Mattioli 1885
2010
9788862611718
L'uomo chiamato John Barleycorn è il protagonista d'una canzone popolare inglese, almeno cinquecentesca. È una canzone antica, omaggiata nel tempo da una micidiale versione pop dei Traffic, contenuta nell'album “John Barleycorn Must Die” (1970), di discreto successo da quarant'anni a questa parte. È una canzone antica e triste, perché racconta la storia della dipendenza di un uomo dall'alcol. Nel 1913, il padre di “Martin Eden” scrisse una sua drammatica e intensa autobiografia romanzata, per ammonire i lettori a proposito di cosa possa davvero significare la dipendenza, e di cosa possa implicare – di quale sia la deriva che s'annuncia tra le pieghe di qualche gioia che non dura niente e non si ripete facilmente.
London decise di chiamare questa sua autobiografia romanzata proprio “John Barleycorn”, perché evidentemente non faticava troppo a riconoscersi in lui. Forse non è il solo. Chi è, davvero, John Barleycorn? London non sa dire se sia veramente un suo amico. Quando stanno insieme sembrano grandi amici ma non è proprio così. “Lui è il re dei bugiardi. È colui che sa dire con franchezza la verità. È l'augusto compagno che cammina con te al fianco degli dei. La sua via conduce alla nuda verità e alla morte. Ti fornisce una visione chiara e sogni torbidi. È il nemico della vita, e colui che insegna la saggezza al di là della saggezza della vita. È un assassino con le mani sporche di sangue, è il macellaio della giovinezza” (I, 14).
Il re dei bugiardi sa dire con franchezza la verità, scrive Jack. E subito ti spiega che il suo talento nel saper dire con franchezza la verità è in realtà una maledizione, perchè “le cosiddette verità della vita non sono vere. Sono menzogne essenziali, e a grazie a loro la vita sopravvive” (I, 16). John Barleycorn allora è uno che sa trovare la menzogna esatta. Forse perché l'alcol dice la sua verità, ma la sua verità non è normale. Ciò che è normale, spiega Jack, è sano, e ciò che è sano tende alla vita (XXXV, 194).
JB promette a ciascuno ciò che serve. A chi la fantasia, a chi il potere, a chi la dimenticanza, l'amato oblio. Sa far leva sulle fragilità come nessuno: “sulla debolezza, sul fallimento, sulla stanchezza, e sull'esaurimento. È la via d'uscita più facile ma è comunque una menzogna, perché offre al corpo energie che non ha e allo spirito una fasulla elevazione che fa apparire le cose più appetibili” (XXIV, 148).
Prende, stuzzica e rovina, di solito, soltanto la gente che vale qualcosa, soprattutto quegli uomini che hanno, proprio come Jack, “la debolezza di chi ha troppa forza, troppo spirito, troppo ardore e il fuoco di una diavoleria bella”. E succede perché JB lo puoi trovare dappertutto, in qualsiasi strada, protetto dalla legge, tutelato dalle guardie. (XIII, 87).
Il multiforme JB è un inibitore di moralità. Perché se da lucido non riesci nemmeno a immaginarti un certo comportamento, quando sei in compagnia di Barleycorn quel comportamento diventa quasi ragionevole. “Anzi, diventa l'unica strada possibile visto che l'inibizione eretta da JB è un muro tra i desideri del momento e la morale appresa nel corso del tempo” (IX, 65).
Essere amico di JB significa poter stare, spesso, abbastanza su di giri. Ma vivere a quella velocità e con quel mood artefatto richiede un sacrificio mica da poco: “Per ogni momento di forza un momento di debolezza; per una vetta vertiginosa un pozzo altrettanto profondo e per un momento divino artificiale, un tempo equivalente come un rettile nel fango” (VI, 43).
Essere amico di JB ha un prezzo. Quel prezzo è il suicidio. “Lento o veloce, per tracimazione improvvisa o graduale sconfitta degli anni, non esiste un amico di JB che sia riuscito a evitare di versare questa tassa” (II, 20). Da lui non si scappa: tutte le strade portano a John Barleycorn (III, 23). E allora con cosa ci si deve consolare? Con la coscienza, con la consapevolezza. Quella di Jack, ad esempio, è di non essere un alcolizzato ereditario, e di non avere nessuna predisposizione innata. Jack sa che il suo corpo ha impiegato molti anni di apprendistato involontario per tollerare l'alcol sino a ritrovarsi a desiderarne l'assunzione. Jack sa che è stato fregato dalla sua buona capacità di sopportazione dell'alcol, dalla sua capacità di controllarlo. Jack sa che ha sempre cercato l'alcol per la socialità, o per “la botta” che dava in testa. Jack ha saputo darsi delle regole: “Mai bere prima di aver scritto l'ultima delle mille parole quotidiane”, per esempio (XXXII, 181). Disciplinarsi. Combattere l'automatismo, accorgersi degli automatismi, non cedere alle promesse di John Barleycorn. Tutte balle. E poi dimenticarsi di certe abitudini. Inventarne di nuove. Magari: sane. Almeno per amore: se non di sé stessi, delle persone che hanno imparato ad amarti.
