Aragno
2003
9788884191465
“[...] e ci sono case belle, brutte, ci sono le stamberghe dei pastori, e quelle miserabili di certi contadini che probabilmente tu non hai mai visto; di dentro. Ma ogni casa, bella o brutta che sia ha qualcosa che non ha niente a che vedere col denaro, molto o poco o niente, di chi ci sta. Tu puoi prendere la più ricca, e la più povera e ti assicuro che io ne ho viste, e ti accorgerai che ognuna ha un tono suo, cioè come si dice?, un carattere. Come le persone. […] Tu prima parlando dei tuoi hai detto che sono melanconici. Il fatto è... è la vostra casa che lo è, ti giuro, non ti saprei dire che cos'è che dà quest'impressione, ma è così. Non ci vivrei mai” (Rosso, “La casa disabitata”, p. 91).
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Una casa disabitata da anni. Un vecchio palazzo cinquecentesco. Due ragazzi passano da quelle parti per caso; uno solo dei due ha un vago ricordo di quando era vissuta normalmente da una famiglia. Di qui ha inizio una divertente, ma niente affatto brillante e innovativa, raccolta di racconti, assemblata in forma di romanzo, destinata a intrattenere per poche ore, senza nessuna pretesa diversa da questa. “La casa disabitata” [Aragno, 2003] è diviso in capitoli dedicati ognuno a una parte dell'abitazione; e così Rosso racconta, man mano, una storiella licenziosa e libertina lontana quattrocento anni, ambientata in camera da letto (con tanto di episodio saffico, e intreccio erotico serva-padroni), e un'altra, lontana trecento anni, erotica e omicida, nel giardino (ladruncola punita, in tutti i sensi). E così via, vellicando i giorni nostri, accennando sommariamente e sinteticamente agli eventi storici principali, e alle condizioni economiche della famiglia che abitava sotto quel tetto, generazione dopo generazione.
Secondo il critico letterario giuliano Guagnini, si tratta di “Tanti episodi che illuminano un destino di decadenza e di crisi annunciato sin dal primo atto e realizzato attraverso tradimenti, rancori covati, omicidi, violenze fisiche, abbandoni, malattie che minacciano tare ereditarie, rivelazioni a sorpresa di lati oscuri della storia familiare, relazioni interfamiliari torbide, traumi violenti, episodi di seduzione e di decadenza anche fisica di alcuni protagonisti di questa singolare 'saga' di sintetica incisività. Un preludio, una cornice, una serie di 'quadri'".
La definizione di “quadro” è buona, quella di “saga” decisamente discutibile; così come l'iniziale digressione di Guagnini sullo sperimentalismo di Rosso, ingiustificata e leziosa. Questo libro non ha niente di sperimentale, né nel lessico, né nella struttura, né nello stile. “La casa disabitata”, ben distante da qualsiasi avanguardismo, è un libro di narrativa scolastico e manierista, un divertissement autoriale fondato su una buona intuizione – e cioè quella di raccontare una storia secolare italiana attraverso un vecchio palazzo – ma penalizzato da una resa non corrispondente né all'intuizione, né alle potenzialità di un progetto del genere. Così com'è, è un quadernotto di racconti che può andare serenamente a dare minimale mostra di sé negli scaffali degli appassionati di letteratura triestina, o semplicemente degli scritti di Renzo Rosso. L'artista padre della “Dura spina” e dell'“Adescamento” mostrava, nel 2003, ampi e credibili segni di sterilizzazione della propria ispirazione; “La casa disabitata”, al di là di qualche scena erotica e della buona intuizione di fondo, è un libro privo di sangue, privo di spessore e privo di vivacità. Una buona occasione sprecata. Un libro non all'altezza della fama di Rosso.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Renzo Rosso (Trieste, 1926 – Tivoli, 2009), scrittore e drammaturgo triestino. Laureato in Filosofia con tesi su Antihegel e Hegel in Kierkegaard, fu dirigente RAI. Esordì pubblicando “L'adescamento” nel 1959.
Renzo Rosso, “La casa disabitata”, Aragno, Torino 2003.
Approfondimento in rete: WIKI it
Gianfranco Franchi, maggio 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.
Libro di narrativa scolastico e manierista, poco più che un divertissement autoriale