Mondadori
2016
9788804667926
Non è solo letteratura: è pamphlet politico. Satira dello stalinismo, della degenerazione d’un’idea in un regime totalitario e assassino, dell’arte della propaganda. Neppure oggi s’incontrano artisti tanto onesti, lucidi e coraggiosi da criticare – pure da sponda marxista – con tanta rabbia e tanta intelligenza quel che il socialismo reale ha significato e implicato per diversi popoli: l’artista inglese George Orwell, tra 1943 e 1944, scriveva – osservando e interiorizzando con sensibilità e umanità quel che accadeva in Urss, e leggendo correttamente nel futuro – una disperante e drammatica metafora della realtà: che oggi costituisce un monumento alla libertà, un monito per le future generazioni, un documento al contempo storico, letterario e filosofico d’un’esperienza – quella rivoluzionaria – che, per la disperazione di chi aveva creduto nel vangelo marxista, s’è rivelata omicida e liberticida: nuova forma di tirannide, esecrabile e disumana.
Orwell aveva compreso che l’esito dell’esperienza sovietica si andava configurando in una lezione: tutti gli uomini sono uguali, ma alcuni uomini sono più uguali degli altri. In altre parole: una maggioranza assoluta viveva nella miseria, costretta a sopportare orari e condizioni di lavoro spesso non accettabili; una oligarchia dominava, controllava, dettava legge: assassinando ribelli e oppositori, concedendosi lussi e comodità ad altri eternamente sconosciute, manipolando l’informazione e propagandando menzogne. Orwell aveva capito quel che milioni di cittadini e di intellettuali occidentali non hanno voluto, o potuto capire, fino al crollo dell’Unione Sovietica: e che solamente negli ultimi anni sta divenendo patrimonio indiscutibile della coscienza e dello spirito d’ogni essere umano. È uno dei grandi padri della Letteratura del Novecento anche per questa ragione: questo libro dovrebbe essere oggetto di studio e di dibattito in ogni scuola. Fino a qualche anno fa non accadeva: chissà che, nei prossimi quindici anni, non possa iniziare ad educare le nuove generazioni europee a riconoscere e demistificare le strategie di comunicazione e di mantenimento del potere delle oligarchie d’ogni colore. E che possa servire, per chiarire quale sia il potere dei media e quale la loro capacità di mistificare, falsificare, alterare le verità, analizzare assieme al testo una antologia delle critiche, delle recensioni, degli articoli dedicati ad Orwell e a questo suo libro pubblicati tra 1945 e 2005. Sarebbe una splendida ricerca: spiegherebbe agli italiani di chi sono figli, e di chi saranno genitori. E aiuterebbe a comprendere che sono esistite delle strategie di controllo e selezione delle informazioni: non sempre appartenenti, o direttamente vincolate, al regime al potere.
Il romanzo è strutturato in dieci capitoli: il narratore, onnisciente, sviluppa la trama in terza persona. Da qualche parte, in Inghilterra, il signor Jones è proprietario d’una Fattoria Padronale. Gli animali della sua fattoria sono particolarmente evoluti: hanno coscienza di sé, e comunicano tra loro con un linguaggio universale. Proprio quando il padrone sta decadendo, vittima delle sue debolezze e della sua propensione agli alcolici, uno dei più rispettati maiali della Fattoria, il Vecchio Maggiore (immaginiamo: “Marx”) vuole rivelare a tutti gli animali quel che ha compreso vivendo e riflettendo tanto a lungo.
È un verro di dodici anni, corpulento ma maestoso; spira un’aria di saggezza e di benevolenza. Subito si radunano cani, piccioni, maiali, mucche, pecore, cavalli, capre, asini, anatroccoli, gatti: manca solo il corvo domestico, Mosè.
