La plasmabilità artistica del cartone e il suo impiego nella scuola // La maldicente moglie del dottore di via Wilcza

La plasmabilità artistica del cartone e il suo impiego nella scuola // La maldicente moglie del dottore di via Wilcza Book Cover La plasmabilità artistica del cartone e il suo impiego nella scuola // La maldicente moglie del dottore di via Wilcza
Francesco Permunian, Bruno Schulz
Aragno
2018
9788884198815

Prima di entrare in questo libro bisogna osservarlo con cura: bisogna prendergli le misure, bisogna girarlo e rigirarlo, e soltanto alla fine aprirlo e fiutarlo. È un oggetto poco convenzionale, è qualcosa di nuovo.

La copertina e la quarta di copertina sono speculari: al centro la "scacchiera simmetrica-asimmetrica" di Maurizio Ceccato; in basso, il riferimento all'editore (Aragno) e alla collana ("Pietre d'angolo": demiurgo, Cortellessa): in alto, una volta si legge Bruno Schulz in nero e Francesco Permunian in rosso, una volta il contrario. Qual è la quarta? Nessuno (più) può stabilirlo.

Sul dorso – come da recente vezzo ceccatiano: penso, per intenderci, all'estetica della "Italo Svevo" romanizzata – il cognome dei due artisti: niente titolo dell'opera (delle opere). Sul dorso è scritto: "Permunian-Schulz" e "Aragno-Pietre d'angolo". A separare il nome dei due artisti, il logo Aragno, un centauro.

Apriamo il libro. Le bandelle sono differenti. Il direttore della collana, Cortellessa, introduce e avvia al "libro di Permunian" su Schulz: nell'altra, l'art director, Ceccato, racconta lo spirito e i significati della sua copertina. Le biobibliografie dei due artisti, sintetiche e secche, corrispondono correttamente ai rispettivi "lati" di pertinenza.

La collana si chiama "Pietre d'angolo": probabilmente a suggerire un rapporto singolare e determinante tra maestro e allievo: naturalmente a ribadire che senza un certo genere di intelligenza, e di tradizione, non può esistere discendenza, né evoluzione. Nemmeno letteratura, a ben guardare.

L'artista polacco Bruno Schulz è una delle pietre angolari della letteratura dell'artista veneto Francesco Permunian: questa l'essenza del disegno del demiurgo. Adesso entriamo nel libro; oppure, se preferite, nelle due anime del libro, o meglio ancora nei due libri coincidenti.

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Lato Schulz. Due parole: Bruno Schulz [Drohobycz, 1892 – Drohobycz, 1942], ebreo galiziano, cittadino austriaco di lingua polacca e cultura profondamente mitteleuropea, forse ovvio traduttore di Kafka, è oggi annoverato tra i più grandi artisti polacchi del Novecento. Venne assassinato da un ufficiale nazista per bieche ragioni. Ritrovare suoi vecchi manoscritti è una chimera.

Permunian introduce "La maldicente moglie del dottore di via Wilcza. Una pubblica corrispondenza": si tratta di uno scambio di lettere tra Gombrowicz e Schulz; venne pubblicato nel numero 7, 1936 della rivista mensile "Studio"; può essere considerato un simbolico "trittico epistolare".

Gombrowicz sentiva eccezionale vicinanza a Schulz: "Avevamo molto bisogno l'uno dell'altro" – scriverà nel suo "Diario 1961-66": "Entrambi ci aggiravamo per la letteratura polacca come uno svolazzo, un addobbo, una chimera, un grifone". Probabilmente Gombrowicz desiderava scuotere Schulz, spiega Permunian, pensando di dimostrare "che rimaneva grande anche in uno scontro con qualcuno incapace di comprenderne la grandezza": così inventò che, sul tram 18, aveva sentito una tizia che ben conoscevano dire che "Bruno Schulz o è un malato pervertito, o un simulatore; ma molto probabilmente solo un simulatore. Fa solo finta". Schulz non ci cascò – considerò quella provocazione "futile e frivola". Sentiva di non avere "quel nobile fuoco", "l'impetuosità cieca e folle" fertile di una reazione; e così non scese a certi livelli, rifiutò quella "tauromachia"; pensò piuttosto, non senza astuzia, che uno come lui, uno come Gombrowicz, con la sua "patologica sensibilità per le antinomie", poteva misurarsi con un simile drago. Con la pericolosità del peso del pettegolezzo: con la bassezza.

