Le maschere

Le maschere Book Cover Le maschere
Luigi Malerba
Mondadori
1996
9788804420361

Ambientato a cavallo tra 1521 e 1522 nella Roma Pontificia, corrotta e tormentata, “Le maschere” narra della rivalità e delle battaglie segrete e sotterranee tra due porporati, il Cardinale Cosimo Rolando della Torre e il Cardinale Valerio Ottoboni, volti a contendersi la carica di Abbreviatore e la poltrona di Camerlengo. Lo scontro tra i due potenti prelati non lesina maldicenze, esorcismi, omicidi, sviluppandosi in un’atmosfera che evoca senza difficoltà quella dell’antica Suburra, popolata com’è di prostitute, usurai, sicari e aguzzini. Si tratta di un romanzo storico, dunque, ambientato nel breve interregno intercorso tra la morte del Papa Leone X, avvenuta il 2 dicembre del 1521, e l’assunzione al soglio pontificio del fiammingo ex Cardinale di Tortosa Adriano Florensz di Utrecht, eletto col nome di Adriano VI il 9 gennaio del 1522. A partire da questa data, fino all’approdo del nuovo capo della Chiesa in Roma, i due cardinali duellano segretamente, sino a divenire reciprocamente causa della morte del rivale, per via di un sicario.

La ricostruzione storica è stata decisamente rigorosa: ne La Repubblica del dieci agosto 2001, Malerba sostiene di aver avuto esclusivamente delle difficoltà toponomastiche, “perché le piantine cinquecentesche di Roma non portano il nome delle strade e quindi ho dovuto far ricorso agli studiosi dell'Ottocento. Ho fatto molta fatica per riscoprire la città di allora, per collocare le strade, i personaggi, le abitazioni. Solo le chiese erano facili da ritrovare. Sono stato molto in giro a controllare se quello che avevo scritto era vero”. Appurata la fedeltà al contesto storico e culturale dell’epoca, testimoniata per giunta da più d’un raffinato richiamo a Baldesar Castiglione, accostiamoci all’architettura del libro.

L’opera è strutturata con un disegno esemplare: sette “quadri” rappresentano l’evoluzione del tempo e descrivono i principali eventi avvenuti nel contesto dello Stato Pontificio. Ogni “quadro”, in sostanza, tratteggia e raffigura la cornice storica alla narrazione delle vicissitudini dei due cardinali: è una sorta di pendolo che scandisce inesorabile il passare dei giorni. Ad ognuno dei primi sei quadri corrispondono esattamente quattro capitoli. Il settimo quadro conclude l’opera.

Nel primo quadro si racconta come, a seguito dell’improvvisa morte di Leone X, sia eletto il nuovo pontefice: nel settimo si assiste al suo primo discorso pubblico: in entrambi i casi, citazioni di Baldesar Castiglione suggellano una notevole simmetria. È un romanzo di denuncia della (passata) corruzione della Chiesa Romana: la nuova figura papale è destinata a riformare lo Stato Pontificio, ad arginare il disordine e le violenze che infestano la capitale “a cagione dei peccati degli uomini, ma ben più per quelli dei sacerdoti e dei prelati della Chiesa”. Non è allora un caso che nei giorni che ancora dividono Roma dal catartico arrivo del nuovo Santo Padre due cardinali si affrontino sino ad annichilirsi, attestando le peggiori bassezze morali ed etiche: che entrambi, infine, siano assassinati nel giorno dell’insediamento di Adriano VI, esplicita l’intento allegorico dell’opera di Malerba.

Veniamo adesso ad esaminare alcuni passi notevoli del romanzo. Nel corso del primissimo capitolo, nel primo quadro, assistiamo ad un interessante dialogo tra il Cardinale Cosimo Rolando della Torre e il Diacono Baldassarre, Servitore di Camera. Il giovane diacono ha dei segni impressi sulla guancia: il cardinale non fatica a riconoscervi le trame della sottile grata di ferro attraverso la quale egli avrebbe dovuto sorvegliare l’ingresso. Intuendo che il ragazzo s’è addormentato, inizia ad interrogarlo.

