L’estraneo

L'estraneo Book Cover L'estraneo
Tommaso Giagni
Einaudi
2012
9788806207977

Che Roma stia collassando, e che i romani siano irriconoscibili, complici il degrado politico, l'analfabetismo di ritorno, l'invivibilità d'una metropoli disumana e sporca, è pacifico; la città è indifendibile, la cittadinanza è esausta. “L'estraneo” di Giagni vive in questo contesto qui, in questo momento qui. È uno che ha giocato a ridurre, beato lui, la città in due parti soltanto, vale a dire “Roma delle Rovine” e “Roma di Quaresima”: e questa semplificazione liminare, spendibile soltanto con robusta licenza poetica, ha finito per raccontare che non c'è più spazio per le persone sensibili e oneste come il narratore, da queste parti. Non c'è più spazio per l'innocenza, e per l'ingenuità. Perché Roma, spegnendosi fragorosamente, sta tornando a essere respingente, malarica come nei secoli tristi dei grand tour degli stranieri; è diventata una città ostile all'accoglienza, nemica dell'integrazione dell'alterità, se non previe umiliazioni e prepotenze. È diventata una città incapace di assimilare intelligenze e sensibilità nuove: satura di storia, di corruzione, di debiti e di promesse, ha deciso di invecchiare. Sta invecchiando molto male – sta diventando scorbutica, scontrosa e lunatica. È diventata capace di cacciare via i suoi figli più onesti, e i suoi ospiti; forse perché vuole essere lasciata morire in pace. Sogna la morte e non riesce a guadagnarla. Questo non lo so, non lo capisco. So che il protagonista del romanzo di Giagni sembra non guardare alle cause del disastro; sembra osservare, con sguardo più da entomologo che da antropologo [peccato], al male che corrode e disintegra la Roma delle Rovine e la Roma di Quaresima: gioca a diventarne parte; s'illude forse di poter essere un farmaco; infine, in quell'angosciante e alienante raccordo che circonda la città, decide d'essere libero.

Titolo migliore non poteva sceglierlo, il giovane Tommaso Giagni, classe 1985, alle spalle due racconti pubblicati dal circuito emofiliaco della Minimum Fax e diverse collaborazioni con quotidiani democratici di sinistra. Chiamarlo “L'estraneo” è una scelta onesta, triste e saggia. Istantaneamente evoca “Lo straniero” di Camus e “Gli indifferenti” di Moravia – almeno, per me è così. Ma la scelta della categoria dell'estraneità è fondamentale per rappresentare il sentimento principe di tutte le persone oneste, di qualsiasi classe sociale, di qualsiasi quartiere, di qualsiasi età, nei giorni del capitombolo brutale del regime forzista: nei giorni che annunciano il capitombolo brutale del regime forzista. È terribile, ma è vero: a un tratto è diventato santo chiamarsi fuori da tutto, perché dappertutto stava strisciando – e sta strisciando – qualcosa di cattivo, e di marcio. Estraneità a tutto significa niente chiesa, niente partito, niente circuito editoriale, niente padrini, niente patroni. Ma la società occidentale si fonda su un principio ben diverso: sull'inclusione, sull'appartenenza. È per questo che l'estraneo finisce male. Perché l'estraneità deve essere una parentesi: deve avere un termine. Qui invece non sta finendo proprio niente. C'è solo una città che ci sta crepando addosso. Come lo Stato di cui era capitale. La sensazione è schiacciante. Non c'è riparo, non sembra esserci rifugio. Io credo in Dio, e così medito spesso, medito come posso, studio, e prego. È una strada. Forse cieca. Il protagonista del romanzo di Giagni va a sbattere contro questo tempo. Senza colpa. Con piena coscienza.

La Roma raccontata da Giagni è questa degli anni Dieci, umiliata e sconvolta dalla nascita irrefrenabile, e irrichiesta, di sempre nuovi quartieri-dormitorio. Sempre più periferici e inservibili, sempre più abbandonati a loro stessi: espressione della civiltà del cemento selvaggio che sta strangolando la nostra terra. Giagni vede questi quartieri periferici come una realtà incredibilmente compatta, puntinata da centri commerciali che servono a recuperare il denaro guadagnato lavorando tutto il giorno in un sistema che insegna ad avere bisogno del superfluo, addestra a consumare a tutto spiano e senza freno, educa ad essere non più cittadini, ma – appunto – consumatori. Giagni racconta, in narrativa, un mondo terrificante che Pasolini aveva disperatamente cercato di spezzare sul nascere, denunciando, nei suoi “Scritti corsari”, la metamorfosi del potere e delle classi popolari. Giagni, nato dieci anni dopo la morte del poeta friulano, racconta una civiltà istupidita da un benessere di cartapesta, incapace di desiderare altro che non sia il lusso, viziata da un'inspiegabile tutela dei vizi e dei capricci dell'adolescenza, nemica di ogni espressione d'arte, e d'intelligenza, che non sia catodica e spiccia. E viene da piangere per quanto fedele sembra essere la rappresentazione di certa gioventù capitolina. È una rappresentazione sconsolante, cruda, vivida. Verace.

