Le voci del quartiere povero

Le voci del quartiere povero Book Cover Le voci del quartiere povero
Albert Camus
Rizzoli
1974
9788817453141

Camus credeva che i critici francesi avessero trascurato la sua parte oscura, ciò che in lui c'era di cieco, e di istintivo, scriveva a fine carriera, nel 1959: in sostanza, ribadiva che si fossero interessati soltanto alle sue idee. Nelle “Voci del quartiere povero e altri scritti giovanili” (Rizzoli, 1974) possiamo ritrovare quel che d'oscuro e d'istintivo viveva nel giovane Camus, ventenne, nei primi anni Trenta: in quel giovane figlio di domestici, analfabeti, che considerava “il mondo irreale dei libri un Paradiso doppiamente riservato”, e che sognava, mentre scriveva, per dimenticare la sua “stanchezza”. Osserva infatti il curatore, Viallaneix, che a quell'epoca l'artista ripeteva di soffrire di stanchezza e di un profondo senso di scoraggiamento; la sua prima sperimentazione letteraria, quella che vedeva coincidere la creazione artistica con l'evasione, si sarebbe arenata post lettura (1931) di “La Douleur” di André de Richard. Un libro che parlava di povertà, di riscatto, di sofferenza – e a tutto sapeva dare il suo nome, senza paura.

Camus impara, da questa esperienza estetica, che “L'opera è una confessione”. E aggiunge, lapidario: “Devo testimoniare” (“Carnets”, 1935); da quel momento vuole dare vita allo stile della povertà, “spogliando – chiosa Viallaneix – il linguaggio di ogni ornamento superfluo perché rispetti l'eminente dignità della miseria” (p. 56).

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Questo volume, composto di saggi inediti o rari, rivela, secondo il curatore, “lo sforzo tenace e segreto che Camus s'impose per darsi una voce che fosse solo sua. E segnano l'arrivo di un'ispirazione che egli servì fedelmente per tutta la carriera” (p. 111). Si comincia con frammenti nati nel 1932. Il primo, “Un nuovo Verlaine”, apparve nella rivista algerina “Sud”, a marzo. Camus spiega uno degli aspetti che più ama nel poeta maudit, ossia la sua coscienza, e la sua consapevolezza della “perversione del peccato”: questa attitudine lo umanizza, perché è segno di comune vigliaccheria, e comune senso di rivolta.

Il terzo, “La filofosia del secolo”, è una recensione apparsa su “Sud” qualche mese più tardi, a giugno. Si tratta d'una stroncatura dell'ultimo libro di Bergson, “Les Deux Sources de la Morale et de la Religion”: Camus s'attendeva un libro definitivo, una sorta di vangelo nuovo, filosofico-religioso. Invano.

Quindi, ecco il Camus che cercava di fondare la sua visione dell'arte come evasione dalla realtà: scopriamo il suo “Saggio sulla musica”, febbrile disamina anti-realista, nata per spiegare che per il giovane Camus l'arte “non sarà né l'espressione del Reale, né l'espressione di un Reale abbellito fino a essere falsato. Sarà semplicemente l'espressione dell'ideale. Sarà la creazione di un mondo di Sogno, abbastanza seducente da nasconderci il mondo in cui viviamo e tutti i suoi orrori. E l'emozione estetica risiederà unicamente nella contemplazione di questo mondo ideale […]. Sarà personale e originale perché l'ideale di ciascuno di noi è diverso” (p. 132).

Camus credeva che la Musica – M maiuscolo – fosse “l'espressione di un mondo inconoscibile, mondo di essenze spirituali che si esprime in modo ideale […]. L'espressione perfetta di un mondo ideale che si comunica a noi per mezzo dell'armonia” (p. 145). Stessi toni li ritroviamo nel saggio del 1933 “L'arte e la comunione”, più avanti (pp. 215-222).

Il 1932 si chiude con le inedite, sorprendenti “Intuizioni”. Nelle parole di Camus, “fantasticherie nate da grandi sfinitezze”, che “rappresentano l'augurio di un'anima troppo mistica che chiede un oggetto per il suo fervore e la sua fede”. A questo proposito, il curatore annota che in quegli anni Camus aveva studiato i mistici (Teresa d'Avila in primis) e meditato Pascal e Agostino. Leggere queste poche pagine tenendo presenti questi dati agevola l'interiorizzazione di qualcosa di altrimenti spiazzante; un Camus ricercatore giovane e disperato, in cerca d'una verità assoluta che non riesce nemmeno a nominare.

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1933. Dopo aver apprezzato qualche singultica nota di lettura (Stendhal, Eschilo, Gide, Grenier), incontriamo un breve racconto (“La casa moresca”) di qualche interesse filologico per via delle buone descrizioni e dell'ambientazione araba, e un frammento (“Il coraggio”) nato, a quanto pare, per essere l'ultimo pezzo di una futura raccolta di saggi, ovviamente mai uscita.

Sogno di purezza e di eternità nei versi retorici e manieristi di “Mediterraneo”, ritrovati in un manoscritto datato ottobre 1933; seguono altri frammenti di qualità sempre ondivaga, caratterizzati da argomentazioni sulla morte, sulla povertà o su Dio.

1934. Due soli sono i frammenti inclusi nel volume. Il primo, “Il libro di Melusina”, è uno stravagante racconto “per bambini troppo tristi”, storia di fate e di cavalieri troppo sicuri dell'esistenza della verità. Il secondo, quello eponimo, “Le voci del quartiere povero”, è un racconto breve profondo, toccante, trasfigurazione delle esperienze adolescenziali d'un artista sensibile e umanissimo, capace di ascoltare la voce di chi, come i suoi genitori, non sapeva trovare parole – perché non le conosceva – per raccontare la propria condizione, e il proprio presente.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Albert Camus (Mondovi, Algeria, 1913 – Villeneuve-la-Guyard, Francia, 1960), dottore in Filosofia, tragediografo, romanziere, saggista e giornalista francese d’Algeria. Premio Nobel per la Letteratura nel 1957.

Albert Camus, “Le voci del quartiere povero e altri scritti giovanili”, Rizzoli, Milano 1974. Con un saggio di Paul Viallaneix. Traduzione di Giovanni Bogliolo. In appendice, “Origine e costituzione dei testi”.

Prima edizione: “Le premier Camus, suivi de Ecrits de jeunesse d'Albert Camus”, Gallimard, 1973.

Gianfranco Franchi, aprile 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Le premier Camus, suivi de Ecrits de jeunesse d’Albert Camus.