Adesso sulla mia scrivania c’è un libro fondamentale, e un libro soltanto: è la seconda edizione aggiornata e ampliata di “Narratori degli anni Zero” del letterato romano Andrea Cortellessa. Si chiama “La terra della prosa” e vede la luce a due anni di distanza dalla prima. Quando ho letto “Narratori degli anni Zero” ho scoperto una scrittrice che mi ha profondamente colpito, e che considero grande: Babsi Jones, quella di “Sappiano le mie parole di sangue”. Quando ho letto “Narratori degli anni Zero” ho deciso di sperimentare la lettura della Vorpsi, e di Luca Ricci: avevo mancato entrambi. Non mi hanno sconvolto ma mi hanno interessato ed emozionato, per ragioni diverse. Quando ho letto “Narratori degli anni Zero” ho passato qualche settimana, forse qualche mese, a fare una dura autocritica, perché quello che considero il massimo critico letterario vivente, degno e solo erede di Flora, non mi aveva preso in considerazione come narratore, ma solo come critico. Da una parte la totale esclusione dal canone mi ha fatto sentire affranto, e annullato; dall’altra mi ha motivato a superarmi, e forse anche per questo non pubblico una riga di narrativa da diversi anni. Le prossime saranno scritte con diversa consapevolezza, e diversa potenza. Se un giorno Cortellessa dirà che ho scritto qualcosa di grande allora io potrò considerarmi terminato.
Onestamente, al contempo, riconosco che essermi ritrovato tra i critici letterari consultati, per quel che avevo pubblicato negli ultimi tre-quattro anni tra “Secolo”, “Riformista”, “Lankelot” e “BlowUp”, mi ha fatto sentire eccezionalmente appagato, e realizzato. Ricordo molto bene cosa ha significato per me, all’epoca ventenne, assistere a una presentazione di un libro tenuta da Cortellessa: ero rimasto sbalordito, e davvero profondamente ammirato, dalla ricchezza dei suoi riferimenti e delle sue letture. Ho sempre pensato che se una mente del genere un giorno avesse speso il mio nome allora tante cose avrebbero avuto senso. Quindici-sedici anni più tardi è successo. Per me è una medaglia, non lo nascondo, e ne vado particolarmente orgoglioso. Non ho avuto lo spazio che speravo, come letterato, ma quel poco che ho avuto è bastato, almeno a livello critico.
Adesso voglio misurarmi con la nuova edizione del libro del professore. Voglio vedere che effetto mi fanno certi nomi e certe scelte. Voglio criticarlo, voglio elogiarlo, voglio contestarlo, voglio ragionarlo. Servirà tempo. Giorni, settimane, forse di più. E una volta ancora mi sentirò escluso, come narratore, e una volta ancora mi sentirò orgoglioso, come critico. Ma più di tutto, mi sentirò entusiasta di essere contemporaneo di un’intelligenza del genere. Se c’è uno come Cortellessa c’è speranza. E c’è sempre da imparare. E c’è sempre da confrontarsi, e da ragionare. Alla fine di questo viaggio forse scriverò del canone di Cortellessa da qualche parte (già, ma dove? Che spazi sono rimasti per i letterati della mia generazione, e a che prezzo?), forse no – forse scriverò due o tre messaggi al professore, come l’altra volta. Ma in ogni caso sarò grato a questo buio medioevo nuovo che stiamo vivendo perché in tanta solitudine e tanta desolazione m’è capitato di poter leggere qualcosa del genere, e mi sono sentito vivo, e meno matto. E meno solo.
Naturalmente, consiglio sin d’ora a ogni lettore forte e ogni letterato “La terra della prosa. Narratori italiani degli anni Zero (1999-2014)” di Andrea Cortellessa, fresco di stampa per L’Orma. Per uno che vive di letteratura, è un’esperienza simile a una giostra. Una giostra eccezionalmente spettacolare, e spesso imprevedibile. Facile da giudicare. Difficile da superare. Sul serio.
Gianfranco Franchi, giugno 2014