Bompiani
1980
9788845260834
Il caso Malaparte: è bene concentrarsi sul grande scrittore padre de “La pelle” o di “Kaputt” oppure sul politico cortigiano e arcitaliano, capace di cambiare schieramento e convinzioni a seconda delle convenienze, delle opportunità e delle circostanze, spesso assecondando l'interlocutore che ha di fronte?
La biografia di Giordano Bruno Guerri (Bompiani, 1980) scioglie i dubbi: sarà saggio, nel tempo, dimenticare la vicenda politica di un intellettuale nato repubblicano, cresciuto fascista – e radicalmente fascista -, sopravvissuto a una prima infatuazione per il comunismo, caduto due volte in disgrazia durante il regime e per questo confinato (ma: a Lipari, Ischia e Forte dei Marmi...), tentato da un'improbabile e fastidiosa adesione al PCI, riuscita soltanto quand'era in fin di vita, con dubbio tempismo e opportunismo da entrambe le parti.
Il Malaparte di Guerri è un uomo che ama straordinariamente la vita e teme molto la morte, a dispetto della sua esperienza al fronte (Prima Guerra Mondiale); è un bell'uomo che non si concede volentieri alle donne, e quando ciò succede sembra facilmente capace di crudeltà, e per questo si ritrova sulla coscienza una suicida e una suicida mancata, per amore di lui; è uno scrittore che ha avuto grossi capitomboli e qualche momento straordinariamente fortunato, un giornalista magnifico – anche e forse soprattutto nelle invenzioni – amico della Fallaci giovane e nemico storico di Montanelli; un letterato che ha rapporti ambigui coi letterati che più apprezza, da D'Annunzio a Cardarelli a Moravia, giocando periodicamente a stuzzicarli e provocarli, probabilmente per un limpido complesso di inferiorità. Politicamente ha un merito: aver denunciato il nazismo, e i mali e i difetti di Hitler, già nel 1930, pubblicamente e senza perifrasi (p. 137). Mussolini, invece, viene considerato il trasformista per antonomasia, come nel “Don Camaleo”, romanzo fantapolitico apparso nel 1928 in un'edizione edulcorata, mascherata e ridotta, infine riedito nel 1946 in versione rivista, ampliata e finalmente schietta. Non servirà ribadire che sino ai giorni della sua caduta ufficialmente Malaparte sembrerà sempre ben integrato nel regime fascista, tanto da essere considerato tra i giornalisti degni di fiducia.
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Malaparte è una sorta di dandy e di snob che si ritrova, per smania di popolarità e successo, a vivere una vita ben al di sopra delle sue capacità e della sua preparazione; una vita parte politica parte cortigiana, al di sopra dei suoi mezzi; fosse rimasto soltanto scrittore sarebbe diventato qualcosa di imprevedibile, e di grande. Questa la sensazione.
“Cosa volete che me ne importi di quello che gli italiani pensano di me? I fascisti mi detestavano, gli antifascisti mi detestano. E allora? È molto significativo che dimostrino tanto interesse per me, sia gli uni che gli altri” (Malaparte, 1948)
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Kurt Erich Suckert (1898-1957), alias Curzio Malaparte, è stato, spiega Guerri, un precursore: come “narratore d'intervento”, e come “letterato di massa”, capace di fondere alla letteratura una sorta di “didattica sociopolitica” (Introduzione, p. 8). Toscanaccio d'adozione e d'elezione, “geniaccio, indipendente, spregiudicato” (p. 15), fu un bambino timido, ultrasensibile e dominato dalla sua forte immaginazione; divenne un adulto raffinato, elegante, coltissimo e brillante, bello e forte (p. 33), con un debole per i duelli (contro chiunque) e per le cazzate (in tutti i sensi). Fascista di origini repubblicane, iscritto già nel 1922 (p. 49) simpatizzò per il comunismo a dispetto del suo spregiudicato individualismo; e più volte si ritrovò a dialogare con quelli che avrebbero dovuto essere, a ragione, i suoi nemici primi. Nemico primo restava il Vaticano, ma per un luterano mi sembra sia abbastanza prevedibile e sensato.
