La spada

La spada Book Cover La spada
Tommaso Landolfi
Adelphi
2001
9788845916342

Terza raccolta di racconti di Tommaso Landolfi, “La spada”, originariamente edito nel 1942, è probabilmente il primo libro dell’artista di Pico Farnese a mostrare – pure per via d’allegorie, di paradossi, di satira dell’esistenza e del senso di tutto – un confronto-scontro consapevole con la solitudine, la tristezza, la caducità di tutto. Con quel paradosso che è la vita degli esseri umani, per intenderci; creature illuse d’un’eternità che proprio non esiste e d’un senso che non si riesce a intravedere nemmeno – dipingerlo o sognarlo, questo sì, è ancora possibile come migliaia d’anni fa. Lo stile, in ogni caso, fa sempre la differenza. Sempre. In questo senso, dicevamo, questo confronto-scontro meno mediato che in passato è davvero un primo segno di maturità letteraria; quanto poteva sin qui apparire grottesco, bizzarro o stravagante, quanto risultava tendenzialmente divertissement autoriale d’un aristocratico letterato di provincia, adesso va virando dal disimpegno all’ammissione pacifica di malessere, debolezza, dipendenza – in altre e più nette parole, impotenza. Landolfi comincia a schiudere i contrasti interiori dal loro guscio, e il risultato è micidiale.

La spada” può contare su una maggioranza relativa (quindici in tutto i racconti pubblicati) di testi memorabili. Non soltanto per l’argomento della narrazione, non di rado hapax; ma per la capacità di sintetizzare, in poche pagine, qualcosa che investe il nostro inconscio di responsabilità magari faticosamente dimenticate, di responsabilità e domande addirittura rimosse.

Si comincia con “La tenia mistica”, adeguato e ispirato omaggio all’atipico genio del letterato-tipografo Rétif de La Bretonne: si racconta di come Niel cadde da una caverna nel pianeta Nazar, al centro della terra, proprio là dove dominano gli alberi; non lontano dall’impero degli esseri universali, Mezendor, dove ogni pianta e ogni bestia è dotata di ragione. Laggiù la sua sapienza valse a renderlo galoppino; quanto avviene nel profondo della Terra sembra mutare radicalmente il senso di quel che conosciamo, giacché in quelle viscere sembra annidarsi l’origine di tutto…

L’inversione di potere e influenza uomo-animale è sviluppata meglio più avanti; nella prosa lirica “Colpo di sole”, narrazione dell’epilogo dell’esistenza d’una malinconica civetta, fulminata dal fuoco insolente di cacciatori che nemmeno vanno a raccoglierne la carcassa, e nel superbo e sperimentale “Nuove rivelazioni sulla psiche umana”: la scienza canina raccontata dai cani, in una dimensione in cui gli uomini sono animali domestici miracolosamente capaci di intendere e replicare alle comunicazioni della razza dominante: l’uomo Tommy detto Lol aiuta i canini a fare i compiti, comunicando per zampate sulla scrivania; viene esaminato da uno scienziato che, nel racconto, divulga l’incredibile impatto delle loro conversazioni sulla sua idea del mondo; non solo l’uomo sa far di conto come un cane, ma – destando scandalo – riesce addirittura a pensare e a elaborare una teoria fondata sull’unità di tutte le creature viventi, parte di un’origine comune, patria non sognata ma dimenticata. I cani rifiutano sdegnosamente quest’evidenza.

Landolfi inverte e sovverte, e così scrivendo suggestiona, affascina e rapisce. Stesso principio vale quando inventa, ne “La melotecnica esposta al popolo” (scoperto omaggio all’amico Montale) il peso, l’odore, il colore e la vitalità delle note baritonali; oppure quando anima il fuoco, nel racconto omonimo, laddove racconta che il fuoco comunica con linguaggio divino, che è mutevole lingua che non sempre intendiamo appieno, nelle sue variazioni e nelle sue inattese evoluzioni; l’acme è nella breve prosa lirica finale, dedicata alle confessioni d’una piattola in punto di morte. In breve testimoniamo l’addio d’una piattola del bosco, che invita gli uomini a non insuperbirsi e a non ridere della sua sorte: che è comune a quella di ogni creatura vivente. Morire. Da sbellicarsi, ma non ci si riesce sino in fondo. La piattola, essenziale e secca, ricorda un destino che non dovremmo dimenticare. Landolfi è forse il primo in assoluto ad aver dato parole a una piattola. Salutiamo il suo coraggio con divertito e perplesso piacere.

Nella raccolta non mancano incursioni para-realiste (“Una cronaca brigantesca”) innervate tuttavia da esiti imprevedibili; come nel caso de “Il ladro”, in cui tutto sembra favorire l’identificazione tra il lettore e il ladruncolo nascosto da ore nella cantina, con le orecchie tese per identificare ogni rumore proveniente dall’alto; questo sin quando non s’avvede che tutte quelle voci appartengono in realtà a un uomo solo, che disperato parla con se stesso cambiando toni e via dicendo, e allora i due non potranno che abbracciarsi e condividere la loro sorte – miseria comune, comprensione inevitabile, pure se ragioni e cause del malessere sono differenti.

Principio analogo vale per “La notte provinciale”, storia di giochi notturni in una provincia annoiata e noiosa, a sfondo magari erotico, con epilogo imprevedibile e sanguinario – ma senza che si riconosca il colpevole, e questo è interessante. E non poco. O meglio; solo il lettore sa…

Quanti vogliano pizzicare i prodromi delle grandi pagine dedicate al gioco dall’autore potranno dilettarsi con “Lettura di un romantico sul gioco”, che mi sembra vada esemplificando ragioni e motivi d’un amore dalle radici lontane nel tempo.

Acme della raccolta due pezzi: “Il babbo di Kafka”, che ribadisce la sensibilità nei confronti della metamorfosi dell’autore – tematica già sviluppata con originalità ne “La pietra lunare” – e denuncia conflitto con l’autorità paterna (delittuoso sarebbe rivelarvi la trama, considerando che si tratta di così poche pagine) e l’eponimo “La spada”, allegoria d’un amore ucciso da un uomo solitario e innamorato di quel che non ha più senso (la Letteratura come la spada? È una mia congettura) – storia d’un Longino contemporaneo che scova questa lama indistruttibile, sottile e tagliaferro e si diletta a mozzare le statue della sua decaduta casa, e non sa davvero che farsene di tanto potere. Quando torna a cercarlo la fanciulla bianca – che gli appartiene – la massacra e soltanto quando è troppo tardi si pente e si libera di quella spada. Che altri recupereranno, nel tempo a venire. Gettarla via è servito davvero a poco.

Notevole. Ben distante dall’esercizio di stile, questa raccolta di racconti è il documento d’un’anima in cerca di senso, significati, appartenenze diverse da quella unica, totale, incontrovertibile – quella letteraria.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Tommaso Landolfi (Pico Farnese, Frosinone 1908 – Roma, 1979), scrittore, critico, saggista e traduttore italiano. Si laureò in Lingua e Letteratura Russa nel 1932, con una tesi su Anna Achmatova.

Tommaso Landolfi, “La spada”, Rizzoli, Milano, 1976.

Prima edizione: Vallecchi, Firenze, 1942.

Nella prima edizione l’opera era preceduta dai racconti de “Il Mar delle Blatte”, allora ristampato in seconda edizione. Quindi, apparve nel volume antologico “Racconti” (1961). A seguire, l’edizione esaminata e l’edizione Adelphi del 2001.

Approfondimento in rete: Centro Studi Landolfiani / Wikipedia

Gianfranco Franchi, marzo 2007.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Terza raccolta di racconti di Tommaso Landolfi, “La spada”, originariamente edito nel 1942…