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L'incipit del libro è potente, e fiabesco. “Ci sono una 'Roma delle Rovine' e una 'Roma di Quaresima', e tutto sta nell'essere figlio di questa o di quella. Certe strade non sono altro che mura. Poi ci sono io, figlio di entrambe e di nessuna – il che è esattamente lo stesso. Io sono estraneo: io sono tutto e niente”. Il libro parte così, poi scivola su un primo capitolo brevissimo e adolescenziale, spesso zoppicante [riscrittura o riduzione di lavoro giovanile? È un'ipotesi] e man mano si riprende – e va a raccontare, per un romanesco zoppicante, leggermente artefatto, e per descrizioni a volte micidiali a volte leggermente scomposte, la storia di un ragazzo che voleva tornare alle paterne origini borgatare, ma le borgate non trova più; negli anni passati assieme alla sua famiglia, col papà portiere nel Centro Storico, e lui a studiare nel liceo Visconti [aristocratico e radical chic; grande rivale del politicizzato e sinistro Mamiani], è diventato un ibrido. Un ibrido, non un anfibio. Ma come si diceva in apertura, non è colpa dell'individuo dissociato; c'è un sistema che sta morendo, c'è una capitale che si sta disossando. Cosa può fare un intellettuale di vent'anni? Letteratura. A trentacinque diventa pesante anche questo, diventa difficile. Almeno – stando qui, qui e ora.

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“L'estraneo” è un esordio promettente e tosto. Escludo che Giagni possa restare “homo unius libri” - perché in quel caso rimarrebbe un giovane artista con discreto stile e buona sensibilità che ha dedicato un quaderno alla fine di Roma – forse, alla fine di un'idea di cittadinanza romana che Cardarelli poteva ancora vivere con orgoglio, cento anni fa, e così Flaiano, cinquant'anni fa; mentre Acitelli, oggi, racconta l'ultima romanità, quella delle borgate di trenta e quaranta anni fa. Dalla fine degli anni Settanta, Roma sembra essere diventata poco più di un sordido romanzo di palazzo, prima democristiano e poi forzista, e una raccolta di racconti di tanti quartieri-dormitorio. L'ultima isola felice sta sull'ottavo colle – ma questo è un mio giudizio. Non conta niente.

Concludo con Giagni. M'aspetto, nel prossimo libro, descrizioni sintetiche e liriche, e fedeli registrazioni delle voci di tanti figli del popolo. Ma al di là della calligrafia – pure importante – e della lealtà al territorio, m'attendo qualcosa di tecnicamente diverso da un romanzo; Giagni può inventare qualcosa di nuovo. Stavo per dire: di estraneo. Profondamente. Ma intanto: il primo passo è stato buono.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Tommaso Giagni (Roma, 1985), scrittore italiano. Questo è il suo primo romanzo. In precedenza, aveva pubblicato racconti in due antologie Minimum Fax, vale a dire “Voi siete qui” [2007] e “Ogni maledetta domenica” [2010]. Specializzando in Storia Contemporanea a “La Sapienza”, ha scritto su quotidiani (il fu “Il Riformista”, la fu “Liberazione”, “l’Unità”), riviste cartacee (“Nuovi Argomenti”) e web (“Nazione indiana”, “accattone”).

Tommaso Giagni, “L'estraneo”, Einaudi, Torino, 2012. Progetto grafico di Riccardo Falcinelli. Collana “Stile Libero”. ISBN 9788806207977. pp. 156, € 14,50.

Approfondimento in rete: bella intervista su “Rivista Studio” / buona intervista su “Nazione Indiana” / Michele Lupo sul “Recensore” / Antonio Sansonetti in “Blitz Quotidiano” / Minima et Moralia.

Gianfranco Franchi, Ottobre 2012.
Prima pubblicazione: Lankelot.

Estraneità a tutto significa niente chiesa, niente partito, niente circuito editoriale, niente padrini, niente patroni. Ma la società occidentale si fonda su un principio ben diverso: sull’inclusione, sull’appartenenza.

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