La casa dell’alchimista

La casa dell'alchimista Book Cover La casa dell'alchimista
Gustav Meyrink
Edizioni del Graal
1981
9788863110159

La realtà è solo ciò che la maggior parte degli esseri percepisce collettivamente o… potrebbe percepire? Sono autorizzato ad affermare: questo o quello è sogno, vaneggiamento o illusione, semplicemente perché è soltanto uno a percepirlo? No, non posso e non voglio affermarlo, neppure se ciò che sento dalla bocca di un solo uomo si facesse beffe di ogni evidenza… Posso solo tacere e pensare dentro di me: io non lo so” (Gustav Meyrink, “La casa dell’alchimista”, capitolo II).

Tutto il fascino di un’opera frammentaria, pubblicata postuma, decenni dopo la morte dell’autore. “La casa dell’alchimista” doveva essere la sintesi della ricerca letteraria e spirituale di Gustav Meyrink: doveva essere un libro iniziatico. Il romanzo, intrapreso dopo il 1927, è rimasto invece incompiuto per la morte dell’autore, avvenuta nel 1932. Quegli anni furono funestati dal suicidio del figlio: Meyrink attraversò un periodo di gravissima crisi esistenziale. Il titolo del romanzo sembra fosse provvisorio. Il primo nucleo della storia risiede nel racconto “L’orologiaio”, iniziazione gnostica dell’autore, pubblicato nel 1926 e ospitato nell’edizione consultata.

L’incompiuto di Meyrink è strutturato in tre capitoli, tutti titolati; nell’edizione indicata in bibliografia, il curatore ha ritenuto opportuno affiancare ai tre capitoli gli appunti e il progetto narrativo dell’autore, in maniera tale da poter sopperire, per quanto possibile, alle purtroppo irrimediabili lacune testuali.

Il romanzo è ambientato in una indefinita metropoli tedesca, nel presente. Un reporter, bardato in un mantello a scacchi, un cappello a quadri e una camicia a quadri indosso, vaga per la città in cerca della “Locanda del Pavone”, caffetteria tenuta da un persiano. Lì deve incontrare Gracchus Meyer, vecchio cancelliere giudiziario, per ascoltare la storia dell’edificio che ospita la locanda.

Una volta giunto a destinazione, viene ricevuto dal suo interlocutore, che non esita a raccontare la storia del luogo. La casa, antichissima, è stata edificata da un alchimista, Güstenhöver, nel Medio Evo: e ricostruita e ampliata nel corso dei secoli. Secondo Meyer, è come se fosse cresciuta da sola. La sorte di Güstenhöver è misteriosa: mancano del tutto documenti. La leggenda vuole che egli abbia trovato l’Elisir di Lunga Vita. L’edificio è così divenuto di proprietà di un erede diretto, l’orologiaio Hieronymus, che tuttavia non appare mai nel libro. Ha una bottega, dove, riparando orologi, guarisce le anime dei clienti. Degno erede dell’antenato. Al pianterreno, si trova il fascinoso Caffè del persiano Khosrul Khan; nelle stanze si trovano gli alloggi destinati ai suoi misteriosi ospiti: dervisci, compagni della setta degli Yazidi.

Gli Yazidi adorano l’Angelo Caduto, il “demonio”. Ma è un demonio destinato a ricongiungersi a Dio. Lo Yazida ha una sola missione: sostenere la coscienza degli uomini nel cammino verso la “maturazione”. (“Nihil Scire – Omnia Posse”?). Al piano superiore, coperto da un tetto di vetro dove atterrano dei velivoli, si trova lo studio cinematografico del dottor Ismael Steen, nuova incarnazione del male nella letteratura popolare.

Mentre Meyer e il reporter vestito a quadri discutono, si intromette, borbottando, un altro individuo: Apulejus Ochs, plurilaureato e ancora studente universitario, creatore di problemi scacchistici. Non appena il reporter paga il suo anziano informatore, Ochs lo avvicina promettendogli altre informazioni sulla misteriosa casa dell’alchimista: e racconta della segreta rivalità e dell’invisibile battaglia che ogni giorno, a suo dire, combattono, per le anime, Steen e il persiano Khan; della malvagità dell’uno, e dell’energia e dell’intelligenza dell’altro; e spiega che la casa sembra un organismo vivo.

