Baldini & Castoldi
2002
9788884901576
La sconfitta della logica è prossima. Il cammino della ricerca dell’origine della nostra specie e l’esplorazione dei segreti dedali della mente sono ancora acerbi. Viviamo dominando i nostri corpi, senza spesso essere consapevoli della prigionia del cervello. Potremmo avere più coraggio e più passione di quegli antichi eroi che oltraggiavano i confini del loro mondo sfidando le colonne di Gibilterra: dovremmo abbandonarci nella terra di nessuno della nostra mente, e avanzare nell’ombra dei nostri segreti e delle nostre energie sconosciute. Viviamo in corpi che ci illudiamo di possedere: apparteniamo davvero ad uno scheletro e ai ruscelli di sangue che danzano instancabili nelle nostre vene, oppure siamo ospiti di un’armatura, o di uno scafandro, o di una macchina ancora segreta e assolutamente perfettibile? Io credo che la nuova frontiera di ricerca risieda su binari paralleli, paralleli e forse, in futuro, convergenti: la psicanalisi, la frenologia, lo studio del genoma. La mia irresistibile convinzione è che nella letteratura si annidi un segreto che potrà essere non solo sostegno, ma colonna principale nel tempio della nuova ricerca. Quando, un giorno, la nostra specie sarà stata liberata dall’inaccettabile peso dell’ignoranza sulla sua stessa origine e la mediocrità dell’evoluzione di questi millenni sarà un ricordo oltraggiato o almeno ridotto a fantasia postromantica, le nuove generazioni sfoglieranno forse le pagine del romanzo che sto per raccontarvi e presentarvi, sorridendo della bellezza, della dolcezza e dell’innocenza delle intuizioni dell’artista, l’ex chimico (ricorrenza curiosa questa, e dai risultati sconcertanti e ammirevoli, nel Novecento, pensando a Levi ed a Houellebecq) Gene Brewer.
Nel corso dell’ultima stagione, i più fortunati tra noi hanno avuto l’opportunità di contemplare l’opera d’arte di Iain Softley, dal titolo omonimo: qualcuno, forse, ricorderà che avevo avuto modo di recensire il film sostenendo che si fosse trattato di uno studio sulla follia e sull’alienazione dall’esito assai prossimo a quello della ricerca pittorica dell’artista ottocentesco francese Gericault. Una galleria di immagini di umanità sofferente ed estraniata e isolata, in un asilo mentale dal sinistro simbolismo: unica figura umana tra gli ostinati dottori era quella dell’analista del paziente Prot. Analista che sapeva scindere la sua dedizione professionale dall’affetto e dall’ammirazione che nutriva nei confronti del degente, vivendo una cura dolorosamente catartica per entrambi, sino all’imprevisto esito ultimo. Questa recensione è rivolta sia a quanti hanno avuto la fortuna di vedere il film omonimo di Softley, sia a quanti intendono accostarsi esclusivamente all’opera letteraria di Brewer.
La prima interessante scoperta è che siamo di fronte non ad un romanzo a sé stante, ma alla prima parte di una trilogia, tutta incentrata sulla vicenda del misterioso, messianico ed affascinante Prot. Prot è ospite di una clinica psichiatrica: e il suo caso è del tutto atipico. Sostiene di essere un alieno, proveniente dal pianeta K-Pax, di poter viaggiare oltre la velocità della luce e di essere in missione, primo della sua specie, sul pianeta Terra. Il libro è strutturato in un prologo, un epilogo e in sedici capitoli, corrispondenti alla registrazione delle sedici sedute di analisi del paziente: tutto è narrato attraverso gli occhi dell’analista, alter ego niente affatto celato dell’artista Brewer. Le singolari tesi del paziente Prot sembrano essere confermate da alcune sue straordinarie caratteristiche: sembra conoscere il linguaggio degli animali, poter individuare gli ultravioletti, poter offrire descrizioni della disposizione della nostra galassia ancora segrete alla maggior parte dei ricercatori. Per giunta, il suo naturale carisma sembra sortire un effetto miracoloso sui pazienti della clinica: gli internati, conquistati dal suo magnetismo e dalla sua umanità (ma è possibile parlare di umanità, in questa circostanza?), iniziano a tendere alla guarigione e a conquistare la liberazione dalle proprie sofferenze, agognando d’esser portati dal K-Paxiano sul suo pianeta. L’analista si accosta all’eccezionale paziente con incertezza e incredulità: salvo accorgersi, progressivamente, che la cura di Prot e l’analisi della sua psiche promette rinnovamento e perfezionamento per la sua stessa psiche, e per la psiche dei suoi familiari.