Il Vecchio Maggiore è il Prometeo degli animali della fattoria (immaginiamo: “lavoratori”). Spiega loro che la vita che vivono è faticosa, misera e breve: che è autentica schiavitù. Tuttavia, il suolo d’Inghilterra è fertile, e potrà nutrire molte più persone di quelle che già ci vivono; purché il prodotto del lavoro non sia più rubato dall’uomo (diremmo: “padrone”). L’uomo consuma senza produrre: è il signore d’ogni animale, paradossalmente, e impone lavoro pagando il minimo. Eliminare l’uomo (crediamo: “abolire la proprietà privata”) significherà conquistare ogni prodotto del lavoro. E poterne godere.
Il Vecchio Maggiore crede nella rivoluzione: visionario, giura che giustizia verrà fatta – pure, non sa quando. Ma esisterà una solidarietà perfetta tra gli animali: che – come ogni gruppo sociale – dovranno avere uno e un solo nemico: gli uomini (diremmo: “i padroni”).
Predica che nessuno emuli o imiti l’uomo: e che nessuno mai sia tiranno. Intona infine un canto, “Tornerà l’Età dell’Oro” – ad un tratto, infiammati dall’entusiasmo, omnes intonant. Tre notti dopo, il Vecchio Maggiore muore, lasciando incompiuta la sua rivoluzione.
Nei tre mesi successivi, intensa attività segreta nella fattoria: i maiali, le creature più intelligenti, si dedicano alla propaganda e all’organizzazione: tre di loro, Napoleon, Palla di Neve e Clarinetto, elaborano un sistema basato sulle teorie del Maggiore: “l’animalismo”. Cominciano ad evangelizzare le altre bestie: qualcuno, perplesso, difende il padrone e non vuole cambiare abitudini.
Intanto, Jones precipita sempre più nella dipendenza dagli alcolici: trascura tanto le bestie che si trova ad affrontare una ribellione. Gli animali, ottimamente organizzati, riescono a espellerlo dalla Fattoria. Jones fugge. Fuggono anche la moglie e Mosè, il corvo domestico che predicava la Vita Eterna e cantava l’esistenza d’un Paradiso degli Animali, per opporsi all’Animalismo dei tre maiali. Sciolti dal giogo dell’uomo, gli animali bruciano freni, anelli da naso, catene, coltelli, redini, paraocchi, fruste, nastrini: ogni segno di sottomissione o di distinzione deve essere distrutto.
Vediamo chi sono i protagonisti della rivoluzione.
Palla di Neve (parrebbe: Leon Trotsky) è eloquente, fantasioso, ma meno carismatico del leader della comunità, Napoleon. Palla di Neve forma comitati animali (eccellente il “comitato per la rieducazione dei compagni selvatici”), insegna a scrivere e leggere, prova a insegnare Letteratura. La sua attività è sfortunata, eccetto per l’alfabetizzazione; che, pur con diverse eccezioni (notevole quella dei cavalli, primi lavoratori della Fattoria), attecchisce.
Napoleon (ovviamente: Stalin) è un verro grasso, feroce e risoluto. Taciturno ed egocentrico, si mostra costantemente in disaccordo con Palla di Neve e pare ambire ad un controllo assoluto del potere nuovo. Non conosce strategia, ma tattica: addestra nove cuccioli di cane per farne la sua guardia. Con il contributo del suo esperto di comunicazione, Clarinetto, si rivela campione della menzogna e dell’alterazione della realtà.
Clarinetto (probabilmente: il nazista Goebbels. Altrimenti: “la propaganda”) è un oratore assolutamente eccellente: estremamente persuasivo, è il fautore dell’esistenza dei maiali come “lavoratori del pensiero”; è in grado di alterare il contenuto e il significato di qualunque informazione: un purissimo artista della parola, volto purtroppo alla conservazione del potere, e alla difesa delle menzogne del regime.
Minimus (in generale, il “poeta di regime”) è un maiale della nuova generazione, post-rivoluzionaria: scrive versi e inni per la gloria dell’Animalismo. Figura immancabile.
I cani, Lila, Jessie e Morsetto (parrebbe: “le forze dell’ordine”), saranno i primi guardiani del nuovo sistema: imparano a leggere bene, tuttavia si limitano a memorizzare i Sette Comandamenti dell’Animalismo (vedremo più avanti di cosa si tratti).
