante e fa un freddo cane” (ma parla di casa sua, chiamandola Italia? Ma ha mai viaggiato quest’uomo? È da una vita in gabbia, a Mosca?). “Queste verità le avevo assodate nell’inverno trascorso in Italia a cavallo tra 1974 e 1975” (p. 55).

Venezia: “sporcizia e fango stesi come una lacca” (p. 55); a Ostia, le donne di Edicka sono assediate dai pappagalli: “Elena con le sue lunghe gambe aveva un completino con la gonna corta, e gli italiani di sesso maschile ci urtavano, fischiavano, si aveva l’impressione che da un momento all’altro ci dovessero saltare addosso” (p. 62): come scimmie sotto l’effetto della vodka, ah Limonov? Scene famigliari… Com’è Ostia? “Lercia”. “Appariva del tutto inspiegabile come una cittadina tanto lercia potesse aver svolto la funzione di porto della Grande Roma” (p. 63). Il comico è nelle vene del sovietico. C’è poco da fare. D’un tratto, capisce, pensando al porto con l’acqua troppo bassa: Come ha fatto in duemila anni a ritirarsi in questo modo? Ci vogliono intere ere geologiche per processi del genere. Venezia sprofonda, ma mica di metri all’anno… Hai mai notato che alcune rovine sembrano più giovani di quel che sono? […] Per me contano balle sull’età delle loro città, gli italiani. La alzano apposta, così è più prestigioso” (p. 64).

Siete pronti? Mica è finita. L’acqua calda dei sovietici è l’unica l’acqua calda del mondo. Ecco la doccia: “Le mie osservazioni sulla giovinezza delle antichità italiane e sull’inadeguatezza di un misero porto senza fondale come Ostia alla Grande Roma dell’antichità mi sono tornate in mente a Mosca all’inizio degli anni Novanta, quando ho letto il lavoro dei professori Nosovskij e Fomenko intitolato ‘Nuova cronologia della Russia, dell’Inghilterra e di Roma’. Vi si sostiene che Roma è molto meno antica di quanto si creda e che la vera capitale dell’Impero Romano è sempre stata Costantinopoli” (p. 65).

Ma ecco Edicka di fronte al Tevere. “Osservando gli abissi puzzolenti, scuotevo la testa avvilito. Perché l’acqua si è ritirata così tanto? Perché ce n’è così poca? Perché la Città Eterna l’hanno costruita lontano dal mare, su un fiume putrefatto? Spiegazioni non ne ho mai trovate. Fomenko e Nosovskij dicono che è tutto un imbroglio, che là non c’è mai stata nessuna capitale dell’Impero romano. Sarebbero solo panzane, per vanagloria […]. Roma è un campionario di vecchie pietre” (p. 139).

Qui concluderei. Perché Edicka ha toccato il fondo. Compagno, prendi falce e martello, tienitele in tasca, giocaci coi tuoi compagni. Arrivare poi a inventare “Piazza d’Italia” a Roma (p. 162) è il colpo di grazia. A voi, il clown bolscevico e russo. Da leggere previa avvertenza: non si dà credito ai cazzari; i cazzari sono gli utili idioti per decifrare l’intelligenza dei loro concittadini.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Eduard Veniaminovich Savenko, alias Limonov (Dzerzhinsk, Russia 1943 - Mosca, Russia, 2020), scrittore e politico ucraino. Espulso (fuggito?) dalla Russia negli anni Sessanta, vissuto tra USA e Europa. Nel 1991 torna in patria e anima la rivista “Limonka”, tra 1992 e 1993 fonda il Partito Nazionalbolscevico. Vive a Mosca. Ha esordito pubblicando “Eto ja – Edicka” nel 1976. Reperibili in italiano: “Diario di un fallito” (Odradek)

Eduard Limonov, “Libro dell’acqua”, Alet, Padova 2004. Traduzione e cura di Mario Caramitti.

Prima edizione: “Kniga Vody”, Mosca, 2002.

Gianfranco Franchi, settembre 2007.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Difficile prendere alla lettera, e più difficile ancora prendere sul serio, un colorito giullare, logorroico e letterario relitto dell’URSS, come Eduard Savenko (cognome delle parti del Don…), alias Limonov.