La controfigura

La controfigura Book Cover La controfigura
Libero Bigiaretti
Bompiani
1968

Era il 1968. L’anarcoide Bigiaretti, scrittore autodidatta, pubblicava per Bompiani il romanzetto “La controfigura”, storia d’un’ossessionante e morbosetta passione clandestina. “E contro gli andazzi correnti, contro l’attualità, contro la fresca e sporca spuma del nostro tempo, lo scrittore ha voluto riaffermare la forza, il fascino e la vitalità del ‘mistero’…ma se c’è un mistero dentro 'La Controfigura' esso resta racchiuso nella stizzosa, contraddittoria persona del protagonista narrante. Sembra, costui, un uomo che abbia finito di illudersi, ma che voglia soltanto spiegarci, alla fine, di essere la sciocca vittima di una ancora più sciocca ingiustizia”, commentava allora Cesare Garboli. Qual è questa sciocca ingiustizia? È una farsa piccolo borghese, figlia del mai sufficientemente deprecato gioco di ruolo della società contemporanea: l’impossibilità di vivere alla luce del sole l’amore per la madre della sua giovane moglie. La contraddittorietà delle convenzioni sociali del nostro tempo, non si può non ammetterlo, è forse la prima fonte dell’irriducibilità e della resistenza di questi fuochi; che potrebbero rivelarsi fatui, o terminare morbidi e lenti la loro esistenza sul ciglio della prima sigaretta post coitum; ma che vanno all’opposto alimentandosi proprio per quella loro illegittimità, per quella “inaccettabilità” che li colora d’un desiderio sempre – e miracolosamente, per così dire – inestinguibile.

Non è per nascondersi dietro al cerino d’una spicciola osservazione partecipante, o per trasfigurare una lettura col filtro dell’esperienza autobiografica, se mi avventuro in una interpretazione così elementare e grezza; è il buonsenso, figlio dell’interiorizzazione di vicende esistenziali sempre analoghe, ripetizioni di ripetizioni d’uno stesso modello, a convincermi che altro male non esista – e altro vagheggiamento del male – che quando una maggioranza relativa afferma che un atto sia “male”, e va sanzionandolo; poco importa se questa sanzione sia consacrata da una legge o – più comunemente – folgorata da anatemi e inibizioni para-tribali. Sta di fatto che il neonato tabù assume, in prospettiva borghese, un fascino luciferino e irresistibile. Cosa emoziona e titilla più del proibito? È una dinamica che da bambini conoscevamo bene – quando molto poteva essere concesso, perché tutto veniva perdonato. Ah. Non è cambiato poi molto: abbiamo solo sostituito l’autorità dei genitori con una congrega di autorità genitoriali: la società. Averne bisogno è stupido, ma comprensibile.

La controfigura” è strutturato in quattro parti: le prime tre sono ambientate durante un’estate, in un posto di mare tranquillo e semicivilizzato che ospita la coppia protagonista del romanzo: il narratore – anonimo – e la sua dolce metà, Lucia. L’ultima vede, sullo sfondo, la Roma di fine agosto, deserta e volta alle belle spiagge del Tirreno. I due sposi sono “nudisti, naturisti e salutisti” (p. 31): non guasterà ribadire, per l’ultima volta, l’anno di pubblicazione del romanzo – 1968. In quel tempo, probabilmente, l’insistenza su queste scelte esistenziali poteva stabilire l’origine d’un’irritazione vagamente bigotta o conservatrice in una fascia più ampia di lettori: valga, questa annotazione, come annuncio della presenza nel testo d’una serie di agre e pruriginose descrizioni di nudità, o di inviti alla nudità, o di contemplazioni della nudità.

La coppia ha deciso, dopo tre anni di vacanze organizzate in gruppo, di partire in splendido isolamento: parte per la crescente misantropia di lui, parte per ambizione d’originalità e distinzione, parte per le recenti difficoltà di coesistenza in contesto amicale del narratore. È un trentunenne, “semifreddo”, sposato quasi quattro anni prima con l’allora diciottenne Lucia. Ha qualcosa da nascondere. La metà del libro serve a preparare il lettore al clamoroso (e “sordido”, sperava forse l’autore risultasse al pubblico) colpo di scena: Nora, descritta come la donna che nell’ombra amava e sognava possedendo Lucia, è la suocera. “Meglio dirlo subito: Nora non è la mia amante, non è niente, però esiste. È una presenza, ora diretta, ora per interposta persona, o interposta evocazione. Quando si fa viva nella mia mente, all’improvviso, succedono guai, cose da pazzi, litigi e abbracci. Si affaccia, si avanza e si mette in posa: morbida, palpitante, lo sguardo velato e un tantino fuori moda. A volte la sua immagine nasce da quella di Lucia; è la sua controfigura, nel senso che interpreta parti che Lucia non sa fare. È più grande di Lucia, più donna, più tutto” (I, p. 18). Tutto qui: il narratore vive nevroticamente questa sua passione, adorando l’idolo in un suo riflesso distorto, e non sa risolvere altrimenti che con un rapporto fugace e violento (III) e con un epilogo che promette molto di buono, non certo una sconfitta (IV), il suo insaziabile desiderio.

Nel romanzo, se vogliamo, c’è una seconda e assai più interessante “controfigura”. Non è la madre di Lucia, ma il personaggio che inaugura il romanzo tanto da illuderci d’esserne protagonista. È uno stravagante e solitario turista, che la coppietta gioca a ribattezzare con una serie di nomignoli: sembra un beatnik, vagabondo dall’incolta barbaccia e dall’aspetto trasandato; ha circa trenta anni e cattura senza difficoltà lo sguardo e i pensieri di entrambi. A Lucia ricorda la misantropia del suo compagno: il narratore lo descrive come un alter ego perfezionato: altissimo (uno e novanta contro uno e settantacinque), gentile, educato e più giovane; emarginato volontariamente, e pronto tuttavia all’interazione e alla conquista. Con stile. Non la conquista che il lettore poteva attendersi – quella della giovane e seducente Lucia – ma quella che il narratore desiderava – ossia quella della matura neo-potnia Nora. Una lettura critica psicanalitica di questo romanzo potrà evidenziarne, senza difficoltà, aspetti piuttosto interessanti.

Cosa rimane al lettore contemporaneo? La sensazione d’aver incontrato un libretto estivo e piccolo borghese, vivo d’una scrittura caratterizzata da un periodare a volte straziato da un asmatico respiro, in una lingua a volte curiosamente letteraria e altrimenti e altrove bassamente giornalistica. Interessante campione della narrativa minore italiana della seconda metà del Novecento, adorabile solo in questo frangente – che chiuderà la mia breve e certo irrispettosa trattazione: “L’unica cosa insensata che riconosco in questa faccenda è la sproporzione tra causa e effetto. Uno ha il vizio di fumare se fuma, io ho il vizio di te senza averti mai avuto”.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Libero Bigiaretti (Matelica, Macerata 1908 – Roma, 1993), poeta, scrittore e critico letterario italiano. Fondamentalmente autodidatta, esordì pubblicando le raccolte di versi “Ore e stagioni” (1936) e “Care ombre” (1939) e il romanzo “Esterina” nel 1942. Fondò il Sindacato Nazionale Scrittori, con Alvaro e Jovine, nel 1946. Tradusse opere di Flaubert, Maupassant, Becque, Gide e Giraudoux.

Libero Bigiaretti, “La controfigura”, Mondadori, Milano 1973. Introduzione di Luigi Baldacci.

Prima edizione: Bompiani, Milano 1968.

Adattamento cinematografico: “La controfigura”, di Romolo Guerrieri. Con Lucia Bosè, Ewa Aulin, Jean Sorel, Marilù Tolo.

Gianfranco Franchi, marzo 2005.

Prima pubblicazione: Lankelot.