Adelphi
2004
9788845918483
“Storie brevi, divertimenti, dialoghi; infine occasioni, satire”: “Le ombre bianche” è un'antologia di pezzi editi e inediti composti tra 1956 e 1972, apparsa quando Flaiano era ancora in vita, pubblicata “poiché la realtà comincia a superare la satira”. Tutte le opere successive sono state curate e assemblate da altri letterati, nell'intento di restituire l'intelligenza, lo spirito critico, caustico e corrosivo, lo snobismo e la vivacità intellettuale di Flaiano ai suoi appassionati. È un libro inevitabilmente frammentario e frammentato, in ogni caso; destinato a fare breccia, direi, nei cuori degli aficionado prima ancora che in quelli degli appassionati di Letteratura Italiana: Flaiano qui si confermava un narratore dal respiro corto, incapace di tornare agli (altissimi) livelli dell'opera prima, “Tempo di uccidere”. Era un narratore dal respiro corto perfetto per la terza pagina dei quotidiani, o per qualche breve intervallo nei periodici. Le sue opportune e sacrosante stilettate – contro tutto: artisti, realismo, viaggio, Italia, italiani, borghesia, regimi – avrebbero potuto, una volta strutturate con metodo e raziocinio, dar vita a un grande romanzo; un romanzo capace d'essere spaccato dell'Italia di quel tempo. Questo grande romanzo non è mai nato, e dobbiamo contentarci di simularlo o di immaginarlo con creatività e fantasia considerando questi racconti come tasselli d'un mosaico. Non di un puzzle: tutto è fuorché un rompicapo, la scrittura di Flaiano, con poche eccezioni. Chiarezza, lucidità e ferocia sono le frecce del suo arco. Flaiano sembra trovare pace soltanto prendendo e fucilando tutto quel che non gli piace, che trova insensato, stupido, sbagliato. Peccato, ripeto, per la cortissima distanza della sua galoppata: in termini atletici, direi che in narrativa s'è dimostrato un atipico centometrista. Poteva essere un genio del mezzofondo, ha preferito così. Per me è un mistero – si vede che in Rizzoli, d'altra parte, nessuno aveva saputo motivarlo come Longanesi, a inizio carriera.
Veniamo al libro. Tra i racconti della prima sezione, “Storie brevi”, si va dalle satire del realismo (“Il mostro quotidiano”, l'eccellente “Armida e la realtà”, storia di una signora senza fantasia che si serve delle notizie di cronaca come fossero favole, e il coprolalico “Il sogno del conte), a quelle del declino degli artisti e del giornalismo (“L'intervista”, “Tutti in piedi”); dal vilipendio delle case moderne, estranee alla vivibilità (“L'appartamento campione”) a quello del matrimonio (la grottesca vicenda di due spogliarelliste e di un ricco musulmano: “La grande occasione”, o quella di un divorzio mancato nell'”Angelo bruciato”).
Nella seconda, “Divertimenti”, gli assi portanti non mutano, con poche eccezioni; ancora ironia sul sistema dei media e sulla “necessità” delle notizie in “Senza notizie”, che ricorda vagamente l'episodio “Isole” di un vecchio film di Nanni Moretti; satira dei noir e del morboso interesse per gli assassinii in “Gli esperti”; guasti di ispirazione e maledizioni al realismo nel “Gaio futuro”, una nuova bastonata al documentarismo, alla pornografia dei fatti e via discorrendo. Il viaggio, come da prassi nella narrativa di Flaiano, è mostrato spesso nel lato oscuro della noia, della coscienza della perdita di tempo, della fiacchezza delle interazioni: il viaggio interstellare (due pezzi: “Per una Luna migliore” e “Lo spazio è nostro”) non è dissimile, in questo senso. Nostri compatrioti lavorano già qua e là, nei posti più umili. Proprio come nel resto del mondo. Non vi dico poi che casino col traffico, su certi pianeti.
Flaiano è caustico anche nei confronti dei centri di recupero per giovani cittadini problematici, quando per ragioni psichiche, quando per ragioni tossiche; è il caso di “Recupero possibile”, magnifico esempio di humour nero, e di totale assenza di fiducia nei confronti di questi generosi, disperati tentativi di reintegrazione di esseri umani disagiati nei tessuti sociali di provenienza.
Nella terza e ultima sezione, “Occasioni”, c'è qualche perla. Il mio preferito è un attacco frontale alla burocrazia italiota: andrebbe preso e fotocopiato e consegnato, casa per casa, almeno nelle prime due pagine. Si intitola “Dei Timbri e dei Ladri”, laddove per Timbri si deve intendere una popolazione barbarica che è riuscita a invaderci e a rendersi inspiegabilmente indispensabile. Proliferando.
La stupidità degli italiani è ben rappresentata nei “Nostri graffiti”, grottesca analisi delle scritte incise sui muri della casa di un assassino, il fu “mostro di Nerola”; l'anti-viaggiatore è invece protagonista, ad esempio, del “Viaggiatore scontento”, raccontino con gustosi ricami antiamericani disseminati qua e là: “Sono soltanto un pessimo viaggiatore. Questo campanile basterà a guastarmi la giornata e, domani, che cosa mi aspetta altrove? Mi addolorano i danni che vedo compiere nei paesi dove passo. E dappertutto stanno facendo danni. Dovrei imparare la lezione di certi scrittori entusiasti che trovano tutto bello e giustificano col proseguire della vita gli orrori che si commettono in ogni città, ma non ci riesco. Sono un viaggiatore scontento” (p. 215).
Tutto qua. Cattivo ma con stile, aggressivo ma per dieci minuti al massimo – dieci minuti per volta – intelligente ma niente affatto geniale. Un buon esempio di anti-italiano, perfettamente calato nel sistema, e necessariamente nemico del sistema. Com'è che diceva Bartali? “Gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare”. A Flaiano Bartali dev'essere rimasto simpatico.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Ennio Flaiano (Pescara, 1910 – Roma, 1972), giornalista, sceneggiatore, critico teatrale e cinematografico, romanziere italiano.
Ennio Flaiano, “Le ombre bianche”, Rizzoli, Milano 1972. Oggi: Adelphi, 2004, a cura di A. Longoni.
Gianfranco Franchi, agosto 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.