Gombrowicz pensava fosse fondamentale "misurarsi con la gente a qualunque livello e in qualunque circostanza possibile": pretendeva che il suo sodale scendesse a patti con la realtà: che smettesse di puntare al cielo, che rinunciasse infine al proprio "livello" – niente, Schultz guardava altrove: sfuggente, rifiutò il confronto e si eclissò; o piuttosto seppe distrarsi.

Fermiamoci qua. Adesso rovesciamo il libro e passiamo al lato Permunian: alla sua "fantasia di avvicinamento" al magistero di Schulz. Si chiama "La plasmabilità artistica del cartone e il suo impiego nella scuola. Una relazione su Bruno Schulz".

Nelle parole di Andrea Cortellessa: "Permunian, che ha fatto della spigolatura biografica – e diciamo pure del pettegolezzo – un'arte polimorfa e persecutoria, ha colto l'occasione per quella che, alla maniera di Zanzotto, definisce una fantasia di avvicinamento. In cui all'erudizione maliziosa (che gli fa rivisitare, per esempio, lo scambio epistolare di Schulz con Witold Gombrowicz) si mescola l'invenzione più falotica: la casella fuoriquadro della scacchiera, il germe inconfondibile di quella cosa che chiamiamo letteratura" [dalla bandella].

Siamo nel 1996. Il narratore è un vecchio allievo di Schulz – l'artista polacco insegnava, a suo tempo, disegno e applicazioni tecniche al ginnasio "Re Jadislao", negli anni Trenta, fino alla disgrazia oscena delle leggi razziali. Stiamo camminando non lontano dal luogo in cui venne assassinato Schulz. Quel suo allievo, ormai anziano, parla a un professore italiano. "Sembra che stia parlando delle ombre del suo passato", ammette. E promette di evocare altre ombre: "Ombre inquiete di poeti e alchimisti, di strani golem e wariaci assortiti che si agitano tuttora negli angoli delle piazze e delle taverne più malfamate [...], dando origine a quell'inconfondibile mormorio babelico che è tipico della Galizia". En passant, ricorda il formidabile saggio di Ripellino sulle "Botteghe color cannella" di Schulz – presentato a Leopoli parecchi anni prima. Ripellino, "una specie di nobile ircocervo siculo-boemo che si aggirava per le lande della Mitteleuropa d'antan": proprio a lui, diventato suo amico, tempo prima aveva promesso notizie su una famigerata "relazione sul cartone" di Schulz, datata 1932, forse di qualche interesse filologico: a lui aveva raccontato la nulla passione dell'artista per l'insegnamento, la totale dedizione alla letteratura, il mezzo schianto di nervi dovuto alla provocazione di Gombrowicz sulla rivista "Studio", l'astuta fuga dall'agone letterario. Fermiamoci qui.

Permunian [1951], scrittore, poeta e bibliotecario veneto, outsider – orgogliosamente estraneo a consulenze editoriali o appartenenze accademiche – è un artista limpido, dallo stile e dalla poetica ormai perfettamente riconoscibili; la sua cristallina dedizione alla scrittura, la sua austera consacrazione alla letteratura, non possono non ricordare la sofferta purezza della vocazione di Schulz. Forse il suo gusto per la provocazione e per l'estetizzazione dell'osceno è invece puro Gombrowicz. Questa "pietra angolare" Aragno è un tributo a un suo maestro, un omaggio pieno di sentimento, decisamente poco scolastico; è un'iniezione di chiassose e spesso imprevedibili reminiscenze letterarie, alla Permunian; è l'amara pietra poggiata sulla lapide di un martire del nazismo e della stupidità. In appendice, approfonditi "cenni bibliografici", raccolti da Permunian "a conferma dell'inverosimile verosimiglianza di quanto fin qui narrato" (altro forse verrà, forse l'esame di coscienza di un manichino).

Gianfranco Franchi, febbraio 2019.

Per approfondire: PERMUNIAN in Porto Franco / Caterini [Giornale] / Moca [Alfabeta2] / Cafarella [Cattedrale].

Prima di entrare in questo libro bisogna osservarlo con cura: bisogna prendergli le misure, bisogna girarlo e rigirarlo, e soltanto alla fine aprirlo e fiutarlo. È un oggetto poco convenzionale, è qualcosa di nuovo.