Figlio di un tintore sassone approdato a Prato, “capitale mondiale del riciclaggio di stoffe e stracci”, nel tardo Ottocento, e di una lombarda, borghese milanese, Edda Perelli, erede di un vecchio amico di Boito e di Fogazzaro (un nonno orgoglioso, bizzarro e violento, idolo di Curzio), Malaparte crebbe in campagna e distante dalla famiglia (considerò vero padre Milziade Baldi, il suo “balio”), orgoglioso d'essere pratese; questa distanza, ci spiega Guerri, rimase intatta e inalterata per sempre, nonostante la successiva fama mondiale dell'artista. Studiò sugli stessi banchi di D'Annunzio negli anni in cui il poeta era già una leggenda vivente, in Italia; nutrì un sentimento di rivalità e di devozione nei suoi confronti, e probabilmente giocò, per molto tempo, a imitarne le gesta.
Politicamente, esordì nel Partito Repubblicano, di cui fu segretario giovanile nel 1913. All'epoca, spiega Guerri, si trattava di un partito scomodo con una fortissima componente anarchica: “Nel programma del PRI c'erano il suffragio universale, la totale laicità dello Stato, le autonomie regionali, l'uscita dalla Triplice Alleanza, l'irredentismo, l'espropriazione delle terre incolte, l'imposta unica e progressiva” (p. 24). Si iscrisse alla Massoneria salvo poi uscirne, per incompatibilità col fascismo, nel 1923. Fu volontario nella Prima Guerra Mondiale; la prima, breve esperienza, al fianco di Peppino Garibaldi, fu incruenta. La seconda fu ben più dolorosa e duratura; in trincea, come tutti i soldati, Malaparte combattè e si ritrovò a inalare pericolosi gas, come l'Yprite, forse responsabile del tumore che più in là l'avrebbe assassinato. Eroe di guerra (medaglia di bronzo e “officier de grande valeur”), si dedicò al termine di quegli anni alla carriera diplomatica; era il 1919. Durò poco: la Letteratura chiamava. Malaparte era bruciato dal sacro fuoco delle patrie lettere. E della fama.
Fondò una rivista quindicinale (“Oceanica”) che ebbe vita breve (quattro numeri), a dispetto delle ambizioni abnormi dell'artista (sognava un movimento mondiale chiamato “oceanismo”: non una scuola artistica, ma una “tendenza dello spirito”, estranea al passatismo, al futurismo e al dadaismo); in quel periodo (1921) pubblicò il pamphlet “Viva Caporetto!”, ispirato, stando a Guerri, a “Le feu” di Henri Barbusse (1916). Nell'opera sosteneva che i fanti non fossero fuggiti, ma che si fossero ribellati alla stupidità della classe dirigente italiana; in altre parole, pubblicava una “antiretorica e antieroica esaltazione della volontaria disfatta” (p. 45). Quel libro gli guadagnò grandi antipatie; venne più volte picchiato dai suoi compagni universitari, e tuttavia lui insisté nel riproporla per tre volte – il governo Mussolini lo sequestrò, ad esempio, a dispetto delle correzioni successive dell'autore.
Entrò in rotta coi letterati romani: Cardarelli, ad esempio, diceva “A Malaparte dategli un aggettivo e ci farà sopra un libro di trecento pagine” (p. 47). Pubblicò, simpaticamente, un libro che criticava e satireggiava l'ambiente letterario (“Le nozze degli eunuchi”, giudicato da GBG “pedante e bruttino”). In politica, nel frattempo, fresco d'iscrizione al Partito Fascista, cercava di recuperare alla causa i sindacalisti rivoluzionari e gli interventisti (De Ambris), ma invano; scrivendo “L'Europa vivente: teoria storica del Sindacalismo nazionale” parlava del fascismo come di una Controriforma, “antisocialista, antiliberale, antidemocratico, antiumanitario, antimoderno”, identificando Mussolini con Ignazio di Loyola. Si sarebbe ricreduto.
