La spiaggia

La spiaggia Book Cover La spiaggia
Cesare Pavese
Einaudi
1968
9788806189723

La spiaggia” è un romanzo breve che, nelle prime battute, sembra essere destinato alla trattazione singolare e appassionante di un’amicizia restituita agli antichi fasti e alla primitiva goliardia della giovinezza: e che invece, poco a poco, recede dal disegno iniziale per trasformarsi in riflessione sul matrimonio, sul distacco dalla giovinezza, sul male della “troppa confidenza”, che paradossalmente impedisce un’autentica comunicazione.

Il narratore in prima persona è un professore che ha da poco passato i trenta anni. Ha avuto un grande amico, col quale è cresciuto assieme: Doro. Come troppo spesso accade, le scelte sentimentali ed esistenziali dell’amico avevano determinato una serie di piccole incomprensioni e un progressivo deterioramento del rapporto. Doro, dopo essersi sposato, s’era trasferito a Genova: il professore, poco convinto della bontà di questa decisione (del resto, non fatica ad ammettere d’esser stato sempre geloso di lui: cap. II, p. 11) aveva discusso con lui e aveva rifiutato addirittura di assistere al matrimonio.

Qualche tempo dopo, s’era trovato di passaggio a Genova e s’era presentato a casa dell’amico: ripristinata la pace e la concordia, il professore aveva preso a visitare periodicamente Doro e la graziosa moglie Clelia, ritrovandosi però perplesso e annoiato dalla loro vivace vita sociale. Così, dopo una nuova fase di distacco, ridotta a biglietti d’auguri e “qualche cicalata”, al momento d’accettare una villeggiatura presso la loro villetta in Riviera viene sorpreso dall’annuncio di Doro: sta per tornare, per “scappare al suo paese”.

Doro è “aggressivo e sardonico come un tempo”: vino, canti, bagordi e incontrollata voglia di donne contraddistinguono il rapido e confuso ritorno alle origini. I luoghi dell’adolescenza accolgono i vecchi amici, e per un attimo sembra che sia tornata l’incandescenza degli anni dell’incoscienza. Con tanto di rischio di qualche generosa legnata e d’un po’ di piombo, che in circostanze del genere non guasta. Purché, come in questo frangente, sia evitato.

Il professore non capisce se Doro sia in crisi con Clelia, se il viaggio sia davvero una visita di piacere o una fuga da una situazione insopportabile. Poi, quando assieme ripartono per raggiungerla in Riviera, la rivede dopo due anni e, lentamente, prende a registrare le novità. Clelia gli confida d’essere disperata, e lo supplica di restare al fianco del suo vecchio amico, per distrarlo. “…no, non abbiamo litigato. E nemmeno è geloso. E nemmeno mi vuol male. Soltanto, è diventato un altro. Non possiamo fare la pace, perché non abbiamo mai litigato”.

Clelia non rifiuta la corte di altri amici, come Guido. È frivola, e ammette di odiare se stessa. E proprio non capisce il consiglio del professore, di provocare una crisi “come si scuote un orologio per rimetterlo in marcia” per litigare con Doro. Doro conferma: va tutto bene solo perché “uno dice certe cose soltanto per far piacere all’altro”, “il male è che si ha troppa confidenza”. C’è qualcosa di inespresso che rimane sospeso nell’aria: un quieto vivere che ha il sapore del veleno più pericoloso – quello della routine.

Clelia sente di non avere niente di suo, eccetto il mare. Ed entra sempre in acqua da sola. Le basta la compagnia del mare: altrove può circondarsi di amici e conoscenti, e giocare ad esser corteggiata e desiderata. E magari cedere, qualche volta; per indifferenza, chissà, o per autodistruzione, o per edonismo. Difficile a dirsi. Ma di fronte al mare sembra ritrovare il segreto della propria natura: la tendenza all’annullamento, al dissolvimento di sé.

