Isbn Edizioni
2010
9788876381621
Ventitre anni, giovane professore fresco di nomina, settentrionale. Una scuola sottoterra, dentro un precipizio, i pilastri come punte d'iceberg. Una scuola di paese, d'un paese che sembra vergognarsi che la scuola esista. Forse non è un caso che quella scuola sia sprofondata. E poi quella scuola è il viatico a una scuola peggiore, quella a cui il professore è stato assegnato, località San Francesco da Stimmate. Profondo Sud – quello che le cronache si rifiutano di raccontare. Da quelle parti non c'è segnale per i telefonini, e nessuno tiene il telefono in casa: la scelta serve per evitare d'essere intercettati dagli sbirri. Da quelle parti manca il riscaldamento, spesso: perché le tubature vengono cambiate continuamente. Così si muovono i soldi, ma non l'acqua. Da quelle parti chi ha ammazzato quasi trenta persone e si ritrova a fare il pittore, come niente fosse. D'altra parte si trattava d'una vendetta. Da quelle parti i carabinieri sembrano soltanto silhouette, per non somigliare agli sbirri. Da quelle parti vogliono ammazzare tutti gli sbirri. Pregano la Madonna che ammazzi gli sbirri. Da quelle parti si tiene lezione dentro vecchie caverne. Umido pazzesco. Gli alunni della III B credono di trovarsi nelle catacombe. Ogni tanto, qualcuno esce da quelle catacombe prima del tempo, per diventare bracciante. È una soluzione dignitosa. E poi tutto sembra destinato a ripetersi, nel tempo, in eterno.
C'è una ragazza, in classe, che affascina subito il professore. Un po' come la Vanina della “Prima notte di quiete” di Zurlini. Come lei, sembra avere molto passato, poco presente, nessun futuro. È silenziosa e inquieta, si chiama Anorea, è quasi sempre assente, sembra sempre sofferente. Parla poco o nulla, ogni tanto scribacchia parole smozzicate. Sono poesie, poesie dadaiste. Fuori scuola c'è un tizio con un'Alfa che l'aspetta. È il fidanzato, forse. È un pazzo, comunque. Pesta chiunque le si avvicini. Professori premurosi per primi. Il professore sente di dover stare vicino a quella ragazza silenziosa e ferita dalle cose della vita, e non ha paura di quel ragazzo. Non ha paura delle cose che vede, in generale. Fermiamoci qui.
“Era il mio primo giorno di insegnamento, ho considerato nel sottofondo di martelli pneumatici. Insegnante. Così. Dalla sera alla mattina. Ho pensato che era la cosa più semplice del mondo diventare insegnante, mentre scendevo le scale con la barba lunga perché l'acqua nemmeno un filo, quella mattina. Erano le sette e quaranta. Volevo arrivare a scuola in anticipo, il primo giorno di servizio. Insegnamento” (p. 11)
“Liberaci dagli sbirri”, opera prima di Gabriele Reggi, classe 1961, è un romanzo di (de)formazione d'un individuo, e d'una comunità; è una narrazione fredda, tinta di nero, della decadenza, della povertà, del disperato tentativo di alzare la testa e di cambiare la propria sorte, e quella di un'altra persona almeno, di un'altra persona soltanto. Tecnicamente, Reggi gioca su un periodare breve, fitto, spezzato; i dialoghi sono estremamente asciutti, in cerca d'una esattezza chirurgica. Reminiscenze letterarie – sparse con eccessiva generosità, soprattutto nella seconda metà dell'opera – tendono invece a risultare didascaliche, canoniche e pacifiche come sono. Paradossalmente, la tensione narrativa scende per ogni richiamo estetico fuori contesto, fuori sincrono e fuori registro. È un peccato, ma non ha importanza. Ha importanza prendere atto che l'esordio di Reggi ha coinciso con la rappresentazione d'una impressionante discesa negli inferi d'una terra, e di due anime almeno; e che una scrittura come questa si direbbe nata per essere plasmata e adattata ex novo dal cinema. Diciamo che siamo dalle parti di quelle storie che potrebbero piacere a Garrone. Notturne, decadenti, morbosette, radicali. Convincente.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Gabriele Reggi (Atri, 1961), scrittore italiano. Vive a Rieti. Questa è la sua opera prima.
Gabriele Reggi, “Liberaci dagli sbirri”, ISBN, Milano 2010.
Gianfranco Franchi, gennaio 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.