Mondadori
1970
9788804581130
“Le stelle fredde” (1970) è un romanzo metafisico destinato a passare alla storia della letteratura italiana per due ragioni; la prima, fondamentale, è perché ospita una descrizione della vita oltre la morte, evento decisamente raro nelle nostre patrie lettere da qualche secolo a questa parte; e sa farlo con intelligenza, equilibrio e – paradosso ma non troppo – credibilità. La seconda, più marginale, è perché si tratta di un nuovo, fascinoso precipizio nell'io, in un io fragile e nevrastenico, sveviano, descrizione d'una nuova “cognizione del dolore”, anticipazione limpida della “Dissipatio Humani Generis” di Guido Morselli. La trama, come prevedibile, non tiene affatto: questo è un romanzo nebuloso, astratto, in cui ogni tanto un piccolo frammento di realtà torna a fare capolino, scuotendoci dal torpore dei nostri pensieri e delle nostre congetture; l'epilogo, che vede il narratore impegnato in un nuovo catalogo di tutto ciò che è vivente, per riorientarsi e riallinearsi alla realtà, invita – sfida, quasi – il lettore a catalogare l'esperienza estetica appena terminata. Io direi che siamo di fronte a un romanzo esistenzialista, metafisico e allegorico: a una fantasia di morte e di distruzione di un'anima ferita dalle cose della vita, in cerca di un impossibile riparo e di un difficile senso da dare a ogni esperienza.
**
Tutto ha inizio quando la donna del narratore, Ida, se ne va. “Umana, amorosa, sincera”, ha deciso che tutto finisse. Le ragioni lui non riesce a dirle tutte. Prova: lei “Era la certezza, il calore, la parola, la convinzione, il carattere, la sincerità. Io il contrario. Il silenzio, la freddezza, la negazione, lo stato di bugia. Eppure, la ragione era dalla mia parte. Non poteva restare” (p. 37). E lui, a questo punto, non ha più voglia di vedere, di ascoltare, di parlare. Va da un medico a chiedere consiglio; ha la sensazione di stare per diventare sordo. Ha smesso di percepire l'alterità. Sta sprofondando. In sé stesso.
Ha capito che “i cambiamenti che sembrano più gravi possono essere i più rapidi”. E vuole cercare una soluzione radicale. E così lascia tutto, la casa in affitto, i vecchi mobili, tutte le sue carte, e si ritira in campagna, nella casa ereditata dal nonno. Là vive il suo vecchio padre, confortato da una silenziosa domestica. Non sono più in buoni rapporti: i sentimenti sembrano “misti, contraddittori” (p. 91). In principio, pensa il narratore, “mi pareva di essere caduto in un mondo diverso da quello della casa, e forse lo ero davvero; ho sempre pensato possibile l'intrusione di un altro mondo in quello nostro abituale, e che possiamo scivolarvi da un momento all'altro” (p. 34). Poi, mentre man mano prova ad ambientarsi, e sembra che qualcosa cambi tra lui e il padre, accade qualcosa di tragico e di grottesco. Un colpo di fucile, nel bosco, mentre lui cammina per conto suo; potrebbe essere un attentato. Invece perde la vita il marito della sua amata Ida. Tutti sospettano di lui. Ma è un delitto misterioso: “senza interesse il morto, senza interesse l'assassino”, dice un poliziotto che accompagna, per un tratto, la vita del narratore. Da qui in avanti, la storia prende un'altra, sinistra e stravagante piega.
Tutto a un tratto appare un personaggio, borghese e trasandato, vecchio ma senza niente di grigio, senza cravatta, sporco di fanghiglia. Ha lo sguardo di un “idiota girovago”, di quelli che si incontrano per le campagne, e vivono di carità. Sostiene di essere Fedor Dostoevskij. Credeva di essere morto, e invece è tornato. Il narratore è naturalmente spiazzato. L'autore che aveva amato di più in vita sua era di fronte ai suoi occhi; e stava raccontando cosa aveva vissuto nel frattempo. “Niente di interessante”, a quanto pare. “Di là” - racconta - “ognuno nasce da se stesso, da solo, e nessuno può dire all'altro come avviene. Una rinascita, se vuole, ma un po' diversa e meno splendida di quella che ci era stata promessa. Non sappiamo nemmeno quando cominci, questa bella seconda vita, se subito dopo la morte, o dopo anni, magari secoli (…) Vi è un intervallo in cui si rimane insensibile, duri un secondo, un secolo o un milione di secoli, il morto risvegliato non ne avrà mai la cognizione” (pp. 133-134). Dostoevskij racconta come si percepiva, come percepiva, in generale, e cosa sentiva, nell'aldilà; accenna al presentimento d'una necessaria “seconda morte”, spirituale; racconta che si viveva parlando e discutendo, “come in piazza tra sconosciuti”, non di sé stessi e del proprio passato, ma di quel confuso presente – quasi fossero tutti filosofi e teologi. Infine, sembra suggerire che l'aldilà è speculare alla nostra vita terrena; si vive nell'attesa di qualcosa, una trasformazione, una rivelazione, un passaggio, che quando arriva non è comunque definitivo, radicale. Lentamente, la memoria di sé prende e si dissolve: l'anima s'impegna a riconoscere e nominare la sua nuova essenza.
Infine, nelle ultime battute, il narratore perde il padre – che era riuscito a scagionarlo dall'accusa di omicidio, scattando certe fotografie – e si ritrova finalmente (per così dire) solo, a giocare con un bambino piccolo, a studiare tutto, pensando possa bastare per dare armonia al disordine, e risolvere il mistero che nessuno può sciogliere.
**
L'opera, dedicata a Valentino Bompiani, conquistò il Premio Strega nel 1970. Venne tradotta in spagnolo, giapponese e rumeno (fonte: Wiki it). Mi sarebbe piaciuto che un regista come Ermanno Olmi ne avesse fatto un film. La materia era pienamente nelle sue corde, e così il mistero – nel mistero – della storia dell'anonimo narratore.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Guido Piovene (Vicenza, 1907 – Londra, 1974), giornalista, scrittore e critico letterario italiano, discendente da antiche famiglie aristocratiche. Esordì pubblicando la raccolta di racconti “La vedova allegra” (Torino, 1931). Si laureò in Filosofia con una tesi sull'Estetica di Vico.
Guido Piovene, “Le stelle fredde”, Mondadori, Milano 1970. Collana “Scrittori italiani e stranieri”.
Gianfranco Franchi, ottobre 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Un romanzo metafisico destinato a passare alla storia della letteratura