È sulla spiaggia che Pavese descrive, nel paragrafo che a breve riporterò, un ritratto delle anime di Clelia e Doro. Tramite qualche rapida e nitida pennellata, destinata a tratteggiare e distinguere due spiriti distanti, l’autore dimostra come sia possibile connotare due anime in un contesto apparentemente tanto superficiale e irrilevante: “Di giorno sulla spiaggia era un’altra cosa. Si parla con strana cautela quando si è seminudi: le parole non suonano più nello stesso modo, a volte si tace e sembra che il silenzio schiuda da sé parole ambigue. Clelia aveva un modo estatico di godersi il sole stesa sulla roccia, di fondersi con la roccia e appiattirsi al cielo, rispondendo appena con un sussurro, con un sospiro, con un sussulto del ginocchio o del gomito, alle brevi parole di chi le fosse accanto. Mi accorsi ben presto che, stesa così, Clelia non ascoltava veramente nulla. Doro, che lo sapeva, non le parlava mai. Stava seduto sul suo asciugamano con le ginocchia tra le dita, fosco, inquieto; non si stendeva come Clelia; se qualche volta ci si provava, dopo pochi minuti eccolo a torcersi, a voltarsi sul ventre, o a risedersi come prima”. (Capitolo Quarto, p. 27)

Su quella spiaggia, Doro da qualche tempo ha preso a dipingere marine. Quel suo divertimento era stato percepito, dalla sciatta e approssimativa sensibilità della compagnia della moglie, come autentica dedizione all’arte. Dedizione che pretendeva, a detta del solito Guido, imperdonabili disattenzioni coniugali.

Doro aveva forse finalmente indovinato la vocazione della sua esistenza. Troppo tardi, e invano – come confermerà, più avanti, al professore.

In questo teatrino piccolo borghese, di serate mondane e francamente frivole, di tradimenti sottaciuti e incomprensioni sublimate dalla noia e dalla quotidianità, a corrodere il già malsano equilibrio appare un ex pessimo allievo del professore, il giovane Berti. Giovane e esplicitamente e pomposamente sessista (abbastanza, almeno, da apparire al lettore bugiardo dopo tre battute), e improvvisamente interessato a ritornare a dialogare di Belle Lettere col suo docente : restando nei paraggi della compagnia di Clelia, s’intende.

L’aria si fa sempre più torbida e grottesca. Tutti sembrano intuire e nessuno si risolve ad ammettere. Poi Clelia rimane incinta, e Berti, quando riceve la notizia dal professore, diventa di colpo inconsolabile.

È un romanzo d’un Pavese ancora acerbo, capace di sondare soltanto la superficie profonda dei personaggi e di dilettarsi, al limite, in descrizioni di gusto impressionista – non per questo meno gradevoli o meno apprezzabili (si allude, ovviamente, al felice paragrafo riportato in precedenza). Estremamente promettente, sin da queste prime prove, la sensibilità nei confronti dei tempi e dei ritmi del parlato. Colpisce la costante presenza (già segnalata in “Paesi tuoi”) di personaggi misogini o sessisti. È un libro di transizione, poco più d’un equilibrato esercizio di stile: con quale sprazzo d’eccellenza, e qualche giovanile trasandatezza – penso alla prevedibilità della seconda parte dell’intreccio, alle spocchiose descrizioni degli edonisti, alla discreta egolatria d’un narratore che sembra, a tratti, unico depositario ed esegeta delle verità dell’esistenza. Di tutti.

Il romanzo breve “La spiaggia” apparve originariamente a puntate sulla rivista “Lettere d’oggi”, diretta da G.B. Vicari, nel 1941; quindi, nello stesso anno, fu pubblicato in volume nelle edizioni della rivista. Fu ristampato da Einaudi nel 1956 nella collana “I coralli”. Il manoscritto è datato 6 novembre 1940 – 18 gennaio 1941.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 1908 – Torino, 1950) scrittore italiano. Laureato in Lettere con una tesi “Sulla interpretazione della poesia di Walt Whitman”, all’attività di romanziere e poeta affiancò quella di saggista e traduttore e fu tra i fondatori della casa editrice Einaudi.

Cesare Pavese, “La spiaggia”, Einaudi, Torino 1968.

Prima edizione: “La spiaggia”, in Lettere d’oggi, Roma, 1941.

Gianfranco Franchi, gennaio 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot