Stampa Alternativa
2008
9788862220378
“Noi matti siamo fiori e uccelli. Io e quelli come me siamo fiori e uccelli”, ma “la pazzia non esiste. Esistono invece gli effetti collaterali delle medicine che ci propinano” (Schiavetti, “La schizofrenia non esiste”, p. 20 e p. 62).
Diario di una persona che soffre – per questo naturalmente e necessariamente degna di rispetto, e di solidarietà: la comprensione è materia per i dottori e per i parenti, inevitabilmente, non per i lettori – scissa tra “cervello” e “anima”, quasi fossero due diverse fonti di pensiero e di interazione con la realtà, “La schizofrenia non esiste” è il documento d'una lunga transizione tra una malattia e una guarigione che non sembra poter avvenire. L'autrice, un'artigiana mantovana schiacciata dai disordini mentali e dal rifiuto per nuovi trattamenti psicofarmaceutici, scrive lettere al Papa, al Presidente della Repubblica, ai giornali, locali e non, domandando sostegno per la sua battaglia: impedire nuovi TSO. Nuovi Trattamenti Sanitari Obbligatori. Intanto sogna attori, cantanti, personalità della cultura e della politica, mostrando un immaginario macchiato e influenzato da un tubo catodico che nel libro, a ben guardare, non appare mai. Curioso. Il cammeo di Berlusconi in sogno è una foto del bombardamento televisivo interiorizzato senza filtri.
La Schiavetti sostiene che non ci siano cure adeguate al suo disagio, e che gli psichiatri siano, piuttosto, terroristi. Cosa, allora, può curare i nostri concittadini ammalati d'anima, o questa nostra concittadina ammalata d'anima, se gli psicofarmaci e i dottori non sono adatti? Non l'amore, né la letteratura, né la pittura, né Dio, né nuove leggi. Niente: o forse tutte queste cose assieme, con estrema difficoltà e lentezza, proprio come accade per ognuno di noi. Leggiamo il libro di una persona che prima dice “noi matti”, poi torna indietro: “la pazzia non esiste”. E quindi? Quindi direi che dal punto di vista della linearità e della coerenza testuale non ci si può raccapezzare, se non fantasticando un po'; direi che questo testo dovrebbe essere patrimonio esclusivo dei suoi dottori, e di quanti vogliono capire cosa significhi “alterazione della percezione della realtà”; direi che la sofferenza sempre commuove, ma la commozione non aiuta a trovare soluzioni. Soprattutto, direi che la drammatica centralità degli psicofarmaci post riforma basagliana non sembra aver migliorato eccessivamente le condizioni di vita dei cittadini ammalati; sembra averli addormentati o addomesticati, scatenando un furioso odio contro chi e contro ciò che addormenta e addomestica. Facendo ingrassare, facendo ammalare. È come se il pazzo volesse la pazzia, come se non potesse farne a meno: come se la preferisse al torpore.
Onestamente, è parecchio difficile decifrare il mosaico di pensieri frantumati e allucinati della Schiavetti. Le ragioni delle incomprensioni famigliari non sono chiare; si intravede gelosia morbosa nei confronti del marito, sospetto e diffidenza nei confronti della madre e della sorella, amore per la nipotina: purtroppo, mancano le descrizioni delle crisi, della pericolosità per sé stessa o per gli altri che deve aver dato origine ai TSO. Per questo sarebbe importante ricordare sempre, mentre si legge il testo, che si ha di fronte il diario di un io che soffre e dice di sé quel che preferisce, magari omettendo e censurando elementi che potrebbero e dovrebbero avere altra centralità. C'è una profonda solitudine – con tanto di epifanie di spiriti e “forze”, in casa – e una progressiva serie di maledizioni lanciate ai farmaci: che pure potrebbero, è questo il paradosso, aver permesso una “lucida” esposizione dei fatti. Nodo complesso.
Ho chiuso il libro pensando che la parola chiave per l'umanità tutta è “pietà”: pietà, in prima battuta, per chi soffre, per chi ha l'anima rotta – il cervello a pezzi. Pietà, e speranza che esista un sentiero di guarigione: nel linguaggio, e non nelle droghe o nei farmaci.
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Cos'è il TSO? Spiega, nell'introduzione, il Dottor Baraldi: “TSO è l'acronimo di Trattamento Sanitario Obbligatorio, vale a dire la possibilità, riconosciuta per legge, di essere ricoverati in un reparto di Psichiatria in modo coatto, cioè contro la propria volontà; e di essere sottoposti a terapie, in genere psicofarmacologiche, anche se non si è d'accordo (…) Di fatto, nonostante la nostra Costituzione preveda che 'nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario', alcune eccezioni sono poi previste e una riguarda i malati di mente” (p. 4).
La Legge non implica interdizione nemmeno temporanea (!), garantisce al paziente il diritto a essere informato delle cure somministrate e a diffidare ai sanitari, nonché a scegliersi l'ospedale. La Legge, in altre parole, assicura massima libertà e tutela ai cittadini malati di mente, come ben sappiamo. È un enorme e assurdo paradosso che figlia la liceità di una pubblicazione come questa. Non è dello stesso avviso, infatti, una cittadina che ha sofferto circa 30 TSO, Gianna Schiavetti da Mantova, convinta che gli psichiatri siano “frodatori dello Stato” (p. 10) e “terroristi” (p. 18) e che certi farmaci siano stati tumorali (p. 15) o che siano “superatissimi” (il Serenase è un'ossessione per tutti i pazienti). Gli psichiatri non devono più imporre medicine, scrive (p. 52): gli psicofarmaci abbassano le difese immunitarie (p. 57) e implicano terribili effetti collaterali. “Quella psichica” - conclude - “è una malattia come un'altra e non devono esserci psichiatri di Stato, ma specialisti da cui si andrà solo volendolo” (p. 86). Come ci si orienta nella volontà – nella decifrazione della volontà – di chi ha l'anima (il cervello) a pezzi, o “ammalata”? Empaticamente, o con intuizioni geniali? Difficile a dirsi, e più seriamente difficile capire quale logica ha permesso la fondazione di una legge del genere. Grottesca è dir poco.
Torniamo al libro. C'è un'eccezione, tra i medici, secondo l'autrice: il dottor Baraldi, che ha ancora un cuore di bambino e un'intelligenza intuitiva (p. 25). La schizofrenia, “malattia che non esiste”, secondo Jung implica, in fase terminale, un “deterioriamento appercettivo”: “le persone normali non hanno appercezioni e considerano fuori della norma coloro che le hanno” (p. 35).
L'autrice denuncia la ridotta libertà di pazienti come la trentenne Erica, che sognava di potersi prostituire e di vivere d'accattonaggio a Roma, bevendo vino e dormendo nei cartoni: e si ritrova sedata con psicofarmaci potentissimi. O come Bice, esaurita per un amore andato male, giovanissima, e da vent'anni in cura da un male che forse non aveva ragione d'essere curato con tanta violenza. Intanto, medita: su qualche battuta di Pavese (interlocutore privilegiato e primo: inclinazione suicida e ossessione amorosa cause prime?), sulla storia violenta del cristianesimo, sulla nipotina che non vede mai, sul passato alcolismo, sui suoi sogni – è una straordinaria e dettagliata attività onirica, come già accennato – e intanto periodicamente invoca Dio, e in sogno ammazza il diavolo. La poesia, e i poeti, hanno saputo sedarla, hanno saputo mitigare il suo dolore (p. 49): il male s'addormentava cercando verità e bellezza nella parola scritta. Che abbia sempre montagne di libri da leggere, la Schiavetti, allora.
Racconta di aver sofferto “forze negative” che le hanno poi “rotto la testa”, tanti anni prima, in casa: solo il suo gattino se ne accorgeva (p. 37). Più avanti, avvertiva la presenza di Dio (p. 46), spiriti ed entità varie (p. 53) che le facevano compagnia (p. 60).
Racconta tutta la sua gelosia per un marito – durato poco – che aiutava la hostess a scendere dalla corriera, ma non aveva gli stessi riguardi per lei; e tutta la sua rabbia nei confronti della sorella, che periodicamente la fa ricoverare. Curiosamente, non spiega mai perché la sorella arrivi a quella drastica soluzione, a quella disperata richiesta di soccorso; né perché la madre la considerasse malata. È un peccato, ma era forse prevedibile.
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La schizofrenia non esiste, oppure non è stata ancora descritta e analizzata a dovere? Possibile. Ma la pazzia esiste e ha tanti nomi differenti; la ricerca non potrà fermarsi mai, la nomenclatura si dovrà aggiornare, le cure naturalmente dovranno mutare e per quanto possibile escludere i farmaci. Ma non bisogna dimenticare in nessun caso che la società non è che un innesco, non certo un fattore assolutamente determinante. La prospettiva basagliana è, da questo punto di vista, non sempre e non del tutto condivisibile. Soprattutto, lo Stato deve riconoscere criteri irrevocabili per i TSO, o per futuri ricoveri coatti: la pericolosità per sé stessi e per l'alterità in primis, l'interdizione immediata e provvisoria dei pazienti ammalati in seconda battuta. Da lì si deve ripartire. Un cervello rotto non può decidere della sua sorte.
Assieme, si deve supervisionare la limitazione degli accordi commerciali tra psichiatri e aziende farmaceutiche. Non ci voleva “Matti slegati” per sentire puzza di bruciato, in questo senso. Basta dare un'occhiata ai redditi delle industrie farmaceutiche, e dei farmacisti. Qualcosa non quadra.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Gianna Schiavetti (1941), cittadina italiana, vive a Mantova. Oltre trenta ricoveri alle spalle, combatte contro la psichiatria diffondendo i suoi diari e animando una trasmissione radiofonica su “Rete 180”.
Gianna Schiavetti, “La schizofrenia non esiste, e se esistesse io vorrei averla”, Stampa Alternativa, Viterbo 2008. Prefazione dello psichiatra Enrico Baraldi, scrittore. Collana “Eretica”.
Gianfranco Franchi, marzo 2009.
Prima pubblicazione: Lankelot.