Consegna al reporter degli appunti sulla casa; appunti che costituiscono il contenuto del secondo capitolo. Dove si parla di macchie sui soffitti, e di segrete porte; di lotta tra anime, e del dominio dello spirito; della ricerca dell’alchimista, e della distanza tra la scienza nuova di Freud e l’antica, immortale conoscenza esoterica. Mi fermo qui, con la trama, sperando d’avervi sufficientemente invogliati alla lettura; e vengo a qualche rilievo d’altra natura.

La lingua adottata da Meyrink è lingua letteraria, con non infrequenti cadute nel parlato; principalmente ciò avviene in certi monologhi interiori, dove, nel tentativo di rappresentare fedelmente il flusso di coscienza dei personaggi(la prospettiva di narrazione varia regolarmente, si mantiene la prima persona ma si giostrano i protagonisti; espediente certamente fascinoso), si crea qualche distonia con l’altrimenti uniforme stile narrativo. Non è lingua ornata da preziosismi e ricercatezze, è lingua densa ed evocativa. L’impatto è suggestivo.

L’argomento indurrebbe a integrare il romanzo nella “letteratura fantastica”: sarei cauto, tuttavia, nell’etichettare l’opera, riconoscendo che l’esoterismo non merita d’esser salutato come “fantastico”, sic et simpliciter.

De Turris, nella pregevole introduzione all’opera, si scaglia contro quelle correnti critiche che hanno grossolanamente definito ciò che reputavano figlio dell’irrazionalismo come un prodotto inferiore, mediocre o “facile”: ricordando oltretutto che fu l’allora giovanissimo Cacciari a difendere con coraggio, come Borges avrebbe fatto altrove, lo spessore, il fascino e l’intelligenza di queste “altre” letterature. Rinvio, in ogni caso, alle pagine di De Turris quanti fossero interessati ad approfondire la diatriba, poiché non ritengo di avere gli strumenti sufficienti e la documentazione adatta per confutare le posizioni di entrambe le parti in causa. Questo libro appassiona e coinvolge; e spezza il cuore saperlo incompiuto, per sempre. L’attività letteraria di Gustav Meyrink si interrompe dunque nel momento cruciale; queste pagine, salvate dall’oblio del tempo, offrono nuovo piacere estetico al cultore del gotico e grottesco scrittore mitteleuropeo. Riservato a chi già apprezzava e conosceva l’artista. I neofiti e i curiosi si accostino all’opera di Meyrink leggendo “Il Golem” e “Il volto verde”.

Meglio bruciare in una coscienza ardente eppure restare in vita, piuttosto che portare dentro di sé, come un cadavere, una coscienza morta” (Gustav Meyrink. Frammento tratto dagli appunti per “La casa dell’alchimista”. Questa frase avrebbe dovuto concludere il romanzo).

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Gustav Meyer, alias Gustav Meyrink (Vienna, 1868- Starnberg, Baviera 1932). Romanziere e occultista austriaco. Studiò tra Monaco, Amburgo e Praga, dove visse per molti anni. Fondò la Loggia teosofica di Praga “Zum blauen stern” nel 1891. Iniziò la sua attività letteraria nel 1901, collaborando a “Simplicissimus”, dove pubblicò le prime novelle, già contraddistinte da una vena grottesca. Il suo primo romanzo, “Il Golem”, risale al 1915..

Gustav Meyrink, “La casa dell’alchimista”, Edizioni del Graal, Roma, 1981. Traduzione di Piero Cammerinesi. L’edizione dispone di un raffinato e polemico saggio introduttivo, firmato da Gianfranco De Turris, e di una breve note biografica, curata da Piero Cammerinesi. In appendice, il racconto breve di Meyrink “L’orologiaio” e il saggio di Arnold Keyserling “Metafisica dell’orologiaio”.

Prima edizione: Gustav Meyrink, “Das Haus des Alchimisten”, Munich, 1973.

Gianfranco Franchi, aprile 2003.

Prima pubblicazione: Lankelot.

L’ultimo, incompiuto Meyrink…