La dimora dei Branderson

La dimora dei Branderson Book Cover La dimora dei Branderson
Raymond Rudorff
Sonzogno
1975

“Esistono case nelle quali può essere pericoloso, per il proprio equilibrio mentale e per quella che chiamiamo anima, mettere piede sia pur soltanto per il più breve intervallo di tempo (…). Sono entrato in queste case dopo che chi le abitava era stato scacciato dal terrore e dalla disperazione” (p. 7)”. Ed entrando in quelle case maledette, ho avuto conferma dell'esistenza del male, scoprendo che finiva per infestare tutti quelli che ci vivevano. E ho rischiato di restarne infetto io stesso. Questa sembra essere la morale della favola del secondo, gotico divertissement del misterioso Raymond Rudorff (cfr. “Gli archivi di Dracula”). “La dimora dei Branderson” (Sonzogno, 1975; UK “The House of the Brandersons”, 1973) è una decisamente introvabile “novel of possession”: un romanzo di possessioni diaboliche. Gioverà al lettore del 2010 tenere ben presente che soltanto due anni prima era stato pubblicato “The Exorcist” di William Peter Blatty, e che in quel favoloso anno 1973 chi usciva dalle sale scioccato dalla visione del film di Friedkin poteva tornare a casa a battere i denti per un po' leggendo questa allegra (si fa per dire) variazione sul tema. Negli anni Settanta, a quanto pare, qualcuno congetturava che il male potesse subdolamente infiltrarsi nella psiche di persone oneste e innocenti; e che fosse così prepotente e infido da non avere pietà né dei bambini, né delle famiglie borghesi. Chissà a cosa alludevano, questi artisti impauriti (e smaniosi di metterci paura): all'angoscia di perdere l'identità? All'ansia di non poter più riconoscere, all'improvviso, i propri cari? A qualche ideologia straniante e sinistra, capace di sconvolgere la psiche di chiunque? Oppure, semplicemente, al desiderio di non dimenticare che esiste anche quel che non si vede, e che egualmente può influenzarci? Sia come sia: entrambi i romanzi, in IT, erano stati dimenticati già pochi anni dopo le prime edizioni. Fazi ha recentemente (2009) ripubblicato Blatty. Questo libro di Rudorff, ci metto le mani sul fuoco, è nell'aria: aleggia, a breve ripiomberà sui vostri scaffali. Gargoyle è la meta più sensata e plausibile; magari rinfrescando la vecchia traduzione di Bruno Oddera.

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La dimora dei Branderson sembra una casa normale, silenziosa e disabitata; ha il suo piccolo giardino, si trova nell'elegante quartiere di Kensington. È stata la casa di un banchiere inglese e di sua moglie, toscana; per lei suo marito aveva arredato e decorato all'italiana la villetta, sperando di mitigare la sua nostalgia. Invano, perché poi avevano deciso comunque di ripartire per l'Italia, vendendo casa ai Branderson. Era il 1886. I nuovi proprietari, Justin e consorte, avevano due figlie, Jane, violinista, e Rachel, studentessa placida e solare, e due figli, Simon, giovane tenente, e Terence, nove anni, introverso e molto intelligente. Siamo dalle parti della famigliola del Mulino Bianco. Ma qualcosa non è andato per il verso giusto: e forse non è proprio colpa dei pan di stelle.

Il narratore (indagatore) del romanzo s'accorge, esplorando la casa dopo i tragici fatti accaduti, che la stanza dei giochi del maschietto ha qualcosa che non va. Percepisce qualcosa di sinistro, di ripugnante; capisce che da qualche parte, in quella cameretta, si nasconde il male. Scopre un angoletto, vicino all'armadio a muro, che contiene un disegno. Sono degli impiccati, rappresentati con “sconvolgente familiarità”. Eccezionalmente realistici, quasi come fossero stati rappresentati dal vero; e da un artista capace di scolpire il mare in poche pennellate. Vorrebbe bruciare quel disegno ma non riesce. Passa la notte senza ricordare cosa sia successo. Senza ricordare d'avere acceso il fuoco, nel camino. È soltanto qualche settimana più tardi che lentamente ricostruisce l'accaduto. Qualche anno di studi più tardi, scrive questo resoconto. Completo – in pieno stile Rudorff – di lettere, di resoconti e di documenti di vario genere.

