La peste

La peste Book Cover La peste
Albert Camus
Bompiani
2000
9788845247408

«“Ecco: lei è capace di morire per un’idea, è visibile a occhio nudo. Ebbene, io ne ho abbastanza delle persone che muoiono per un’idea. Non credo all’eroismo, so che è facile e ho imparato ch’era omicida. Quello che m’interessa è che si viva e che si muoia di quello che si ama”. Rieux aveva ascoltato il giornalista con attenzione. Senza cessare di guardarlo, gli disse piano: “L’uomo non è un’idea, Rambert”». (Albert Camus, “La peste”, capitolo II) 

La peste in una cittadina-paradigma, Orano. Narrata da un medico, Rieux, primo nemico del morbo ed emblema della dedizione alla difesa della vita, e descritta dalla sua prima apparizione fino alla scomparsa: non una sconfitta, ma una scomparsa, perché la peste “si addormenta”, si nasconde e si spegne; ma non muore.

La varia e contrastata umanità di Orano, falciata e decimata dall’orribile pestilenza, è protagonista del romanzo di Camus. Romanzo che rappresenta un primo, credibile superamento dell’iper-individualismo che contraddistingueva “Lo straniero”: è sì presente una figura carismatica e fascinosa di antieroe, il dottor Rieux, forse non casualmente calato nella veste di narratore; tuttavia Camus riesce nell’impresa di plasmare un’opera dalle tante voci, e dalle differenti anime. S’incontra il gesuita Paneloux, turbato dalla distruttività e dalla casualità delle morti fino a dubitare dei suoi dogmi, e s’incontra il giornalista straniero Rambert, che dapprima cerca di fuggire dalla cittadina, dove si trova fortuitamente, e infine decide di rimanervi perché intende quanto fondamentale sia la solidarietà e la pietà nei confronti dei propri simili.

S’incontra la figura tragica di Tarrou, che potremmo definire altrimenti del “borghese illuminato”: si ribella al sistema, si arruola volontario nei servizi sanitari per debellare l’epidemia, muore, infine, quando la peste è stata pressoché sconfitta. S’incontrano scene di disperazione e di autodistruzione, di miseria e di dolore, di speranza e di fiera resistenza alla peste; sullo sfondo d’una città trincerata in se stessa, e avvelenata dai sospetti e dalle angosce, e rivolta, nei momenti più tetri, soltanto alle illusioni e ai ricordi.

La lotta contro il male è il principale tema del romanzo: ma non è il solo. Il tema è la corrosione dell’umanità, e la sua commovente e stoica difesa; il tema è la solidarietà e l’empatia, e la possibilità d’una conversione di chiunque. Il tema è la lotta contro l’incubo più atroce, l’invincibile morte.

Ecco, fratelli miei, l’immensa consolazione che volevo recarvi, sì che non siano soltanto parole di castigo quelle che porterete via di qui, ma anche un verbo che acquieta”(Albert Camus, “La peste”, capitolo II).

Tuttavia, la conversione sembra poter condurre ad un epilogo negativo: questo avviene per Tarrou, Paneloux e Othon, che cadono vittime del morbo, e per Rambert, che accetta sì di rifiutare l’idea della diserzione e abbraccia la causa dell’umanità dolente, tuttavia si condanna a una vaga, irrimediabile infelicità.

Non so se Camus volesse con questo esito suggerire l’idea della totale gratuità della conversione, in fondo, o d’una sua fondamentale inutilità; mi piace pensare che possa essere una nuova incarnazione del topos dell’assurdo, che già efficacemente permeava “Lo straniero”. Nulla è in fondo davvero sensato; ogni cosa può accadere senza che sia riconoscibile un significato, o addirittura un “disegno” altro; vale la pena vivere per difendere e proteggere la vita di ogni essere umano, anche a discapito della propria. Non esistono ricompense, non esistono premi, non esistono davvero neppure riconoscimenti: l’uomo si spoglia della sua superbia e della sua tracotanza, dimentica l’egoismo e vive per l’alterità. Monumentale è la dedizione del dottor Roux ai suoi simili; ma andiamoci cauti nell’interpretare il romanzo come l’agiografia di un medico.

