Klein e Wagner

Klein e Wagner Book Cover Klein e Wagner
Hermann Hesse
Mondadori
9788804139560

“Capì che era all'orlo della follia e tuttavia sapeva che non sarebbe impazzito, e fermò lo sguardo su questa nuova regione della demenza collo stesso estatico stupore come sul passato, come sul lago, come sul cielo: anche lì tutto era prodigioso, armonioso, significativo. Capì perché nella fede di alcuni popoli aristocratici la follia fosse ritenuta santa. Capiva tutto, tutto gli parlava, tutto gli era dischiuso. Non c'eran parole per questo, era falso e disperato voler pensare e capir qualcosa servendosi di parole! Bisognava solo tener l'animo aperto e pronto: e allora ogni cosa, tutto l'universo, in un corteo senza fine, vi penetrerebbe come nell'arca di Noè, e lo si possederebbe, lo si comprenderebbe, si sarebbe una sola cosa con esso” (Hesse, “Klein e Wagner”, in Meridiano Mondadori, p. 549).

**

“Klein e Wagner” (1920) è, secondo la curatrice del Meridiano Mondadori Maria Pia Crisanaz Palin, “il racconto di Hesse dove opera più scopertamente la prassi analitica. Fin dall'inizio Klein viene descritto mentre sta vivendo un momento di anormalità, immerso in una sorta di dormiveglia allucinato, popolato di sogni che lo rimandano continuamente alla sua tragica situazione. In tali momenti di delirante lucidità l'uomo ridestato parla con sé e con il proprio destino in una sorta di estetica chiaroveggenza; in questo flusso costante di impressioni, quasi un'osmosi fra il conscio e l'inconscio, Klein rappresenta il caso portato all'estremo di quel vivere al limite, tipico di tanti personaggi del mondo di Hesse [...]” (p. 456).

Federico Klein, buon impiegato, onesto padre di famiglia, quarantenne, ci si presenta mentre viaggia in treno, documenti falsi in tasca, tanto denaro rubato in azienda, piena confusione mentale. Si trova in Italia. È lontano da ciò che è stata la sua vita, è lontano dalla sua patria. Finalmente ha cambiato quel cognome che tanto odiava da bambino. Ciò significa, forse, che ha cessato d'essere bambino, di “lasciarsi guidare dagli altri” (p. 525). Oppure, più semplicemente, che è in pieno delirio, e ha dimenticato cosa gli è accaduto. Scende dal treno, come in una fiaba, e si ritrova in albergo. Si riposa, e poi indaga su sé stesso guardandosi allo specchio. Ha un viso nuovo. “Non era il suo viso, il viso buono, il tacito e rassegnato viso di Federico Klein. Era il viso di un segnato dal destino, stampigliato con un segno nuovo, più vecchio e più giovane del precedente, maschera ma stranamente accesa. Nessuno ama quel genere di volti” (p. 511).

In testa ha un nome, Wagner. E non è soltanto per via del grande musicista, idolatrato in gioventù e poi trascurato, addirittura rinnegato, come simbolo di tutti i sogni, le ambizioni e i grandi ideali traditi; è perché c'è stato un Wagner che ha ucciso tutta la sua famiglia, come Klein aveva pensato di fare, in un mostruoso accesso di disordine mentale. Wagner è “il nome collettivo per tutto quello che era stato oppresso, colato a fondo, non giunto a meta nell'ex funzionario Federico Klein” (p. 563). E adesso vive, e torna a pretendere un tributo di pensiero, di meditazione. Adesso Klein va, ricercando equilibrio e grazia nell'amata Italia, nel Sud che sa restituire armonia a chi è caduto preda dell'angoscia delle esistenze borghesi, meditando su tutto: e va a cercare di ricordare (o di capire?) il senso profondo dell'arte, e scopre di credere che l'arte altro non è che la contemplazione del mondo in stato di grazia, di luce. “Arte era: dietro ogni cosa mostrar Dio” (p. 551). E va, cercando di capire (o di ricordare?) come si amava, e che senso aveva amare. E si ritrova “deriso da se stesso, da se stesso inseguito, da se stesso odiato”. E va, sprofondando in sé fino ad andare incontro a una poco credibile ma straordinaria illuminazione, sintetizzando un misticismo profondo, una ricerca di assoluto che conoscerà risultati superiori, nel tempo, nella narrativa di Hesse. A questo livello sono questi: “Dio non dava alcun nome a se stesso. Egli voleva essere nominato, voleva essere amato e esaltato, maledetto, odiato, adorato, poiché la musica del cosmo era la sua casa divina ed era la sua vita – ma gli era indifferente con che nome lo si lodasse, se lo si amasse o si odiasse, se presso di lui l'uomo cercasse pace e sonno o danza o follia. Ognuno poteva cercare. Ognuno poteva trovare. In quell'istante Klein udì la propria voce. Cantava. Con una nuova voce, potente limpida sonora, egli cantava forte, forte e sonoramente la lode di Dio. Cantava in quella frenetica corsa, in mezzo a milioni di creature, profeta, annunziatore. Forte echeggiava la sua canzone, alta saliva la volta sonora, raggiante sedeva al centro Iddio. Immani rombavano i fiumi” (p. 587).

Adesso Hesse è pronto per dare vita a “Siddharta” che, come scriveva Angela Migliore, “costituisce una trasposizione in forma letteraria dell’evoluzione interiore faticosamente raggiunta dallo scrittore premio Nobel: e la sua stesura sincopata riproduce i concreti ostacoli incontrati da Hesse nel corso del viaggio all’interno del proprio Io”. Forse non servirà suggerire ai neofiti di evitare la lettura di questo romanzo di transizione, poco più che uno scombinato lavoro preparatorio all'opera fondamentale. La scarsa fama di “Klein e Wagner”, a un secolo di distanza dalla prima pubblicazione, è ampiamente ragionevole, e condivisibile.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Herman Hesse (Calw, Wuerttemberg,  Germania 1877 – Montagnola, Svizzera, 1962), romanziere e poeta svizzero. Premio Nobel per la Letteratura nel 1946.

Hermann Hesse, "Klein e Wagner", in "Romanzi", Mondadori, Milano, 1977. Traduzione di Barbara Allason. Prefazione di Claudio Magris. Cronologia a cura di Maria Pia Crisanaz Palin. Note e bibliografia a cura di Maria Pia Crisanaz Palin.

Prima edizione originale: 1920. Oggi in Mondadori, 1999.

Per approfondire: WIKI it / Hermann Hesse Portal / Fondazione Hermann Hesse

Gianfranco Franchi, agosto 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Trascurabile romanzo di transizione di Hermann Hesse…