Già, questo libro è nato così. Racconta l'esperto londoniano Davide Sapienza, curatore dell'edizione: “Jack London scrisse John Barleycorn subito dopo un tormentato viaggio a New York all'inizio del 1912, e la prima pagina del libro parte infatti dalla sua scelta di votare a favore del suffragio universale alle elezioni. A New York infatti lo scrittore aveva partecipato agli incontri dedicati al tema con Charlotte Perkins Gilman e Alva Vanderbilt Belmont, la più radicale (e ricca) delle esponenti protofemministe nel Paese […]”. E sino a qui, tutto bene. Ma “nella stessa trasferta Jack ebbe una tremenda ricaduta nell'alcol, culminata in un fatto bizzarro accaduto a Baltimora: una sbronza colossale in preda alla quale decise di rasarsi a zero” [p. 10].
Morale della favola, per domandare perdono alla moglie il nostro Jack decise di scrivere questo libro. E da quel giorno in avanti non si concesse più neanche una sbronza, nonostante i tanti guasti nelle cose della vita. Da quel giorno in avanti seppe domare il suo doppio oscuro ed etilico. Per domarlo gli diede un nome antico e trovò il coraggio assurdo di parlarne a tutti. Avanti il prossimo.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Jack London (San Francisco, 1876 – Glen Ellen, California, 1916) scrittore americano.
Jack London, “John Barleycorn. Memorie alcoliche”, Mattioli 1885, Fidenza 2010. Traduzione e prefazione di Davide Sapienza.
Prima edizione: “John Barleycorn”, 1913.
Gianfranco Franchi, dicembre 2010.
Prima pubblicazione: Lankelot.
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SEMPRE A PROPOSITO DI "JOHN BARLEYCORN"...
Un titolo del genere costringe il lettore a cantare una vecchia e malinconica canzone dei Traffic. È un automatismo ingovernabile. Sacrosanto. Forse non tutti sanno che Traffic e Jack London avevano entrambi la stessa fonte di ispirazione: una ballata popolare anglosassone, cinquecentesca. Quella ballata nasconde un segreto. Quel segreto è lo spirito del whisky e della birra: uno spiritello con nome e cognome. Non stupisce a questo punto scoprire che il John Barleycorn di London altro non sia che il suo memoir alcolico: questo libro è la sua biografia da etilista.
La storia ha inizio nel 1912, quando il buon vecchio Jack, in viaggio con la moglie, si trova a New York per partecipare alla battaglia politica radicale e giusta dell'epoca, quella per il suffragio universale. Nel corso di quelle giornate il papà di Martin Eden si rilassa un po' troppo e si lascia andare. E una sera si sbronza così tanto che prende e decide di rasarsi a zero. La signora London non apprezza. Non apprezza proprio per niente. E così, per riconquistare l'amata e per dimostrarle che lui sa benissimo tenere a bada il suo demone e che non ha nessuna forma di dipendenza (diversa dal sentimento, s'intende), Jack prende una decisione. Scrivere questo libro. L'opportuno e ispirato curatore dell'edizione, il londoniano di ferro Davide Sapienza, racconta che da quel giorno in avanti il nostro amico Jack non ci ricasca più, nel vizio. E questo nonostante tante cose non siano andate come dovevano, e via dicendo. Piace credere che aver nominato il male, avergli dato nome e cognome, aver raccontato come e quando sa sedurre e quanto a fondo, abbia sostenuto l'artista nell'impresa. Perché lui, John Barleycorn, è il nemico della vita, e colui che insegna la saggezza al di là della saggezza della vita. È un assassino con le mani sporche di sangue, è il macellaio della giovinezza. Serve saperlo accettare. Conoscerlo, intanto, è un buon inizio. Cento anni più tardi, la storia non è cambiata. E un'altra cosa va detta. Lo stile di Jack invecchiando migliora.
Gianfranco Franchi, gennaio 2011. Prima pubblicazione: BlowUp