Roux è il testimone di quello che sembra essere per Camus l’unico e l’ultimo tipo di umanità possibile: quell’umanità consapevole della propria limitatezza e della propria caducità, lontana da maschere eroiche o prometeiche, tesa alla battaglia contro il male e contro la morte. And the death shall have no dominion? Solo idealmente. In realtà, ne “La peste” la morte colpisce con la solita spietatezza e la solita crudeltà; non conosce rimorso, né rimpianto, né riconosce grandezza o povertà. È, ed è inesorabile. Gli uomini non si arrendono. Cercano rimedi; si scontrano con la grande nemica, la sfidano.

Non tutti gli uomini accettano lo scontro. C’è chi preferisce nascondersi nell’ombra, c’è chi si sforza di dimenticare quel che sta avvenendo, chi si limita a specularci sopra. Chi vorrebbe solamente spegnersi, chi ruba e saccheggia e si abbandona alle violenze, chi soltanto piange e si lamenta. Ma esiste un esempio vivente, un uomo che fa della sua vita una testimonianza antieroica di coraggio e filantropia: Rieux, che rinuncia a restare al fianco della moglie malata per rimanere vicino ai cittadini di Orano; rinuncia alla sua felicità per consacrarsi alla difesa della vita.

La lingua di Camus è ancora una volta scabra e scarna; estremamente levigata, e tuttavia mai arida. Il ritmo della narrazione è lento e compassato, scandito da frequenti introspezioni e contraddistinto da una capacità descrittiva non comune. Non è fuori luogo accostare la peste di Lucrezio con la peste di Camus: l’artista francese d’Algeria affronta senza imbarazzo l’illustre antecedente, non esimendosi dal trattare con freddezza e linearità scene atroci e sanguinolente. L’apparizione della peste nel nostro Manzoni ha certamente altra valenza simbolica e altra posizione contestuale, e sarebbe ingeneroso accostarla al precedente lucreziano e al successivo capolavoro di Camus; potremmo forse limitarci a registrare una analogia nei pretesi intenti moralistici del Manzoni e di Camus, ma senza andare oltre.

Da un punto di vista strutturale, il libro è suddiviso in cinque capitoli, nessuno dei quali provvisto di titolo: come, del resto, avveniva per “Lo straniero”. Comune a entrambi i romanzi la scelta di un narratore-protagonista del romanzo; scelta probabilmente egoica, e del resto consueta nel Novecento; scelta che, tuttavia, come si scriveva poc’anzi, non impedisce a quest’opera di essere polifonica.

Lui, infatti, si esprimeva dal fondo di lunghe giornate di ruminazione e di sofferenze, e l’immagine che voleva comunicare si era scaldata a lungo al fuoco dell’attesa e della passione; l’altro, invece, immaginava un’emozione convenzionale, il dolore che si vende nei negozi, una malinconia in serie. Benevola od ostile, la risposta cadeva sempre nel falso, bisognava rinunciarvi” (Albert Camus, “La peste”, capitolo II).

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Albert Camus (Mondovi, Algeria, 1913- Villeneuve-la-Guyard, Francia, 1960), dottore in Filosofia, tragediografo, romanziere, saggista e giornalista francese d’Algeria. Premio Nobel per la Letteratura, 1957.

Albert Camus, “La peste”, Bompiani, Milano, 2000. Traduzione di Beniamino Dal Fabbro. Collana: Tascabili Bompiani, 244. L’edizione ospita una interessante cronologia.

Prima edizione: Albert Camus, “La peste”, Gallimard, Paris, 1947.

Gianfranco Franchi, aprile 2003.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Senza cessare di guardarlo, gli disse piano: “L’uomo non è un’idea, Rambert”