L’estate di Montebuio

L'estate di Montebuio Book Cover L'estate di Montebuio
Danilo Arona
Gargoyle
2009
9788889541326

Danilo Arona (Alessandria, 1950), scrittore, critico cinematografico, giornalista e musicista italiano, è una sorta di icona della letteratura horror italiana; eccezionalmente prolifico, caratterizzato da un citazionismo filmico divertente e intelligente, sin da giovane si è concentrato sul senso e sulla qualità delle esperienze estetiche: la sua tesi di laurea (“Interferenza dell'affettività sullo sviluppo del pensiero”) si direbbe prodromica a una ricerca di trasparenza, di verità o di oggettività che naturalmente non può conoscere termine: al limite, intervallo. Nel suo nuovo romanzo, “L'estate di Montebuio”, gli antichi studi universitari potrebbero aver guadagnato nuova centralità, almeno in termini di fonte di ispirazione e di meditazione. Sembra, stando alle interviste sin qui rilasciate, che l'innesco del libro sia stato durante una conferenza tenuta presso una sede universitaria della terza età; il dibattito, dedicato alla genesi della scrittura in ogni artista, pare aver restituito Arona ai giorni della sua infanzia e delle sue primissime esperienze con la macchina da scrivere. E così, l'autore ha trasfigurato tutto quel che ricordava delle sue estati a Montemaggio (nel libro, Montebuio), dalle parti di Savignone, Genova: trasfigurato e alterato, giocando almeno su due livelli.

Il primo, quello che personalmente più mi interessa, è quello metaletterario: Arona romanza la vicenda di uno scrittore horror, Morgan Perdinka (cognome greco, Patrasso), morto suicida nel 2007, protagonista di un'indagine sulla sua infanzia, sulla sua estate di Montebuio, sulle misteriose morti avvenute nella colonia estiva e sulla natura della sua adesione alla scrittura. È un autore di successo (un successo anche eccessivo, per le patrie lettere; ne parliamo più avanti), accompagnato da un'agente, Cassandra, decisamente yankee, che ritorna sui suoi passi e ricorda come e quando aveva cominciato a scrivere, servendosi di una vecchia, incantata macchina: la Continental. Riflettendo su tutto quel che è accaduto, ritrovando volti di parenti perduti (uno zio prete di campagna in primis) e memorie dell'inizio della sua passione, Morgan si sdoppia e finisce per fronteggiare un nemico grottesco, abnorme e invincibile: il male nella sua essenza, diciamo così, senza svelare troppo della trama. C'è quindi un primo parallelismo, un primo gioco di specchi, tra Arona e Perdinka; il gioco poggia non solo su esperienze e vicende esistenziali condivise, ma anche su inserti narrativi scritti, nella finzione del romanzo, proprio da Morgan (obietterò più avanti), e restituiti al lettore per accompagnarlo in una migliore comprensione del testo.

Il secondo livello, quello che stento un po' a prendere in considerazione per varie ragioni, è quello storico, fantastorico, fisico (!) e universalizzante; Montebuio, e la scrittura, come esperienza sensibile del male, e come sentiero privilegiato per osservare e interiorizzare il male; una martire di Antiochia, Mariana, morta crocefissa, che come scoprirete si ritrova a giocare un ruolo non marginale nello sviluppo della trama; i bombardamenti su Genova, 1943, e i miracoli; la possibilità che la fisica riconosca l'esistenza dell'anima, e che l'anima possa viaggiare nel tempo – per così dire – e stabilire interazioni con le persone in carne e ossa; e via dicendo.

Ecco: la prima sensazione forte, al termine della lettura, è che in ogni caso, predisposizioni o inclinazioni personali a parte, è stato piacevole ritrovarsi a leggere un romanzo di genere – per chi, come me, il genere tende a trascurare per tutta una serie di ragioni, è sempre tosta – non solo con una buona dose di divertimento e di partecipazione, ma con un senso vivo di gioia per una ragione: Arona scrive con l'entusiasmo di un neofita. Se non avessi letto, nelle biografie, che si tratta di un veterano della scrittura e dell'editoria, avrei pensato che si trattava di un ragazzo poco più che esordiente, sinceramente e assolutamente innamorato della scrittura e dei personaggi del suo romanzo, contento di aver stabilito le premesse e costruito l'architettura di una storia da raccontare, mitizzando un luogo della sua infanzia e tutta una serie di episodi legati a quel luogo; non so da quanti anni non mi capita, leggendo un libro o un manoscritto, di pensare che l'autore è così pieno di passione per la scrittura che se anche c'è qualcosa che non quadra, stilisticamente o nella tenuta, allora me ne frega poco. Ecco, leggendo Arona – e lasciando che la lettura sedimentasse nell'inconscio, per qualche giorno – mi sono domandato da quanto non scrivo una storia godendone e fantasticando per le fortune che potrà avere. L'esperienza figlia cinismo e malinconia, tristezza e disillusione: tutti sentimenti e atteggiamenti che servono a sopravvivere in un sistema editoriale ben distante da quello conosciuto dal Perdinka. Sembra proprio che ad Arona non gliene importi nulla. La scrittura è rimasta la magia della creazione, forse incosciente, forse addirittura involontaria, “automatica”, dei primi tempi; di quando era ragazzino.

