Cavallo di Ferro
2010
9788879070751
“Lo sa cosa facevo da giovane? Ballavo la chamarrita. Glielo mostrerei volentieri com'è che si fa, ma ormai ho dei gran dolori alle ossa della schiena, e quella è una danza tutta d'avvitamento. Le posso far vedere il movimento delle braccia che è così e poi così, ma in questo modo lei non può farsene nemmeno un'idea. Non è mica una danza facile, sa? Bisogna studiarla perché si compone di molti quadri e ci vuole la voce potente di uno del gruppo che guidi le chiusure e le aperture del cerchio. Generalmente è la voce di un uomo […]. Si fermò a guardarmi e poi scoppiò in una risata che la rese di una bellezza rara, seducente e lucida come quella dei serpenti” (Petri, “La donna delle Azzorre”, p. 65).
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Con buona pace di quanti diano per acquisito che l'unico letterato italiano capace di raccontare microcosmi lusitani con autentico slancio empatico e perfetta adesione sia Tabucchi, la narratrice capitolina Romana Petri ha pubblicato, qualche anno fa, “La donna delle Azzorre”, già premio Grinzane Cavour 2002, tradotto in Inghilterra, Stati Uniti, Olanda e Portogallo con buon successo; l'opera torna oggi a disposizione dei lettori nella nuova edizione Cavallo di Ferro, rivista dall'autrice. Si tratta di un dolce, intenso, elegiaco e umanissimo romanzo corale, ambientato nell'isola di Pico; l'io narrante, un'italiana partita in cerca di rigenerazione e quiete nuova, e di un contatto mozzafiato col mare, man mano si mostra capace d'aderire con una naturalezza totalizzante all'umanità e alle culture che popolano l'isola, come ogni estate. E così ci ritroviamo a camminare per un luogo in cui “antico significa non moderno, una cosa che esiste da tanto tempo e che nessuno ha mai pensato di dover rinnovare”; e questo era il significato originale della parola, chiosa l'autrice, quello che abbiamo sostituito con la parola “vecchio” (p. 18), perdendoci qualcosa. E ci ritroviamo a guardare un cielo speciale, quello delle Azzorre. Questo, così spirituale: “Quando ci salutammo il sole era sceso tutto dentro il mare, e il cielo si era preso i bei colori violenti delle Azzorre, quelli che rendono l'anima molto euforica per chissà quale futuro sconosciuto, e insieme piena di rimpianti per i molti atti mancati della nostra vita, e che nemmeno ricordiamo” (p. 46).
E scopriamo, ad esempio, che da quelle parti il pianoterra delle case è un unico, grande ambiente da lavoro, capace di diventare cucina nei mesi estivi soltanto perché è il posto più fresco: “Viene usato come lavatoio, vi si stendono i panni quando piove, è il luogo dove si conservano grandi cipolle e piccole patate tutte uguali, le damigiane del vinho de cheiro e quelle di angelica, un liquore molto speciale, una strana mistura di aguardente e vino, che tutti hanno l'abitudine di prepararsi in casa e di offrire a qualsiasi ora. Se qualcuno dicesse a questa gente che è un gran spreco di spazio ne sorriderebbero certamente, rispondendo stupiti che è la casa” (p. 23).
Grazie a frammenti come questi, Romana Petri riesce a farci ambientare nella narrazione, insegnandoci a osservare e guardare tutte le piccole cose che danno vita, forma e senso alla quotidianità; e ci insegna a interiorizzare con sensibilità e femminilità, tutte quelle differenze, rispetto alla nostra cultura, utili per orientarci nelle dinamiche psichiche, sociali e culturali d'un'altra terra. E intanto ci va emozionando con ritratti dei personaggi incontrati che sanno essere romantici, incantevoli e credibili a un tempo; mai leziosi, sempre vitali, cristallini.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Romana Petri (Roma, 1955), editrice, scrittrice, traduttrice e critica letteraria. Vive tra Roma e Lisbona. Collabora col “Messaggero” e “La Stampa”.
Romana Petri, “La donna delle Azzorre”, Cavallo di Ferro, Roma 2010. Nuova edizione rivista.
Prima edizione: Piemme, 2001.
Gianfranco Franchi, giugno 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.