Appaiono tre cavalli: Gondrano, bestia fortissima e analfabeta, fedele ai maiali e stacanovista. Vivrà all’insegna del lavoro, e del rispetto a quello che diverrà il Capo dei Maiali: Napoleon. Fino ad esserne tradito, come vedremo.
Berta è una cavalla di mezza età, fedele ai maiali e rivale di Mollie, giovane e bella ex cavalla del calesse di Jones, viziata e narcisista, nostalgica del vecchio sistema fino a tradire i rivoluzionari e a consegnarsi a un’altra fattoria, in cambio di qualche zolletta di zucchero e di qualche nastrino.
C’è un gatto astuto e accorto (“il qualunquista”), che non collabora in nessun modo a nessun regime, un asino cinico e distaccato da tutti, Benjamin (ossia: “l’individualista” o semplicemente “il nichilista”), che vede il male nell’esistenza in sé e si disinteressa d’ogni padrone, e d’ogni rivoluzione, servendo il padrone di turno con lo stesso disprezzo.
Torniamo, adesso, alla trama. Dopo la cacciata del Padrone, Napoleon dà doppia razione di grano agli animali: e due biscotti ciascuno ai cani (p. 52), cominciando a ingraziarsi i tutori della legge che creerà. Assieme a Palla di Neve, per una volta d’accordo, mutano l’insegna della Fattoria: da Fattoria Padronale a Fattoria degli Animali. Finalmente stipulano i sette comandamenti dell’Animalismo (p. 56), prima di dar vita al nuovo sistema lavorativo.
Ogni comandamento verrà, col passare del tempo, violato dai maiali che andranno, progressivamente, sostituendosi agli uomini; fino ad ergersi su due zampe, come noi, cancellando l’antica differenza.
Nei comandamenti, si imponeva di considerare ogni uomo nemico; ogni creatura alata, o a quattro zampe, amica; si impediva d’indossare abiti, di dormire in un letto, di bere alcolici; s’impediva l’uccisione d’un altro animale; si affermava che ogni animale era eguale a un altro. Tutto destinato ad essere abiurato.
Il lavoro si sviluppa con questo equilibrio: maiali a dirigere e sorvegliare, per via della loro cultura superiore; gli altri animali, a sudare nei campi. Con entusiasmo, pensando che si va incarnando un tempo nuovo, e si vive un Paradiso in terra; d’eguaglianza, e fratellanza. Splendide le prime raccolte: nessuno ruba più nulla, si lavora con altro spirito. Ognuno lavora secondo le proprie capacità: i maiali espongono sempre nuovi progetti.
Palla di neve sogna di ridurre ulteriormente le ore di lavoro. Napoleon non concorda. Frattanto, i padroni delle fattorie adiacenti, perplessi, prima semplicemente diffamano la Fattoria degli Animali presso le proprie bestie, quindi asseriscono che stiano morendo di fame, infine che pratichino il cannibalismo e il libero amore (p. 73): la propaganda sembra avere buon esito, nessun’altra Fattoria si converte all’Animalismo. Tentano una sortita: nella battaglia, i Padroni vengono sconfitti dall’esercito della Fattoria degli Animali; il cavallo Gondrano piange, perché non vuole uccidere nessuno; i maiali non hanno scrupoli.
A seguito della battaglia, vengono istituite delle medaglie, delle feste, varie onorificenze. Primi segni di distinzione, e di retorica, nel mondo degli uguali.
Le decisioni, nella Fattoria, pur ratificate da una maggioranza (p. 83), sono sempre e solo parto dei maiali: che pure, come s’accennava, non sono uniti. Palla di Neve sogna moderne tecniche di lavoro, e migliori condizioni per i lavoratori; vorrebbe predicare il verbo della rivoluzione tramite i piccioni. Napoleon, guerrafondaio e geloso del carisma dell’altro verro, s’oppone; fin quando, accortosi che sta per prevalere, lo fa aggredire dai suoi cani. Palla di Neve fuggirà, sparendo per sempre: diverrà lo spettro del “traditore” della rivoluzione, da tingere delle peggiori responsabilità e da agitare contro gli altri animali. Il suo eroismo nella battaglia verrà prima negato, poi invertito: nulla sarà impossibile alla macchina di propaganda “rivoluzionaria” di Clarinetto, prima arma di Napoleon. Ormai, questi è divenuto “Capo” degli “Uguali”.