Secondo me, questo libro, che voleva infine spaventarci parlando del male, ma il male incarna con episodi un po' grossier e incarnazioni materiali che mi hanno restituito un vecchio film del 1984 che non nominerò, è un farmaco. È un farmaco per tutti quegli artisti – forse non soltanto gli scrittori – che a furia di delusioni, di sopravvivenza, di stentate pubblicazioni e di incomprensioni hanno perduto l'incanto. L'incanto, a ben guardare, è sempre e tutto lì: in quella vecchia macchina da scrivere, adesso meno rumorosa e più intelligente, che ci permette, che vi permette, di creare un mondo e di popolarlo con i personaggi che decidete voi. Credibile o meno che sia, è il vostro mondo e potrà durare fin quando lo vorrete. Potete farci capitare tutto quello che vi pare, potete decidere chi rimane un comprimario e chi sparisce dopo quattro battute. Potete sbagliare nella disposizione degli eventi, potete sbagliare le battute. Che importanza ha? State plasmando un microcosmo. Divertitevi, almeno, dategli colore – date senso alla vostra esperienza estetica. E poi, al limite, domandatevi quanto hanno interferito ricordi ed emozioni d'antan nella stesura, e nell'articolazione del pensiero. Chissà cosa ne deriva.

“Il tempo” - scrive Arona - “è una dimensione curvilinea. Quando si giunge a metà della vita e oltre, si ripiega, e dai suoi snodi spremuti schizzano via memorie sepolte ed esperienze cancellate. Quelle fondamentali, formative, primordiali. Perché si erano nascoste? Chi le aveva nascoste?” (p. 147).

2008. “Il corpo, nudo sino all'ombelico, adagiato sul lucente tavolo di metallo, apparteneva a una ragazzina di undici anni, scomparsa nell'estate del '63 dal piccolo paese di Montebuio alle pendici dell'omonima cima. (…) Miriam. In perfetto stato di conservazione” (p. 175).

Adesso provo a confondervi le idee. 1953. Una bambina viene inghiottita dal nulla, a Montebuio. Cade in un precipizio. Un uomo viene mangiato da un muro. 1962: estate speciale per Morgan (p. 57), nella cittadina ligure da 32 abitanti. Tutto a un tratto, comincia a parlargli un fantasma, e una macchina da scrivere va avanti da sola. Cade grandine rossa, e lui è forse innamorato di Miriam. 1969: Montebuio: nasce qualcosa di sbagliato. 1978: Morgan, chitarrista, suona assieme a una band durante una notte di eclisse. 2007. Morgan, 57 anni (proprio come Arona), si suicida. La sua compagna, l'agente Cassandra, non si sentirà mai sola. Diciamo così. Che altro? “Gli scrittori di storie horror più inventivi” - scrive il narratore - “riescono a trasformare in mostri gli oggetti e le situazioni più rassicuranti e quotidiane. Che ne direste se per farvi paura qualcuno vi proponesse una macchina da scrivere degli anni Venti, la statua di una santa venerata da pochi eletti o una vecchia colonia abbandonata? Bastano a far tremare i polsi e vacillare le menti? No. Di per sé no. Ma c'è il valore aggiunto che ci mette lo scrittore” (p. 77). Sì, de se ipso dicens. Presunzione, prepotenza o incantesimo? Io, in ogni caso, sorrido, perché è parte della menzogna della narrativa, che è anche una spericolata vicenda di illusionismo, di tranelli, di inganni.

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Le citazioni rock e pop (Hendrix, Beatles, Dylan, Gino Paoli, Domenico Modugno, tra le tante) costituiscono uno dei rivoli secondari della trama, plasmando una cartina geografica delle passioni di Arona-Perdinka e costituendo la colonna sonora degli anni raccontati. Quelle cinematografiche – da Lynch a Lucas, passando per Friedkin e Kubrick – parlano degli amori assoluti dell'artista.

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Qualcosa che non va vogliamo aggiungerlo? L'aggettivo “cloacoso”, ad esempio, è speso con generosità un po' eccessiva; oltre a essere un termine un po' infelice, mi sembra uno di quelli che vanno spesi ogni due anni e non ogni cinquanta pagine. Naturalmente, scrivere che un romanzo ha un “incipit da centomila copie, come minimo” e poi pubblicare questo incipit è un'ingenuità abnorme (p. 152), talmente abnorme che per un attimo ho preso e sono uscito dal libro, dalla storia, da tutto, chiedendomi cosa stavo facendo da quelle parti, e cosa aspettavo a chiudere il libro. Non l'ho fatto nemmeno quando ho letto di royalties spese per comprare una villa (p. 162: a Calcutta, forse), o quando Arona-Perdinka ci ha raccontato dell'agenzia letteraria numero uno in Italia. E così, qua e là, tra una “torbida malia” e uno strano “mi rendi edotta?”, ho tenuto botta. Ma ripeto – come già vi dicevo, non è la Letteratura l'obbiettivo di Arona, è la creazione di una storia, è l'intrattenimento, è il divertimento, è la riflessione sul suo rapporto con la scrittura. Strizzando l'occhio a King e puntando, per bene, il nostro territorio italiano come base per ambientare un romanzo. Bella e saggia scelta, e missione compiuta. Incluso il mostro finale, che strappa anche una bella risata. Amara.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Danilo Arona (Alessandria, 1950), giornalista, musicista, scrittore e critico cinematografico italiano. Si è laureato con una tesi sull'interferenza dell'affettività sullo sviluppo del pensiero nel 1974.

Danilo Arona, “L'estate di Montebuio”, Gargoyle, Roma 2009. Introduzione di Susanna Raule.

Gianfranco Franchi, giugno 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.