«“Che cosa significano questi segni impressi sulla tua guancia?” Il Diacono Servitore di Camera rimase in silenzio per qualche istante, il tempo di preparare una risposta dignitosa e non troppo compromettente. Significa, Eminenza, che sono stato appoggiato con la guancia alla grata della finestretta”. Il Cardinale abbozzò appena un sorriso. Su questo non vi sono dubbi. Ma ora io ti domando: credi che la tua risposta sia sufficiente o che invece nasconda qualche reticenza?” Mi scuso con Vostra Eminenza, ma reticenza è una parola che ha significati ambigui”. Vediamo se riesco a essere chiaro. […] Direi che reticenza è un atteggiamento di cautela, o di malizia, per cui si tace una parte essenziale del discorso in modo da falsarne il senso”. Sono stato reticente, Eminenza”. Hai confessato di essere rimasto appoggiato con la guancia alla grata della finestretta, ma hai taciuto che in quella posizione hai dormito. È così?”. È così, Eminenza”. Sei riuscito a nascondere la verità senza mentire”».

Si tratta dell’apparizione di una dissimulazione. La verità, secondo lo schema di Jankélévitch, viene nascosta puramente e semplicemente, senza mentire: ed è una menzogna difensiva, nel senso suggerito dalla nota distinzione di Piovene.

Splendida tuttavia la definizione che Malerba, per bocca del Cardinale, dà della reticenza: atteggiamento di cautela o di malizia (in senso simile a dissimulazione e malafede del Piovene) per cui si tace una parte essenziale del discorso in modo da falsarne il senso. Potremmo dedurre con facilità, dunque, che il silenzio stesso è padre della menzogna. Conquista non elementare, parrebbe: potremmo assumere questa intrigante affermazione e procedere, sebbene grande sia la tentazione di accostare questa categoria della reticenza alla recente discussione sul significato del silenzio del Cristo di fronte alla domanda di Pilato, ne La Gloria di Giuseppe Berto. Se Cristo tace sulla sua natura, allora, “tace su una parte essenziale di un discorso per falsarne il senso”? Appare un ossimoro: un personaggio che sostiene di essere Verità, non falsa forse la verità tacendo la sua stessa natura sino ad alterarla? Da un punto di vista strettamente letterario, mi sembra indubitabile.

A proposito della reticenza, Tagliapietra scrive: “La reticenza è una specie particolare di menzogna. Se la menzogna consiste nel dire intenzionalmente ciò che non è, la reticenza, invece, non dice di proposito ciò che è, danneggiando in questo modo chi ha bisogno essenziale di quell’informazione. Il contesto più grave in cui affiora la parentela tra la menzogna, ovvero falsa testimonianza, e la reticenza è quello del processo”.

Infatti, come osservano Luisella De Cataldo Neuburger e Guglielmo Gulotta, “sotto il profilo logico la testimonianza gravita intorno al rapporto tra il dire e il sapere dove dire e sapere significa testimoniare, sapere e non dire significa essere reticenti, non sapere e non dire significa ignorare, dire e non sapere significa errare”. Assumiamo le tre interessanti distinzioni e torniamo al romanzo.

Nel capitolo VI, il secondo del secondo quadro, può essere rilevante registrare questo dialogo sulla doppiezza e sull’ambiguità. Il Cardinale Cosimo Rolando sta conversando con la sua concubina, a proposito della natura umana. «“Tutti siamo divisi in due. Nel mondo c’è Dio e c’è il Diavolo e per chi non crede a queste Entità diciamo che c’è il bene e c’è il male, distribuiti e diffusi per ogni dove”. Insomma non sei preoccupato”. Perché dovrei esserlo? È talmente comune questa doppiezza che nessuno se ne accorge, oppure finge di non accorgersene, che è la stessa cosa”».

