Marsilio
2010
9788831705745
Che succede quando un poeta e un narratore come Andrea Di Consoli, artista lucano classe 1976, decide di sperimentare la nuova strada del giornalismo d'inchiesta? Succedono fondamentalmente due cose. La prima, è che i suoi lettori e i suoi ammiratori rimangono disorientati e spiazzati: come, si chiedono, un'integralista dell'arte letteraria, uno scrittore puro si concede al reportage su un fatto di cronaca nera di quasi venticinque anni fa? Man mano, sfogliando il libro, capiscono qualcosa. Capiscono che l'argomento trattato ha a che fare con la sua poetica, con l'essenza e i contrasti del suo territorio, con la sua fame antica di verità e giustizia. E allora si adeguano prima, s'appassionano poi, rimangono a bocca aperta alla fine dell'esperienza estetica. La seconda, è che – probabile – tutta una serie di nuovi lettori, diciamo gli appassionati di cronaca nera, di delitti irrisolti o morti misteriose, di gialli all'italiana prendono e scoprono un nome nuovo, quello d'uno scrittore di lusso, uno dei pochi letterati italiani di grande livello della nuova generazione, e ne rimangono sedotti. Escludo che possano restare delusi da un libro come questo, immagino semplicemente, o forse semplicemente spero, che proprio a partire da “La commorienza” possano prendere e andare in cerca di quanto Di Consoli ha animato e plasmato da artista puro, da narratore e da poeta, nel corso degli anni.
Chi scrive fa parte della prima schiera, quella degli aficionado della scrittura di Andrea Di Consoli, quella di chi non ha mai dimenticato l'emozione potente dell'incontro con i versi della “Navigazione del Po”, per capirci; e m'aspettavo, per ragioni che qui non posso raccontare, che il nuovo libro di Andrea fosse un altro. Sapevo già qual era l'argomento ed ero pronto a scrivere, alla cieca, un articolo di venti pagine su questo nuovo libro. Invece sono rimasto completamente spiazzato da questa pubblicazione. È un bene o un male, domanderete voi? È un bene, perché il disorientamento, la stupefazione e la meraviglia sono sempre sentimenti fertili e creativi – innescano tutta una serie di dinamiche e di processi nel pensiero che “muovono” qualcosa di sconosciuto, e chissà dove vanno a finire. È un male, perché un fan – un appassionato – ha bisogno di conferme, di sicurezze, di punti fermi inalienabili. E così un critico. Sin qua l'integralismo estetico di Andrea Di Consoli era uno dei miei punti fermi indiscutibili e incontrovertibili. Adesso deve ricostruirmi il personaggio, devo adattarlo a nuove categorie di giudizio, devo lasciare uno spazio molto più grande del previsto al fattore “imprevedibilità”, quello che impone la sospensione del giudizio sui diversi binari scelti da ogni artista per l'espressione della sua intelligenza, della sua umanità, della sua arte. Mi piace o non mi piace, questa novità? Non l'ho ancora capito, e forse non voglio capirlo – non adesso, che mi sembra che il percorso sia appena cominciato. Devo essere obbiettivo, e forse non voglio.
Entriamo nella “Commorienza” (Marsilio, 2010), allora. Entriamo in questo libro in punta di piedi, per due ragioni diverse. La prima è perché chi scrive questo articolo non ha nessuna fascinazione e nessun interesse per la cronaca nera, e anzi soffre storicamente la fortuna di trasmissioni un po' morbose come “Chi l'ha visto”, per capirci, e peggio ancora la fortuna della narrativa di genere fondata sulle indagini sui delitti. La seconda è perché chi ha scritto questo libro ha scelto di parlare di una vicenda del 1988, quella della misteriosa morte dei fidanzatini di Policoro, per parlare di altri aspetti della sua terra, e del suo popolo, che magari sin qua non erano emersi né nella sua narrativa né nella sua poesia. E l'ha fatto scarnificandosi e soffrendo molto lui stesso, in prima persona, spendendosi con la solita, ciclopica generosità nelle indagini su una morte a suo tempo trattata come semplice e tragico incidente domestico, mentre a quanto pare potrebbe essere qualcosa di molto diverso.
I fatti. La notte del 23 marzo 1988 vengono trovati morti due ventenni lucani, Luca Orioli e Marirosa Andreotta, nella poco nota cittadina di Policoro, dalle parti di Matera. Sono due bravi ragazzi, religiosi e beneducati, che si frequentano da qualche tempo; vivono una relazione a distanza, causa studi universitari (chi a Milano, chi a Napoli) e si ritrovano una tantum in paese. Vengono trovati morti, nudi, in bagno: lei in vasca, lui in terra. Nonostante lei abbia una ferita in testa e stia sanguinando, e nonostante lui abbia i testicoli tumefatti e abnormi, e nonostante lui sia steso in terra coi pugni chiusi e lei distesa in vasca, gli inquirenti non hanno dubbi: sono morti fulminati dallo scaldabagno. Chiaro, no? E già qui, chi legge si ritrova a dedicare un pensiero estremamente amaro a certe nostre forze dell'ordine degne di eterna satira, per via della loro superficialità, della loro ingenuità, del loro pressapochismo. Ma non basta: per via della “chiarezza” dell'accaduto, non viene disposta l'autopsia. E sempre per via della “chiarezza” dell'accaduto, il luogo della morte (del delitto?) non viene salvaguardato a dovere. Impossibile ritrovare impronte. Sin qua tutto chiaro? Bene. Andrea Di Consoli prende e racconta ventidue anni pieni di colpi di scena, equivoche diffamazioni e pettegolezzi (i due ragazzi partecipavano a festini a base di sesso e droga, anzi no solo lei, e quindi chi li ha uccisi è sicuramente un sicario di qualche pezzo grosso, etc), incomprensioni tra le due famiglie e le forze dell'ordine, repentine riaperture del caso, prima riesumazione a otto anni di distanza, depistaggi, sospetti sul circuito dei vecchi amici di Luca e Marirosa o di un ex di Marirosa, per giungere alla conclusione che probabilmente non s'è affatto trattato d'un incidente domestico, probabilmente s'è trattato d'una tremenda ragazzata, annunciata da qualche scherzo di cattivissimo gusto anche nei giorni precedenti, passata incredibilmente impunita per via di tutta una serie di coperture paesane incrociate, e della superficialità dei primi inquirenti (e dell'impossibilità o della difficoltà di agire riservata, a un tratto, ai successivi e perplessi inquirenti).
Onestamente non vorrei entrare troppo nel merito della questione o nei dettagli, perché – mi ripeto – non sono né esperto né appassionato di cronaca nera. Però posso sintetizzare l'impressione post-lettura: una clamorosa serie di incresciose e stravaganti imperfezioni, disattenzioni, omissioni e mancanze sia da parte delle forze dell'ordine, sia da parte dei medici, sia da parte dei primi testimoni dell'accaduto. Non so se lo studio di Andrea Di Consoli potrà contribuire a risolvere il caso – qualche traccia la offre... con nomi e cognomi – ma sono convinto che tornerà molto comodo a chi studia il caso per illuminare qualche zona d'ombra, e magari per riesumare i poveri cadaveri per disporre una nuova e puntuale autopsia. Con tutto il rispetto del caso, si intende, e tutta la pietà.
Detto ciò, passo sul piano che più mi interessa, quello letterario – quello autoriale. A pagina 18, Di Consoli scrive che il suo non è “un romanzo giudiziario”, né “un reportage narrativo”: “ho voluto fare un'inchiesta giornalistica, interrogando le carte processuali e alcune persone informate sui fatti”. Ribadisce quindi la “non letterarietà” del suo lavoro, nato per contribuire alla verità su un orribile fatto di cronaca accaduto nel cuore della Basilicata. Motivo principe del suo lavoro, al di là dell'indignazione per “male, omertà, ferocia, cinismo, assassinio” (indignazione mai scontata: sacrosanto rivendicarlo), è che l'artista si dichiara ossessionato dal “fantasma di Marirosa”: da anni. Poteva essere una sua amica, poteva essere sua sorella. Ha ragione.
A pagina 120, Di Consoli ribadisce che “La Commorienza” non è un esercizio di stile: “Nulla, in questo lavoro, m'importa dello stile. Questo libro è quello che è: una disperata inchiesta giornalistica. Ogni nome, nel momento in cui ho fatto questo lavoro, corrispondeva a un corpo vivo, a un corpo caldo. E spero di essere stato giusto con i vivi e con i morti”.
La morte dei due ragazzi, secondo l'artista, è nata in un contesto “socialmente desertificato, e nel clima di onnipotenza e di impunità di certi piccolo borghesi acculturati – ovviamente in un clima di sciatteria inquirente, e di moralismo paesano. In Lucania, purtroppo, la donna è spesso puttana a prescindere, e aver voluto rendere ambigua la figura di Marirosa è stata l'operazione più disonesta e cattiva che si potesse fare” (p. 38).
Questo “mostro giuridico e criminale” è nato per via d'un “misto di coperture, prepotenze, sciatterie, depistaggi e negligenze che poi, tutte mescolate assieme” (p. 56) hanno forgiato questo disastro. Disastro da Basilicata, non da Lucania: perché, secondo Andrea, “Per me è Basilicata dove ci sono uffici, caserme, tribunali, carte bollate, dove sono nascosti i colpevoli della morte di Luca e Marirosa; è invece Lucania dove ci sono casolari diroccati, campi di grano, paesi desolati, strade notturne deserte e fredde, dove sono sepolti senza giustizia e senza luce i corpi di Luca e Marirosa” (p. 15).
E questo è quanto. Posso aggiungere solo che se questo libro l'avesse scritto un normale giornalista d'inchiesta non l'avrei mai letto; sogno, da privato cittadino e da intellettuale, che siano le forze dell'ordine a dover fare questo lavoro, per dare giustizia alle vittime e ai loro famigliari. Mi rendo conto che si tratta di un pensiero molto elementare, ma a ben guardare in questo Paese non è affatto così – e quindi non è affatto comune riconoscersi nella mia posizione. Detto ciò, auspico, ovviamente, piena e totale verità sulla morte di questi due sfortunati ragazzi: spero che la dedizione di Di Consoli dia un contributo fondamentale alla causa. Questo è giornalismo d'inchiesta scritto col cuore d'un poeta; vale a dire qualcosa di straordinariamente raro. Speriamo bene.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Andrea Di Consoli (Zurigo, 1976), giornalista, poeta, saggista e narratore lucano. Vive e lavora a Roma; è direttore editoriale di Hacca.
Andrea Di Consoli, “La commorienza. La misteriosa morte dei fidanzatini di Policoro”, Marsilio, Venezia 2010.
Gianfranco Franchi, giugno 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.