Ore Piccole
2007
De Amicis scrive tenendo tra le mani un “esemplare mezzo sfatto della prima edizione di Jacopo Ortis” del 1802: è il 1907. A un tratto, allucinato dal frontespizio, immagina di vederlo animare e di sentire il libro parlare di sé; delle sue immediate fortune, della sua resistenza alla censura austriaca, del suo ritorno alla popolarità alla notizia della morte di Foscolo, nel 1827. Assieme, racconta dei suoi passaggi, da una casa all’altra, da una bancarella a una libreria antiquaria, da una vita all’altra, non escludendo, naturalmente, l’involontario sostegno al suicidio d’un giovane che viveva in una mansarda e le leggende apocrife sulle sottolineature autoriali: “Ecco la mia storia di centocinque anni, dal Consolato di Napoleone al Regno di Vittorio Emanuele III. Il mio autore aveva ventott’anni quando uscii alla luce, e da ottant’anni è sepolto! Ma s’avvicina anche la mia fine, come vedi” (p. 14). Storia quindi della fortuna dell’opera e delle vicissitudini d’ogni libro: sullo sfondo della formazione del Regno d’Italia. Che si sfalderà esattamente come questa prima edizione, così consapevole della fine dei suoi fratelli e dei suoi successori.
È una passeggiata letteraria, malinconica e tuttavia divertente, non estranea ad omaggi bibliofili alle tecniche di archiviazione: il libro di se stesso dice: “Quanti e quanto diversi vicini ho avuto nel corso delle mie vicende! In librerie disposte per ordine alfabetico, sono stato tra Fedro e Franklin, tra Filangeri e Fourier; da ultimo, tra i ‘Nuovi orizzonti’ di Enrico Ferri, e i sonetti in vernacolo di Renato Fucini. Per molti anni ho avuto la consolazione di stare in famiglia con le Tragedie, con l’Epistolario e con gli altri figli di mio padre. Son vissuto anche qualche tempo in mezzo a opere di natura e di forma affine: fra il ‘Werther’ di Goethe e ‘Le notti’ del Young, tra le ‘Lettere persiane’ del Montesquieu e ‘La novella Eloisa’ di Gian Giacomo. Ho avuto accanto dei libri odiosi, pieni di vituperi contro il padre mio; dei romanzi neonati, ancora odoranti d’inchiostro fresco (…)” (p. 22).
L’inevitabile, bolsa retorica di De Amicis accompagna la buona intuizione d’una storia raccontata da una voce del libro sino a una meditazione sul destino di tutto quel che è umano: la polvere, l’oblio. Ah mio dio, l’oblio dell’opera, l’oblio dell’autore: la fine di ogni speranza d’eternità. Polvere sei e polvere tornerai (ma tra una polvere e l’altra un po’ di rosso non fa male). Tuttavia non si può nascondere che l’intuizione sia notevole; la fantasticheria sui passaggi di proprietà dei libri usati è un esercizio non estraneo a nessun letterato. Soprattutto per via delle firme e delle dediche sui frontespizi, degli scarabocchi e degli appunti vergati da mani sconosciute, nel tempo; delle macchie di caffè, dei caratteri bruciacchiati dal sole. È un esercizio classico per sviluppare l’immaginazione, per lavorare magari su personaggi nuovi: o per simulare la propria esistenza in un altro tempo, semplicemente in un’altra società.
Per ricordarci, infine (maledizione!), che siamo di passaggio anche noi; e che questi nostri scaffali piegati dal peso dei libri un giorno saranno deserti. E chissà tutti questi nostri amori – e tutte quelle delusioni – per quali case transiteranno, sino all’autodistruzione per sfaldamento. Romantico, sì.
Questo racconto breve è stato appena ristampato, a cento anni di distanza dalla prima pubblicazione, dalla promettente Associazione Culturale Ore Piccole di Piacenza (Dadati e Fugazza), con otto illustrazioni di Leonardo Cemak. L’edizione, molto economica ed estremamente tascabile, compromette inevitabilmente la qualità delle immagini, senza negare loro centralità. Ma questa francescana povertà letteraria è magnifica e commovente, significa passione vera e non può non pretendere sostegno e approvazione. Restituire luce a De Amicis non è forse ideale viatico a una rivoluzione culturale, ma è un cenno di rispetto nei confronti di uno scrittore che ha indubbiamente contato su legioni di lettori entusiasti (e su schiere di massacratori) nell’ultimo secolo. Lo stile semplice – bozzettistico, e popolare – dell’autore del libro più retorico della Letteratura Italiana s’adatta a una storia che vuole essere, a un tempo, didattica e moraleggiante; insegnando il rispetto per ogni libro e per la storia che può portare con sé, attraversando il tempo esattamente come un essere umano.
Poche decine di minuti per leggere, qualche giorno per interiorizzare: allucinandoci noi stessi, prendendo ispirazione dalle illustrazioni dell’artista, e ritornando a inventare storie semplicemente sfogliando vecchi frontespizi. Potere della Letteratura: autorigenerarsi restando assopita. Scintillare come reminiscenza e come visione: malinconica o solare, metamorfica e infinita. Necessaria.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Edmondo De Amicis (Oneglia, oggi Imperia, 1846 – Bordighera, Imperia 1908), giornalista e scrittore italiano.
Edmondo De Amicis, “La voce d’un libro”, Ore Piccole, Piacenza 2007. Illustrazioni di Leonardo Cemak.
Prima edizione: ne “L’Illustrazione Italiana”, anno XXXIV, n. 43, 27 ottobre 1907.
Gianfranco Franchi, gennaio 2008.
Prima pubblicazione: Lankelot.