Le utopie di Palla di Neve vengono presto accantonate: si lavora 60 ore alla settimana, presto si trovano accordi non “commerciali” ma “necessari” con il vicinato, e la classe dirigente finisce a vivere nella casa degli ex Padroni; dormendo nei loro letti, ripetendo i loro vizi e i loro errori. Clarinetto, intanto, ripete che “servire è una gioia” e canta lo splendore della “dignità del lavoro” (p. 114); chi si ribella, o dissente, o non concorda, viene massacrato sul posto; giustiziato, e condannato all’oblio. E accusato d’essere filo-Palla di Neve.
Da Fattoria a Repubblica, il passo sarà breve: Napoleone presidente (p. 161), mentre il corvo Mosè torna a gracchiare del Paradiso degli animali, post-mortem. Gondrano, ferito, finisce macellato; ogni promessa è stata tradita, ogni legge violata, ogni rivoluzione abiurata. Vittima: il popolo. Esecutore: il comunismo.
La tragica lezione di George Orwell si può sintetizzare così: la letteratura, libera d’essere “fantasiosa” e “immaginifica”, può raccontare il vero tingendolo di finzione, e di “metafora”; questa “verità” può essere rifiutata per ragioni ideologiche, opportunistiche, o – in generale – politiche. Tragica Cassandra, nel 1945 lo scrittore inglese spiegava al mondo cosa significava essere cittadini d’un regime comunista e quanto barbara, autoritaria ed esecrabile fosse la gestione del potere: qualcuno non voleva ascoltare, e non voleva che nessuno ascoltasse. Qualcuno non voleva nemmeno leggerlo, e non voleva che nemmeno voi leggeste. Oppure – che è peggio – minimizzava. Adesso questi insegnano nelle Università, o scrivono nei giornali, o siedono in Parlamento; e si dichiarano sconvolti dagli omicidi stalinisti: ma tutti sapevano, tutti sapevano e nessuno voleva ammettere, o parlarne. Le ragioni di questa omertà le decida la coscienza di ciascuno. Io ho le idee chiare, in proposito: e non potrò accettarle mai, queste ragioni. Comprenderle, sì: ma è differente.
Io dico solo che da questi padri non ho nulla da imparare: non interiorizzerò la lezione dell’omertà, e dell’adesione al dogma assassino in nome dell’utopia. Chi ha difeso gli assassini è anch’egli assassino: ne risponderà alla sua coscienza, e alla storia. Concludo inchinandomi al coraggio, all’onestà e all’intelligenza di George Orwell: monumento, esempio, simbolo d’una minoranza di intellettuali riottosi alla barbarie, e alla corruzione. Dell’ideale.
Piace ricordare, pur non condividendo le sue idee, che Orwell era indubbiamente socialista. Da qui, la sinistra dovrebbe ripartire: dalla lezione non d’un eretico, ma d’un uomo d’ideale, di coscienza, di valore. Che gridava la verità ai ciechi, ai sordi, ai muti: per interesse, o per “fede”.
Lezione da non dimenticare: regalo d’un grande artista alle prossime generazioni.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.
Eric Arthur Blair, alias George Orwell (Motihari, India, 1903 – Londra, 1950), giornalista e scrittore inglese, di sangue scozzese.
George Orwell, “La fattoria degli animali”, Mondadori, Milano 1947. Traduzione di Bruno Tasso. Prefazione di Giorgio Monicelli.
Prima edizione: “Animal Farm”, 1945. Il libro è stato composto tra novembre 1943 e febbraio 1944.
Gianfranco Franchi, ottobre 2004.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Altro libro fondamentale di Orwell.