La figura di Prot è tuttavia fisicamente, nonostante le singolari caratteristiche e le qualità almeno sovrumane, del tutto simile a quella degli altri esseri umani. Pazientemente, il dottore scava nella sua mente e nei segreti recessi della sua anima, in cerca della misteriosa fonte di dolore della sua esistenza. Il tempo è ridotto: Prot ha annunciato d’esser prossimo alla partenza, fornendo addirittura una data, spiegando che i suoi cinque anni di permanenza sul pianeta sono prossimi alla conclusione. E sarà proprio questo elemento desueto, rispetto alla letteratura clinica a proposito dei soggetti mentalmente disturbati, a prestare al dottore una prima chiave di lettura del tormento che affligge il suo paziente.
Con un procedimento tortuoso e seducente, entriamo in punta di piedi nel labirinto della psiche e della memoria di Prot: sgomenti e atterriti assistiamo all’apparizione della fonte del dolore, sconfiggiamo noi stessi con lui la sua amnesia, come fossimo nuovi argonauti scopriamo che la sua anima è la nostra stessa anima: uno è il sentiero di ricerca, e qui si delinea. Nitido. Appare la sorgente della sofferenza: attingiamo a quella sofferenza, rabbrividendo per il freddo nel gelido recesso della nostra anima, ricordando poco a poco l’evento traumatico che era destinato a mutare il corso dell’esistenza. D’un tratto, qualcosa stride. Ecco il cortocircuito atteso. Possibile che il caso del paziente-alieno Prot sia così lineare? Come motivare i suoi doni e le sue caratteristiche? Possibile che la sofferenza e il dolore abbiano risvegliato in lui nuovi talenti e iniettato nuove predisposizioni e nuove conoscenze? Come è possibile che un essere umano sappia essere così sublimemente empatico con tutte le creature del pianeta? Prot e la terra sono uno. Ogni pianta, ogni animale, ogni essere umano è in perfetta armonia con il suo spirito, tutto comunica senza equivoci, compromessi, fraintendimenti possibili. Il paziente Prot ha trovato il codice perfetto della comunicazione, fuggendo dal dolore più atroce e dalla memoria più straziante che avesse ospitato nella sua mente.
Il dottor Gene Brewer, parafrasando l’incipit dell’opera, prova una gioia segreta, perché conoscendo un’altra persona, ne sa un po’ di più su se stesso: e tuttavia niente può impedirgli di tornare a sognare e ad interrogare le stelle, sospirando un ritorno del K-Paxiano dall’angosciosa e tenebrosa isola che lo ha rapito. Sia lecito un ultimo piccolo inciso: nella traduzione italiana del primo romanzo, il nome del protagonista è inspiegabilmente tradotto con la parola “Trob”: ho avuto modo di costatare, sul sito dell’artista, che il suono del nome doveva richiamare il vocabolo Goat. Mi sembra del tutto inaccettabile, da un punto di vista filologico, la traduzione imposta dalla redazione (per ragioni onomatopeiche) al dottor Dario Fonti.
Un romanzo psicoanalitico, in prima istanza: un’opera che adopera un espediente narrativo analogo a “Follia” di McGrath (Adelphi), per intenderci, ossia quello del racconto della storia di un paziente attraverso gli occhi del dottore. Un romanzo simbolico, in seconda istanza, per via delle splendide descrizioni del sistema K-Paxiano del nostro Prot: è descritta una sorta di Repubblica platonica, dove non esistono religioni, né divinità, né famiglie, né leggi, né armi: i bambini non vengono cresciuti dai genitori biologici, ma da tutti. E vivono tra gli adulti, come loro simili e loro pari.
Un romanzo simbolico dove questa fascinosa figura messianica insegna all’umanità malata come “look for the bluebird”: ossia come cercare il segreto della felicità. L’espressione idiomatica inglese viene tradotta letteralmente, come vedrete. I pazienti, in piena Manhattan, incontreranno uno splendido uccellino azzurro, appollaiato come per incanto poco distante. E il dottor Gene, il cui nome in K-Paxiano significa “colui che dubita”, verrà iniziato ai misteri della vita del nuovo pianeta dal paziente Prot, il cui nome significa, paradossalmente, “colui che viaggia”.
Un romanzo spirituale, in ultima istanza: intriso della spiritualità e dell’umanità più profonda e autentica, quella oggi dimenticata. L’eterna, infinita e perfetta poesia della nostra origine. Spogliati dunque dell’arroganza e dell’insolenza delle nostre certezze, nudi avanziamo nell’ombra nuova. Consapevoli che presto apparirà una luce nuova. Inestinguibile.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Gene Brewer (Muncie, Indiana, 1937), romanziere americano, laureato in biochimica. Vive a New York.
Gene Brewer, “K-Pax”, Baldini & Castoldi, Milano, 1996, 2002. Traduzione di Dario Fonti.
Il romanzo K-Pax è stato pubblicato per la prima volta nel 1995 dalla Saint Martin Press di New York. Da allora è stato tradotto in più di venti Paesi.
Gianfranco Franchi, luglio 2002.
Prima pubblicazione: ciao.com. A ruota, Lankelot.