La forbice

La forbice Book Cover La forbice
Ernst Jünger
Guanda
1996
9788877465191

“La forbice è un esempio qualsiasi della potenza che riposa dentro agli oggetti o, si potrebbe anche dire, che è ad essi conferita. Essa agisce aprendosi e chiudendosi, prima ancora di tagliare. Dorme prima di incominciare a respirare e quindi ad agire. Tra 'attività' e 'azione' vi è la stessa differenza che tra taglio e cartamodello. Il gesto di Mosè, mentre Aronne gli sostiene la mano, è sacrale; la forbice di Atropo è mantica; quella di uno stemma simbolico è allegorica; quella di una sarta, di un giardiniere, di un borsaiolo, è pratica nel senso della quotidianità. È perfettamente corretto che, quando sentiamo il nome di questo oggetto, pensiamo in primo luogo alla sua funzione” (Jünger, “La forbice”, p. 78)

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Scrive Quirino Principe, nella postfazione dell'opera, che “La forbice”, opera di uno Jünger quasi centenario, ha l'aroma di un vecchio legno pregiato. Lo scrittore tedesco “è se stesso, e mai come oggi mostra un vittorioso talento nel liberarsi da se stesso”. Questo libro è composto da una sequenza di aforismi e di prose brevi, d'argomento tendenzialmente filosofico: sempre nella parole di Principe, questo è “non un sentiero che si perde in direzione di un orizzonte remoto, ma una spirale in cui tutto ritorna abbracciando uno spazio sempre più vasto e tendendo a chiudere in sé la totalità” (p. 194). Peccato che questa spirale non vada brillando di chiarezza e di raziocinio; la sua natura frammentaria è romantica e tutta letteraria, ma pregiudica la comprensione del testo.

Jünger passa dall'estetica alla metafisica (o “ultrafisica”, p. 83), dalla zoologia alla critica letteraria, dalla storia alla religione. L'esito è fascinoso, a discapito – va da sé – dell'accessibilità di questo quaderno di scritti e di prose di argomento vario. Per scriverne e per dare saggio adeguato di parte dei contenuti e della qualità della scrittura di EJ, mi limito a campionare qualche passo rilevante, spezzando la spirale descritta da Principe.

“Le religioni sono come opere d'arte più o meno riuscite. Nell'opera d'arte il tempo acquista spessore a un livello più alto, nonostante le appartenga una perfezione che avvertiamo al di fuori del tempo e che rimane irraggiungibile. È questa la ragione per cui la moda si consuma nel quotidiano, lo stile nei secoli (…). Vive nell'opera d'arte una fede, sopravvive a tutti i dogmi” (pp. 9-10). Scrive un artista dell'arte, sull'arte e sul senso della creazione meditando; e va mostrando dedizione e fede incrollabile nella sua natura atemporale. Perché dire che l'opera d'arte sia moderna, “è una dichiarazione cronometrica. Un anno dopo essa non sarà già più moderna” (p. 69). Nessuna opera d'arte è eterna: in essa, tuttavia, abita l'eterno. È questa la chiave.

“La forbice” è dominata dalla spiritualità. “L'America era effettivamente esistente. Diverso è il caso dell'esplorazione ultrafisica: di essa si diffida. Ciò che è invisibile in questo senso non ha bisogno di essere troppo lontano da noi: abita nelle nostre case. Si prova più disagio che piacere sentendo raccontare degli incontri con gli spiriti, il che non accade raramente” (p. 54). E questo, sembra suggerire Ernst, è un limite che va distrutto.

I veri lettori sono presi a esempio di spiritualità: “Il lettore vive solo parzialmente in questo mondo: l'altra parte di lui si trova in un altro, persino migliore. Ci sono uomini che hanno trascorso tutta la vita in questo stato, e non è raro che la morte, sorprendendoli, li abbia trovati con un libro in mano. È un bel modo per passare dall'altra parte (…). La poesia segna i contorni di territori che non si raggiungono in vita. Il destino di Amleto stende la sua minaccia su piani diversi” (p. 101).

Ma il ricercatore è dedito all'albero della conoscenza, il lettore a quello della vita: “l'uno vuole sapere, l'altro si dispone ad accogliere” (p. 104). Uno studioso non è semplicemente un lettore. A Ernst interessano i lettori; si direbbe che loro soltanto siano suoi simili.