La famiglia Branderson era tornata in Inghilterra dopo una fortunata esperienza indiana. Il capofamiglia, Justin, sembrava rigenerato, sia nell'estetica che nell'approccio esistenziale. E tuttavia, poco a poco, il vecchio Justin comincia a dare segni di stranezze: sia con i famigliari sia sul posto di lavoro. Quando le stranezze diventano eccessive (si materializza in stanza da letto mentre doveva trovarsi a Manchester; parla con una voce che non gli appartiene; sembra mostruosamente cupo, e spiritato) la signora capisce che c'è qualcosa che non va e che forse stavolta non si tratta di un problema di digestione, o della sconfitta dell'Arsenal, o di un affare andato male. Come se non bastasse, il figlioletto Terence disegna uno strano uomo malvagio che non è il solo a vedere in giro – diciamo così.

Non posso bruciarvi la trama, ma qualche indizio su quel che accadrà voglio darvelo: “Provavo la sensazione inquietante che gli occhi sui quali tenevo fisso lo sguardo non fossero più quelli di mio marito, ma appartenessero a qualun altro. Il mio stupore era tale da far sì che, per qualche momento, non riuscissi a respingere un'idea spaventosa: Justin era realmente morto per qualche secondo, e poi aveva fatto ritorno da oltre la soglia della morte. Quasi divinando i miei pensieri, mio marito ha detto in quel momento, con la massima gravità: 'Sì, mia cara, sono tornato dal regno dei morti'” (p. 75). Tornato, ma non proprio inalterato. Signora Branderson, presumo che stiano per cominciare grossi guai. Sento puzza di zolfo.

“I cristiani parlano del demonio o di satana, eppure quanto è limitata la loro concezione del male del quale egli è un mero simbolo o l'impersonificazione convenzionale! Al di là del mondo visibile, si trovano forze devastatrici in universi e in dimensioni ignote. Ciononostante, con l'aiuto di Dio, abbiamo sostenuto il loro assalto nel corso delle epoche, poiché altrimenti l'umanità sarebbe una razza di schiavi senz'anima, senza intelligenza e libero arbitrio. Non possederemmo quella scintilla immortale che ci sprona ad aspirare a sfere più elevate di esistenza (…). Finché conserveremo l'anima e la fede nell'invincibilità del bene, non potrà esservi alcun secondo avvento delle legioni delle tenebre. Ma, per il tramite di persone come i Branderson, che sono divenute i loro schiavi, esse stanno nuovamente tentando di far presa sul genere umano e di stabilire il loro dominio sul mondo. Siamo in guerra” (p. 168). E allora combattiamo.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

RAYMOND RUDORFF (1933-1992), storico, giornalista e scrittore inglese, traduttore dall'italiano e dal francese. È vissuto per lungo tempo in Francia, e per qualche tempo a Roma.

Ha pubblicato, in narrativa: “The Dracula Archives” (1971. IT: “Gli archivi di Dracula”, Gargoyle 2010), “The house of the Brandersons: a novel of possession” (1973. IT: “La dimora dei Branderson”, Sonzogno, 1975), “The Venice Plot” (1976. IT: “Complotto a Venezia”, Sonzogno, 1977).

In saggistica: “Art treasures of the world” con Eleanor Munro (1964); “Studies in ferocity: a book of human monsters” (1969); “The Paris Spy” (1969. IT: “Guida ai piaceri di Parigi”, Sugar, 1970); “The Myth of France” (1970); “The Belle Epoque. Paris in the Nineties” (1972); “The Knights and their world” (London, 1974); “War to the death: the sieges of Saragossa, 1808-1809” (1974). Ha tradotto in inglese “Il vampiro” di Ornella Volta nel 1965.

Raymond Rudorff, “La dimora dei Branderson”, Sonzogno, Milano 1975. Traduzione di Bruno Oddera. Collana “Narrativa Sonzogno”.

Gianfranco Franchi, gennaio 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.

A Paolo.