Torna alla memoria, per antitesi, il paradosso del racconto L’altro, di Borges. “Non potevamo ingannarci, il che rende difficile un dialogo”.  L’interpretazione di questo passo di Malerba può essere: la comunicazione tra individui si basa sul tacito consenso a proposito della doppiezza di ognuno. La comunicazione si fonda sulla possibilità di un reciproco inganno. L’inganno, ossia la menzogna, rende dunque possibile la comunicazione. Borges, nel fantasioso incontro con un doppelgaenger, sente soffocato il dialogo per l’eccessiva somiglianza tra i due personaggi: risultano vicendevolmente prevedibili e non possono ingannarsi. Malerba conferma la teoria borgesiana: fingiamo di non accorgerci della doppiezza dell’interlocutore, perché è la nostra stessa doppiezza. Inganniamo e siamo ingannati. Dialoghiamo. La concubina protesta, pronta la replica dell’amante: «“Io non voglio nascondere niente”. Se vuoi vivere con me in questa Casa dovrai abituarti a nascondere anche più della metà di te stessa”».

La dissimulazione e la reticenza si rivelano dunque poco a poco essenziali per la comunicazione e per la pacifica convivenza tra individui: questo sembra essere il senso di questi dialoghi. Tuttavia, qualora la menzogna sia scoperta, ecco uno dei probabili esiti, estratto da un dialogo tra il Cardinale e il Diacono nel capitolo XVIII, quinto quadro: «“Se insisterai nella menzogna la punizione sarà tanto severa quanto malvagia e goffa è stata la tua finzione”. “Vi chiedo perdono, Eminenza. Ho mentito. Merito la peggiore delle punizioni perché ho mentito coscientemente”».

La tentazione di decontestualizzare questo scambio di battute è irresistibile: in fin dei conti, stavolta è irrilevante ricordare le dinamiche che hanno originato questo dialogo. La punizione per aver mentito è severa se la finzione è malvagia e goffa: se si ha mentito in malafede, se l’artificio è grossolano. Memorabile tuttavia la risposta del diacono: egli domanda perdona per aver mentito in coscienza.

Potremmo postulare forse la possibilità che esistano “menzogne incoscienti”? La dimensione inconscia non può prevedere verità o menzogna: l’inconscio è sconosciuto, naturalmente, dunque ogni menzogna è consapevole. Il Diacono risponde allora con un artificio retorico. Per implorare perdono manifestando il maggior rimorso possibile, si esprime con una sorta di tautologia. Inganna, dicendo la verità. Ammette la menzogna, e tuttavia l’ammissione è iperbolica e ridondante: si tramuta in una alterazione della verità. Il Cardinale, infatti, lo perdonerà proprio perché lo riterrà inconsapevole e posseduto dal Demonio: se accettasse l’ipotesi che fosse “menzogna cosciente”, non potrebbe perdonarlo. Ennesimo inganno, ennesimo patto fondato sull’artificio.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Luigi Bonardi, in arte Luigi Malerba (Berceto, 1927 – Roma, 2008), romanziere, favolista, giornalista e sceneggiatore italiano.

Luigi Malerba, “Le maschere”, Mondadori, Milano, 1997.

Prima edizione: 1995.

Opere citate nel pezzo:  L. De Cataldo Neuburger, G.Gulotta, “Trattato della menzogna e dell’inganno”, Giuffrè, Milano, 1996. V. Jankélévitch, “La menzogna e il malinteso”, Cortina, Milano, 2000. A. Tagliapietra, “Filosofia della bugia”, Bruno Mondadori, Milano, 2001.

Gianfranco Franchi, agosto 2002.

Pagine originariamente integrate nella tesi di laurea “La menzogna nella letteratura del Novecento”. A ruota, apparse su Lankelot.