Jünger, a un tratto, si lancia in magnifiche ed enigmatiche metafore della ricerca: “La strada che attraversa il labirinto non conduce a nuove verità, al massimo a nuovi simboli. Nella valle scura non splende il sole, ma a tratti riluce l'aurora. Anche gli dèi sono simboli” (p. 128). E su questo passo vi invito a sospendere la lettura, e a meditare. Aspettate ancora prima di continuare. Aspettate.

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La profezia è fondamentale. I profeti sono sacri. “Una previsione non è una profezia, dal momento che la si può confermare o respingere attraverso la misurazione. Si muove entro i limiti del calendario e del tempo misurabile, mentre il profeta non si regola secondo le date, ma le stabilisce egli stesso. E questo accade senza che egli lo voglia, o contro la sua volontà. Accade” (p. 16).

“I profeti hanno cambiato la storia del mondo in maniera più decisiva di quanto non abbiano fatto i più grandi condottieri e, in più, essi continuano ancora a far sentire il loro effetto” (p. 28). Perché? Perché “tutto accade come era stato previsto: certamente non a causa di una rigorosa necessità del destino, come supponeva lo stesso Schopenhauer, ma per la semplice ragione che tutto era già accaduto. Non si può cambiare nulla di ciò che è accaduto, al contrario si può mutare il futuro. Il compito del profeta dunque non è soltanto mantico, ma è allo stesso tempo pedagogico. L'oracolo rimane ambiguo” (p. 34).

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Severo il giudizio sulla condotta dei rivoluzionari nelle guerre civili. Perché “In una guerra civile le passioni sono implicate molto più profondamente che in una guerra tra popoli; essa si combatte infatti tra fratelli, è la più prossima al delitto di Caino. Quel delitto rimane incomparabile dal momento che, in termini filosofici, rappresenta un carattere intellegibile che si ripete nell'empiria. Che gli effetti di una guerra civile si ripercuotano in una dimensione più profonda è dimostrato anche dal fatto che in essa il soldato che si era distinto in battaglia, scompare. Viene sostituito dal rivoluzionario, che sospende i generali, si fa beffe di loro e, dove danno fastidio, li toglie di mezzo. Un chiaro segno della svolta è il primo sangue versato illegalmente” (p. 161). Come rovesciare dunque i regimi senza spargere sangue? Con la politica? Con le manifestazioni di pace? Oppure con la nuda adesione al proprio Stato, quale che sia il regime?

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Tra i molteplici omaggi e le numerose reminiscenze letterarie, segnalo almeno “Morte nella metropolitana” di Thomas Wolfe (“il terrore viene osservato come attraverso una lente (…). Il fatto che mi sia rimasto impresso così nitidamente nella memoria, dimostra la sua pregnanza” (p. 36), “Le miniere di Falun” di Hoffmann, “Dr. Jekyll e Mr. Hyde” di Stevenson; Baudelaire e Novalis, Bacone ed Heine, e poi Goethe, Hobbes, Swift, Tolstoj; Spengler e Ibsen, Kubin e il suo magnifico “L'altra parte”.

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Chi vuole trovare un senso a questi pensieri di EJ, a qualsiasi costo, può contare sulla postfazione di Quirino Principe. Personalmente, mi contento dei loro significati, e dell'impatto che essi hanno avuto su di me in questa giornata d'autunno.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Ernst Jünger (Heidelberg, 1895 - Wilflingen, 1998), scrittore e filosofo tedesco. Esordì pubblicando “Nelle tempeste d'acciaio” nel 1920. Studiò Filosofia e Scienze Naturali a Lipsia.

Ernst Jünger, “La forbice”, Guanda, Parma, 1996. Traduzione di Alessandra Iadicicco. Postfazione di Quirino Principe. Collana “Biblioteca della Fenice”.

Prima edizione: “Die Schere”, 1990.

Gianfranco Franchi, dicembre 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Scrive Quirino Principe, nella postfazione dell’opera, che “La forbice”, opera di uno Jünger quasi centenario, ha l’aroma di un vecchio legno pregiato…