Nel 1925, cambiò nome: da Suckert a Malaparte. “Voglio essere italiano non soltanto nel cervello, nel fisico, come sono, ma anche nella desinenza del nome. Malaparte è il mio gagliardetto” - scrisse a Longanesi (p. 69). Nel 1929, aveva ufficialmente cambiato cognome, anche per l'anagrafe. Gobetti, che fu suo editore, lo considerava “la più forte penna del fascismo” e “uno spirito bizzarro” (p. 70). La sua attività politica alternava, in quel decennio, momenti di forte ascesa politica, in seno al regime, ad altri di buio e di sfiducia nei confronti del Duce; in ogni caso, i suoi libri continuavano a riscuotere successo e non mancavano le illustri collaborazioni coi quotidiani e coi periodici; fondò e diresse, con Bontempelli, la rivista trimestrale “Novecento”, rivale del “Selvaggio” di Maccari. Era il periodo della polemica tra Strapaese e Stracittà. Troisio ha dedicato un bel volume su quel tempo, e su quei giornali. Leggetelo.
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Guerri racconta tutto: vicende editoriali e letterarie, incluse quelle delle opere incompiute o meno fortunate o introvabili (la stravagante e idolatrica biografia di Balbo, tanto per dirne una); velleitarie imprese da direttore di collana (“La voce” o con Grasset, in Francia); amore assoluto per i cani, e desiderio autoriale di dialogare con i cani (sembra che ululasse e abbaiasse ovunque fosse, in albergo o a casa di amici, una volta rimasto in stanza da solo); rappresaglie letterarie (Moravia nascose Malaparte nel protagonista de “La Romana”, nel 1947), politiche (è Balbo, presso il quale è caduto in disgrazia, a domandare e ottenere il suo primo confino) e professionali (inviso ad Agnelli, decadrà dalla carica di direttore della Stampa al ruolo di amante di Virginia); tentativi di esilio transalpino, non del tutto riusciti (dopoguerra) e periodica avversione agli intellettuali comunisti. C'è proprio tutto, inclusi frammenti che dimostrano come e quanto fosse capace di cambiare idea nello stesso istante in cui ne aveva una; politicamente, si direbbe una delle più incredibili banderuole della storia d'Italia (conversione al cattolicesimo inclusa). Commuove il suo amore per Prato, e per i pratesi; a Prato l'artista ha voluto essere sepolto, a Prato ha dedicato sempre – e con coerenza – parole d'amore e di sincera appartenenza. Non è stato così per Capri, dove aveva una famosa villa, e non è stato così per niente: né per il fascismo, né per una donna, né per un'opera letteraria, né per la patria. Finita la guerra, il fascista Malaparte andava a domandare, dopo breve permanenza attiva nella Resistenza, la tessera al signor Togliatti. Che peccato, e che assurdità tremenda.
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Tra le letture influenti nella formazione di Malaparte, Guerri segnala Virgilio, Omero, Orazio, Plutarco, Locke, Leibniz, Rabelais, Pascal, Montaigne, Malebranche, Saint-Simon, Shakespeare, Villon, Spinoza.
Questo libro è perfetto per avvicinare alla psiche, alla visione (alle visioni) politiche e all'estetica di Malaparte sia i neofiti che gli aficionado. In una parola, è un must.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Giordano Bruno Guerri (Monticiano, Siena 1950), scrittore, giornalista e storico italiano. Si laureò con una tesi su Giuseppe Bottai, poi pubblicata da Feltrinelli (1976). Fu direttore del mensile “La Storia Illustrata” e di Mondadori, sin quando non venne ceduta a Carlo De Benedetti (1988). Collabora col “Giornale”.
Giordano Bruno Guerri, “L'arcitaliano. Vita di Curzio Malaparte”, Bompiani, Milano 2008. Collana Tascabili Bompiani, 394.
Prima edizione: Bompiani, Milano, 1980.
Gianfranco Franchi, agosto 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Questo libro è perfetto per avvicinare alla psiche, alla visione (alle visioni) politiche e all’estetica di Malaparte sia i neofiti che gli aficionado…